Capita, nello scrollare tipico dei social, di imbattersi in qualcosa che richiami la nostra attenzione, che la catturi. In un pomeriggio invernale succede di vedere condivisa la lista partenti del Giro della Bassa Lunigiana del 1979. In quel gran susseguirsi di nomi che poi hanno scritto la storia di quel ciclismo c’era quello di Davide Cassani. Alla fine degli anni ‘70 era al suo secondo anno nella categoria juniores, in rampa di lancio per diventare un ciclista professionista. Era la quinta edizione di quella che ora è diventato l’attuale Giro della Lunigiana, ma già all’epoca meritava il soprannome di Corsa dei Futuri Campioni.
«Il Giro della Bassa Lunigiana, come si chiamava ai tempi – racconta Cassani – l’ho corso due volte. La prima nel 1978, la seconda nell’anno successivo: il 1979. Ricordo che fu la mia prima esperienza in una gara a tappe e avevo la sensazione di essere diventato grande. In una tappa arrivai addirittura terzo, dietro Bontempi e Ciuti».
Diventare grandi
Sono passati 46 anni da quella prima volta, ma l’aria che si respirava al Giro della Bassa Lunigiana era già di un ciclismo importante. Anche se si era lontani dal sentirsi arrivati tanta era la strada da fare prima di vedere il proprio nome tra quello dei professionisti.
«Fu un primo assaggio di cosa volesse dire partecipare ad una corsa importante – continua Davide Cassani – perché si stava fuori a dormire, avevamo i massaggiatori al seguito. Insomma era a tutti gli effetti un appuntamento di grande importanza. Era la gara a tappe di riferimento della categoria, come lo è ora. L’emozione principale che ci muoveva era l’orgoglio di indossare la maglia della rappresentativa regionale, nel mio caso dell’Emilia-Romagna. Per un ragazzo di 17 o 18 anni era il massimo. Anche perché non tutti, me compreso, riuscivano a indossare la maglia della nazionale. Iniziavano a esserci appuntamenti importanti, come la Corsa della Pace e i mondiali, ma non erano di certo tanti come ora».
Che sensazioni provava un ragazzo nel partecipare al Giro della Bassa Lunigiana?
Quella di essere sulla strada giusta, correre in certi appuntamenti ti permetteva di sentire il profumo di un sogno. Per me partecipare a quella corsa era un obiettivo, sapevi di avere buone chance di passare dilettante. In quell’anno (il 1979, ndr) militavo in una delle squadre più forti e avevo vinto nove corse. Anche come rappresentativa dell’Emilia-Romagna eravamo tra i favoriti, con me correvano Giardini e Federico Longo. Due veri campioni dell’epoca.
Sentivate crescere l’attenzione intorno a voi?
Sì. Anche perché il primo anno che partecipai (1978, ndr) ci chiamò, a inizio stagione, il responsabile del Comitato regionale per consegnarci una sorta di agenda da compilare. Dovevamo scrivere i chilometri fatti e rimandarli poi al Comitato a fine anno. Era il primo contatto con i vertici della Federazione.
Insomma, avevate capito l’importanza del momento…
Ti sentivi sotto osservazione, a 17 o 18 anni inizi a capire cosa puoi fare da grande. Comunque già a quell’epoca andare forte tra gli juniores era un bel segnale.
Cosa ricordi della gara?
Avevamo una grande squadra. Con noi c’era anche un lombardo: Maurizio Conti, detto “Garibaldi”. Faceva parte della nostra rappresentativa regionale, ma per il resto dell’anno era un avversario. Ci scontravamo con lui e riusciva spesso a vincere. Ricordo anche che l’ultima tappa di quell’edizione, una cronoscalata su Monte Marcello, rischiò di saltare a causa di un incendio. Riuscirono a farla, ma in alcune zone era ancora presente sulla strada il liquido usato per domare le fiamme.
Anche all’epoca il Giro della Lunigiana apriva uno spiraglio sul professionismo?
Era impensabile per uno junior passare professionista, i carichi di lavoro erano di gran lunga diversi. Ora questo accade con più frequenza perché i ragazzi sono allenati molto più preparati. Alcuni di loro, come accade alla Bardiani, fanno un buon calendario under 23. Penso però che certe scelte si debbano fare con attenzione. I devo team sono una risorsa preziosa, ma non aprono automaticamente le porte del professionismo.
Si deve ponderare bene la scelta…
Soprattutto perché il nostro primo anno da under 23 coincide con l’ultimo anno di scuola. Anche questo è un fattore da prendere in considerazione quando si decide cosa fare alla fine della categoria juniores. Magari potrebbe essere utile approdare in un devo team nell’anno successivo alla maturità.