In una lunga dichiarazione piena di tristezza dopo il ritiro dalla Gand-Wevelgem, Philippe Gilbert ha annunciato che si sarebbe preso un periodo di stacco per analizzare la situazione e capire per quale motivo fosse già sfinito e la sua condizione non crescesse.
«Penso che il recupero dall’infortunio al ginocchio – ha detto – mi abbia tolto un’enorme quantità di energia. Il fatto che il corpo dovesse guarire da solo ha richiesto molta più energia di quanto avremmo potuto immaginare. Ho lavorato duramente per provare a tornare e ho fatto grandi progressi dopo il ritiro di gennaio, ma forse è stato un po’ troppo veloce. Ora sto pagando per questo».
Philippe si era fratturato la rotula al Tour del 2018, volando giù da una curva nella discesa del Portet d’Aspet. Lo scorso anno, ugualmente in Francia, si è rotto lo stesso ginocchio nella maxi caduta del primo giorno a Nizza. Era il 30 agosto.
Come Remco
Lo stop di Gilbert ci ha fatto pensare a quello di Remco Evenepoel. Ricordate quanta voglia di rientrare dopo la frattura del bacino? I tempi bruciati. Il ritiro di dicembre in Spagna tirato come per correre. Poi invece un altro stop, così lungo da fargli saltare l’intera primavera. E così ci siamo chiesti se sia possibile che a certi livelli non si riescano a gestire l’infortunio e la rieducazione con tempi certi. Lungi da noi prendere a esempio il mondo del calcio, ma certi campioni sono seguiti come meritano?
Per chiarirci le idee ci siamo rivolti a Fabrizio Borra: un vecchio amico e soprattutto un grande rieducatore di scuola americana, al cui fianco seguimmo passo dopo passo la rieducazione e la ripresa di Marco Pantani. Dato che il romagnolo lavora anche nel basket, nella Formula Uno e in parecchi altri sport, avremo l’occasione di valutare alcune abitudini del ciclismo.
Come si gestiscono la convalescenza e il recupero di un atleta infortunato come Gilbert?
Si fa fatica ovviamente a trovare delle regole generali. Ci sono tre punti. Il primo è stabilire cosa si possa fare durante la rieducazione. Quindi valutare la fase di riatletizzazione, cioè il passaggio dalla riabilitazione allo sport. Infine la ripresa della preparazione. Sono fasi di cui nel ciclismo si tiene poco conto. Mentre ad esempio nel calcio, sono codificate perché oltre alla capacità di correre, ad esempio, c’è da curare la rieducazione al gesto tecnico. Chi rieduca nel ciclismo dà per scontato che da un certo punto in poi sia sufficiente risalire in bicicletta. Come è successo probabilmente con Evenepoel.
Che cosa si dovrebbe fare invece?
Bisogna capire le caratteristiche specifiche dell’atleta e dello sport. Durante la rieducazione va preparata la base perché si possa tornare al gesto motorio corretto, affinché quando un giorno l’atleta tornerà in bici, possa pedalare correttamente. Ma se lo rimetto in sella e per vari motivi usa una gamba più dell’altra, si creano dei compensi che non ti puoi permettere.
Approfondiamo il gesto motorio corretto?
Il corpo ha memoria del trauma e magari anche dopo la rieducazione, qualche muscolo continua a lavorare in modo improprio. Per ricreare lo schema motorio corretto si comincia dalla rieducazione, poi c’è la delicata fase della riatletizzazione, che deve essere graduale. E nel frattempo cerco di capire dai numeri se il corpo mi sta seguendo nel percorso che ho disegnato per lui.
Quali numeri?
Si fanno valutazioni giù dalla bici, valutando la qualità del reclutamento neuro-muscolare e se ci sono inibizioni neuro-muscolari. Partendo da questa base, la ripresa del lavoro atletico deve essere bilanciata ed efficiente. E’ la fase in cui il rieducatore parla con il preparatore. Rialzarsi e montare in bici è nella natura del ciclista, ma c’è una finestra temporale, che nel ciclismo è il mondo di nessuno, in cui si deve fare il raccordo fra rieducazione e preparazione. Anche in bici ci sarebbe da curare il gesto tecnico, invece si fanno bastare i dati del potenziometro per valutare la spinta delle gambe e ad esempio smettono di osservare la risposta della parte superiore del corpo.
Per questo con Pantani si ricominciò a pedalare in acqua?
Esattamente ed è quello che nel nostro centro si fa ancora. Ti metto in acqua, elimino la forza di gravità e impedisco che ci creino dei compensi. Se invece riparti senza essere a posto e magari vai anche a correre, perdi ogni equilibrio. I compensi vengono portati all’estremo e anche se l’ortopedico ha fatto il miglior lavoro possibile, rischi che non sia servito a niente. Con Marco non fu possibile tornare alla perfezione solo perché la gamba era rimasta più corta di un centimetro e dovemmo studiare soluzioni alla luce di questo.
Quindi lo sfinimento di Gilbert?
Potrebbe essere dovuto al fatto che a un certo punto sia tornato in bici senza essere del tutto a posto. Il suo corpo ha attivato compensi che lo hanno portato a spendere troppo. Si è trasformato in una macchina che lavorava con troppi attriti. Mentre la vera cosa da fare era resettare completamente il corpo.
E come si fa?
L’atleta va valutato giù dalla bici per capire se ci siano situazioni migliorabili e poi si passa a determinare la posizione più efficiente in bici. Se invece riparti, poi sposti le tacchette, aggiungi il plantare, alzi il manubrio e sposti la sella, stai sicuro che entri in un incubo. Sapete quanti corridori mi sono arrivati al termine di questo calvario?
Perché succede?
La mia percezione è che quella finestra di passaggio di cui abbiamo parlato venga sottovalutata. Gli schemi motori sono dei file preorganizzati e quando ho un infortunio, gli equilibri cambiano. Se monto in bici, sapendo che la bici ha 5 punti fissi (la sella, i 2 pedali, le due mani), costringo il corpo a raggiungerli. Ma se si lavora con un rieducatore che conosce il ciclismo, si evita di creare le memorie che provocano conseguenze difficili da superare.
In parte è successo anche a Froome, che è rimontato subito in bici, invece in California durante l’inverno alla Red Bull lo hanno resettato…
Era la cosa da fare subito. L’atleta giovane risponde più in fretta di quello meno giovane, ma il risultato si raggiunge lo stesso. E pensate che adesso la ricerca lavora sulla plasticità cerebrale proprio per valutare anche i tempi di risposta.