Viviani è al Nord per aiutare la squadra. Pensando che certe strade sono state risparmiate a Ganna, che come Elia è in rotta su Parigi, viene da chiedersi se la Ineos non avesse altri da mandare, ma tant’è. Di certo il Fiandre e la Roubaix di domenica prossima non sono per Elia un appuntamento. Quest’anno il suo obiettivo ha cinque cerchi: tutto il resto è importante, ma senza esagerare.
«Per spiegare quanto contino per me le Olimpiadi – spiega il veronese – basta dire che oggi ruota tutto intorno ad esse. Sono alle classiche, ma passo tanto tempo al telefono con Marco Villa, con Bragato, con i meccanici perché magari arriva una ruota nuova, la bici nuova o qualcosa da provare. Quindi sono fuori, ma il mio ragionare è tutto puntato su quella settimana di agosto. Non è cambiato nulla dentro di me rispetto alla prima volta. L’approccio è quello e anche la mentalità, la differenza è che adesso non sono da solo. Nel senso che se per le mie prime Olimpiadi (Londra 2012, ndr) era una questione di Elia, un meccanico, un massaggiatore e Marco Villa, adesso abbiamo un gruppo forte al maschile e al femminile. Quindi non gira più tutto intorno a me. Questo sicuramente è cambiato, però l’approccio è uguale. La stagione è tutta puntata su agosto».
Facciamo un punto su questa stagione, allora: come sta andando?
Ho provato a partire forte e sono arrivati due secondi posti in Australia, una tappa al Tour Down Under e nella Surf Coast Classic dietro Girmay, che ovviamente non sono vittorie, quindi non vengono sottolineate. Dopo l’Australia, il UAE Tour. Sapevamo che sarei andato senza supporto e laggiù non è detto che vinci quando hai un treno, figurarsi se vai da solo. Poi i programmi hanno preso una piega diversa. Dovevo fare il Catalunya, invece c’è stato un cambiamento e sono venuto qui in Belgio e ci starò sino a fine classiche. Poi c’è il Giro: sono tra i dieci nomi da cui saranno presi gli otto che parteciperanno, ma so che molto probabilmente non ci sarò.
Non corri un grande Giro dal 2021…
Non è stato ancora detto di no, però la squadra sta prendendo la direzione di credere in Geraint Thomas. Avevano detto di aspettare il Catalunya, non è ancora ufficiale che non lo faccio, però non vedo grandi possibilità. Deve succedere qualcosa, secondo me, perché mi inseriscano. Per cui la mia testa sta programmando tutto intorno all’8-10 agosto, per cercare di arrivarci al meglio possibile.
Il Giro sarebbe l’avvicinamento migliore?
Io sono convinto che un grande Giro ti dia sempre qualcosa in più. La mole di lavoro che metti insieme secondo me non la potrai mai replicare in allenamento. Poi, se andiamo a vedere nei dettagli, il mio omnium sono tre gare da 10 minuti e una da 40. Probabilmente mettendoci lì, non pensando più alla strada e concentrandoci esclusivamente sulla pista, possiamo chiudere il gap con il lavoro specifico. Nel senso che arriverei all’Olimpiade come un vero e proprio pistard. Fare il Giro sarebbe importante e secondo me renderebbe tutto più facile, però questo non vuol dire che andrei a Parigi con ambizioni ridotte. Si va sempre per una medaglia.
Ci sono i programmi e c’è l’aspetto emotivo. Fare il Giro piacerebbe a un corridore come te, che è stato campione italiano…
Guardando indietro, i 21 giorni consecutivi più belli della mia carriera sono stati le tre settimane del Giro 2018. Partecipare sarebbe tanto a livello emotivo, ma la verità è che in termini di programmi, l’anno del Covid ha cambiato tanto in tutto il mondo del ciclismo. Da quando siamo rientrati da quella lunga pausa, i team hanno smesso di ragionare con la stessa logica di prima. Secondo me prima del Covid c’era molta più programmazione.
In che senso?
