Uno come Sagan, che riesce a scollinare 12° sul Poggio e poi a fare quarto in volata dopo 300 chilometri, è davvero così indietro di condizione? Tornando da Sanremo era questa la domanda che frullava nella testa e la risposta più plausibile era che la classe dello slovacco sia tale e tanta che, con la necessaria esperienza, Peter fosse riuscito a restare nascosto fino al momento giusto e poi avesse stretto i denti. Se fosse stato davvero bene, avrebbe seguito gli scatti in prima persona e magari avrebbe rilanciato. Perciò, visto che in questi giorni “Peterone” sta correndo la Volta a Catalunya e con lui c’è il suo allenatore Sywester Szmyd, fare il punto della situazione in vista delle classiche servirà a dare la giusta dimensione a uno dei protagonisti più attesi. Che malgrado il passaporto, percepiamo come uno di noi: italiano acquisito per trascorsi e filosofia.
Cinque settimane fermo a Gran Canaria: quanto hanno inciso?
Potete immaginare che non siamo riusciti a fare tanto. Ma Peter ha la mentalità vincente e ho pensato anche io che alla Sanremo abbia avuto una buona gamba, tanto da fare la volata con dei numeri molto buoni. Però si vede che manca l’altura, che a lui giova tanto. La Tirreno gli ha dato una prima… passata di intensità e qui al Catalunya vogliamo metterci il resto.
E’ vero che l’ha deciso lui?
Non so con chi abbia parlato e chi abbia fatto l’annuncio. So invece che all’inizio della Tirreno, mi ha chiamato Enrico Poitschke, il capo dei direttori sportivi, e mi ha detto che c’era questa possibilità. Io ne ho parlato con Peter che si è detto d’accordo e abbiamo immaginato un percorso di avvicinamento al Nord diverso dal solito, per rimediare a quel periodo di sosta.
Pensi che si possa arrivare al Fiandre ugualmente bene?
Come quando non si andava in altura. Abbiamo perso 5 settimane di lavoro, bisognerà fare tutto bene. Nel primo ritiro a Peschiera, era freddo per fare certi lavori. Invece a Gran Canaria eravamo nella fase dei lavori specifici e Peter ha dovuto fermarsi.
A 31 anni la condizione si trova facilmente?
Il tempo passa per tutti, anche per lui. Ce ne siamo accorti l’anno scorso al Tour e per tutta la stagione. Mentre i più giovani sono entrati in forma rapidamente, a noi è servito proprio il lavoro del Tour per arrivare al Giro con una forma vincente. Perciò è chiaro che per entrare in condizione impiega più di quando aveva 21 anni e dopo l’inverno era subito vincente in Australia. Oppure quando faceva una settimana di vera vacanza dopo le classiche, poi andava in California e vinceva la classifica.
In una corsa come il Catalunya si riesce a fare qualche lavoro specifico, oppure il semplice correre alla fine risulta allenante?
E’ così dura, che… basta correre. Non è di quelle corse in cui hai la tappa che si va a spasso e puoi programmare dei lavori di intensità. Qui l’intensità te la impongono gli altri. Abbiamo provato a fare la tappa per lui il primo giorno e mi aspetto che stia sempre meglio. Il percorso è duro, ma non siamo qui solo per allenarci. Come detto prima, Peter ha la mentalità vincente e vuole essere comunque protagonista.
Si poteva rischiare dopo la Sanremo di andare diretti in Belgio per Harelbeke e Gand-Wevelgem?
Non valeva la pena cambiare il programma avviato alla Tirreno, perché quel quarto posto a Sanremo può significare tutto e anche niente. In Belgio a quel punto saremmo andati per giocarci le corse, ma se uno come Peter non è almeno all’85 per cento, sarebbe andato a prendere batoste dalle quali non si sarebbe ripreso. E il primo weekend non sarebbe stato utile per il Fiandre e la Roubaix. Stiamo lavorando per questi obiettivi e per il resto della stagione. Non ci interessa trovare una condizione rapida che duri poco.