Vogliamo parlare di ciclismo. Solo ieri, Milesi ha vinto l’ultima tappa dell’Avenir. Fiorelli e Piccolo si sono piazzati nei 10 a Plouay. Battistella, Zambanini e Conca fra i primi 5 della Vuelta. I mondiali juniores di Tel Aviv su pista si sono chiusi con 4 ori e 3 argenti per gli azzurri. Ai mondiali di mountain bike il bronzo di Braidot e l’oro di Avondetto hanno chiuso la rassegna e prima ancora la messe di successi agli europei di Monaco ha offerto più di un motivo per brindare.
Ogni giorno decine di società e centinaia di atleti si spaccano la schiena rincorrendo i propri sogni e rispettando le regole che gli vengono imposte. Hanno il diritto di sapere cosa succeda alle loro spalle. Prima di loro. A monte. Dove tutto ha origine. Hanno diritto di essere guidati da chi le regole le scrive e a sua volta le rispetta.
Vogliamo parlare di ciclismo e continuare a ragionare su cosa si possa fare per restituire al nostro movimento la dignità che merita, a fronte di stranieri che crescono a velocità doppia, svincolati da lacci storici e insopportabili tare ideologiche.
La trasparenza
Chi guida questo sport deve necessariamente sapere di essere al volante di una prestigiosa auto da corsa e l’idea che abbia deciso di guidarla con eccesso di disinvoltura non sarebbe accettabile. Che la progettualità venga sostituita dall’astuzia: questo sarebbe uno vero scempio.
Quando ai primi di giugno affrontammo in modo critico il bilancio federale, la reazione del palazzo fu ferma e indignata. Ci salutammo con la promessa che quel bilancio sarebbe stato presto consultabile e stiamo ancora aspettando di parlarne.
Allo stesso modo oggi ci aspettiamo che, a fronte delle tante accuse, la reazione non sia (solo) la minaccia di un generico ricorso all’autorità giudiziaria, che potrebbe sembrare il modo per prendere tempo, ma la più semplice delle risposte: la trasparenza. Non servono troppe parole, basta pubblicare i dati. La mancanza di segnali netti autorizza a pensare che qualcosa non vada.
Progetti e astuzie
Servono progetti. C’è bisogno di una visione. Serve la capacità di snellire le procedure e liberare le società dalle gabelle e i pagamenti che ne limitano l’attività senza una logica apparente. Serve quel che si comincia a vedere nel settore della velocità, dove un tecnico appassionato come Quaranta, ben supportato da Villa, è stato capace di dare motivazione e mezzi a un manipolo di ragazzi che fino allo scorso anno pensavano di essere stati abbandonati. Se si lavora bene, le cose accadono.
Perché il meccanismo si metta in moto, occorre che la Federazione si adoperi istantaneamente per chiarire il garbuglio in cui si trova, che fa passare in secondo piano il buono che si sta facendo. Non ci sono vie di mezzo. Se si è fatto dell’astuzia il proprio metodo di lavoro, allora la situazione è grave. Se quanto contestato è frutto di illazioni e vendette trasversali, occorre che venga fatta subito chiarezza. Non possiamo permetterci scandali, segreti, dimissioni, emarginazioni e Consigli federali sospesi per fughe di notizie. Che poi, al di là di tutto, che cosa ci sarebbe di male se il mondo fuori sapesse di cosa s’è parlato?
Nessun tempo da perdere
Il ciclismo italiano ha bisogno di dirigenti capaci di immaginarne il futuro. Il ciclismo italiano non merita tutto questo: le dimissioni di Norma Gimondi e i motivi che le hanno prodotte sono una ferita che non sarà facile sanare. Per questo ci auguriamo che a breve il presidente eletto Dagnoni (in apertura con Zanardi e Barbieri a Monaco), il segretario generale Tolu e i loro collaboratori producano tutti gli elementi perché ogni aspetto venga chiarito.
Lo devono a Milesi. A Fiorelli e Piccolo. A Battistella, Zambanini e Conca. Ai ragazzini di Tel Aviv. A Braidot e Avondetto. A tutti i tecnici e ai ragazzi e le ragazze che a Monaco hanno portato in alto la maglia azzurra. La fuga dei talenti non inizia per caso. I figli se ne vanno quando si accorgono che in casa hanno da tempo smesso di crescere.