Prima si avevano programmi precisi da inizio stagione, ricordo gli anni della Liquigas oppure anche a Sky. Oggi invece tanti team sono portati a cambiare all’ultimo, in base a come vanno i vari gruppi o i vari atleti. Dopo il Covid, anche per il fatto che a causa di qualche positività dovevamo essere sempre pronti per subentrare a qualche compagno, è cambiato tutto. Gli atleti devono essere sempre pronti e quella fase ha segnato una linea. Oggi i team cambiano spesso i programmi dei corridori e sembra normale.
Come ti immagini l’immediata vigilia di Parigi?
Quelli che faranno il Giro tireranno una riga dopo l’ultima tappa e anche le donne avranno un momento in cui tutto il resto si dovrà fermare. Questo avanti e indietro dalla strada è sempre stato la nostra caratteristica. Difficilmente sappiamo dire in anticipo come stiamo, perché raramente ci troviamo tutti insieme per qualche gara. Almeno adesso sappiamo che abbiamo dei quartetti competitivi, con gli uomini e con le donne. Riusciremo a mettere insieme i pezzi a fine giugno e allora capiremo dove siamo in termini di tempi. Poi bisognerà vedere dove saranno gli avversari.
Dici che facendo un discorso puramente teorico, nell’anno delle Olimpiadi sarebbe valsa la pena fare le Coppe del mondo con il team olimpico?
Sarebbe stato utile per le gare di gruppo e anche per la confidenza che hai facendo tre o quattro quartetti a 3’45” prima di arrivare a quello delle Olimpiadi. Ma sappiamo anche che se abbiamo l’obiettivo ben chiaro e stiamo chiusi a Montichiari per un mese, con l’altura fatta e tutto quello che serve, arriviamo là con le carte in regola.
Abbiamo letto quello che hai detto della nuova bici da pista, è faticosa da lanciare come fu per Ganna nel record?
Nel quartetto no, perché il lancio di Pippo prendeva qualche giro in più, visto che non poteva partire subito a tutta. Per il quartetto è differente, perché usciamo dal blocco e abbiamo bisogno del primo mezzo giro, poi il gap sarà colmato. Nel rettilineo di là, raggiungi la velocità che ti permette di sederti e poi di spingere. La difficoltà è nel passare da zero a trenta all’ora: quella è la fase in cui perdiamo qualcosa, però poi la bicicletta è un binario.
Queste corse su strada servono per allenarsi o dare una mano alla squadra rischiando il meno possibile?
Servono per correre, perché ne ho bisogno. Mi aiuta sempre e sono stato chiamato last minute qua in Belgio per dare una mano alla squadra, visto che siamo un po’ a corto di corridori. La mia tattica è coprire le fughe della prima parte, a volte si tratta di 70-80 chilometri e a volte di 30-40. Altrimenti ho un determinato punto di arrivo, dove la squadra vuole essere davanti e quindi mi devo prendere la responsabilità di portarli in quel punto. E sarà così anche alla Parigi-Roubaix. Poi avrò un calendario in cui ci sarà da sprintare, perché senza il Giro ci sarebbero l’Ungheria, il Norvegia, il Giro del Belgio: corse tappe che serviranno in ottica di Parigi.
Senti, con tutta la scaramanzia del caso, hai pensato al dopo Parigi?
Sono pensieri che vanno e che vengono, certo che ci penso. A Parigi 2024 si chiude un cerchio, non arriverò a Los Angeles, quindi la prossima Olimpiade sarà probabilmente l’ultimo obiettivo su pista. Poi mi piacerebbe fare ancora uno o due anni, magari uno più uno per vedere se sono ancora competitivo su strada. Se il 2025 andrà bene, potrei decidere di continuare ancora, magari con l’obiettivo di arrivare alle 100 vittorie su strada, visto che sono a 89 che non sono neanche tantissime. Insomma 10 vittorie da fare in tre anni, considerando che quest’anno è ancora aperto e dopo le Olimpiadi ci sarà comunque tanto da correre. Questo mi porta a non pensare a quello che ci sarà dopo.