Il calendario internazionale, così com’è concepito, offre davvero poche occasioni per gli specialisti delle cronometro e questo rappresenta per il cittì azzurro Marco Velo un grande problema. Qualcuno potrà pensare che avendo pochissimi posti a disposizione per le gare titolate (alle Olimpiadi ancora meno, due uomini e una donna) sia un problema relativo, ma non è così. C’è da considerare intanto che cronometro degne di questo nome dal punto di vista del chilometraggio sono pochissime, racchiuse solamente nei grandi Giri. E che poi, se scendiamo di categoria, la situazione diventa ancora più complicata.
Il tema è delicato e Velo lo affronta esaminando tutte le varie situazioni, partendo proprio dalle difficoltà legate alle categorie minori: «E’ lì che le differenze con l’estero diventano più marcate – spiega – perché i ragazzi d’oltreconfine hanno molteplici occasioni di confronto per abituarsi al gesto. Qui fatichiamo a trovare occasioni, come ho più volte fatto presente. L’allargamento del numero delle gare a tappe fra gli juniores è un aiuto, ma non basta sicuramente. La Federazione ha anche fatto un bando per invitare gli organizzatori ad allestire prove specifiche, ma è arrivata una sola risposta…».
Fra i professionisti, considerando Parigi e poi europei e mondiali nello spazio di pochi giorni, quali prove hai a disposizione per vedere i selezionabili?
Praticamente posso affidarmi solo a Giro e Tour. Per Parigi il problema è relativo: Ganna ha il suo programma concordato con noi, con lui gareggerà uno dei tre selezionati da Bennati per la prova su strada e con lui stiamo valutando le scelte. Considerando che avendo così pochi atleti a disposizione, dovrà optare per corridori che possano garantirgli il risultato, ognuno di loro. Fra le ragazze la situazione è ancora più semplice, avendo una sola atleta a disposizione che sicuramente sarà una in gara su strada o su pista.
Ma resta il problema di poterli testare…
Infatti. Guarderò con grande attenzione quel che avverrà nei grandi Giri, sia in campo maschile che femminile, d’altro canto si sa che spesso la classifica si gioca proprio contro il tempo, quindi saranno test probanti. Con gli altri cittì ho contatti pressoché quotidiani, in modo da avere un quadro complessivo il più possibile accurato e poter fare le scelte in sinergia. Ad esempio le indicazioni che mi arrivano da Villa sui lavori su pista mi sono preziose.
E scendendo di categoria?
Anche in quel caso mi affido molto a quel che mi dice Salvoldi, che lavora due volte a settimana su pista con i ragazzi. Ha un bel gruppo e in base a quel che fanno e ai tempi che ottengono, mi dà anche dei feedback utili per il mio lavoro. Ad esempio Montagner e Bessega sono al secondo anno junior e da loro (che ho avuto in nazionale agli ultimi europei) mi arrivano segnali positivi.
Tornando al discorso legato ai professionisti, nelle corse a tappe abbiamo a disposizione cronometro molto brevi. Ti sono utili?
Parzialmente. Diciamo che sono uno dei pochi metri di misura che ho, devo giocoforza farmeli bastare. Dipende anche molto da quando le cronometro si disputano. Oggi mi dicono piuttosto poco in proiezione, magari più vicine all’appuntamento possono darmi delle indicazioni sullo stato di forma specifico per il gesto. E’ chiaro però che una crono di 10 chilometri non è come una di 30… Se un Milan batte oggi Ganna alla Tirreno-Adriatico, questo non può cambiare la mia valutazione, tanto per fare un esempio. Mi dà comunque una valutazione sugli atleti che ho in mente di convocare.
Il problema lo hai anche fra le donne?
Sì, tanto è vero che ho insistito molto con gli organizzatori del Giro Donne per far inserire una cronometro, che in quel periodo mi sarà molto utile. Ribadisco però che le difficoltà maggiori le ho scendendo di categoria, perché mi vengono a mancare i riferimenti. Anche perché i ragazzi non acquisiscono l’abitudine al gesto. Su questo tema ho riscontrato molte difficoltà a farmi capire…
Perché?
Premesso che capisco bene come molti team abbiano anche difficoltà a reperire i materiali necessari, mi ritrovo spesso con ragazzi che non hanno minimamente abitudine al gesto. Salgono su una bici da crono, magari arrivatagli il giorno prima e subito gareggiano, salvo poi il fatto che non hanno la minima idea di come guidarla, di come sfruttarla. L’improvvisazione regna sovrana e questo è un danno enorme, quando poi ti trovi a competere con nazioni dove invece il gesto è assimilato molto presto.
Considerando le difficoltà, non si potrebbe a questo punto focalizzare il campionato italiano di specialità come un evento di riferimento, magari anche rendendo obbligatoria la partecipazione per chi ambisce alla maglia azzurra?
Potrebbe essere una buona idea. E’ chiaro che bisogna anche tener conto che la rassegna tricolore si svolge nel periodo degli esami di maturità: se uno non può partecipare perché a ridosso dell’esame, non può essere per questo penalizzato. Su questo tema comunque dobbiamo lavorare molto, perché bisogna permettere a chi mostra attitudini per la specialità di coltivarle nella maniera giusta. Questa per me è una battaglia personale.