Se l’aspettava anche lui una chiamata prima o poi. Valentino Villa, presidente e fondatore, accoglie con un sorriso le domande sul futuro della squadra. Le ragazze più forti sono in procinto di lasciarla per approdare in team WorldTour e soprattutto dalla nave sta per sbarcare Davide Arzeni, il comandante di lungo corso che l’ha resa così forte. Ma la Valcar-Travel & Service continua, fedele alla filosofia di sempre. Poco importa se domani sarà costretta a cambiare nome: quando al centro c’è un’idea, il colore della maglia non incide poi molto.


Presidente, cosa si fa?
Abbiamo trovato le soluzioni per continuare, un’azienda che ci sponsorizza, puntando ancora su ragazze giovani e promettenti. Alcune hanno scelto di rimanere. E se chiuderemo la stagione fra le prime tre continental, come penso, l’anno prossimo potremo comunque fare la nostra bella attività. Stiamo bene nella nostra dimensione. Il team si ringiovanisce ed è una sfida che mi piace. Era giusto che le ragazze di 23-25 anni andassero in squadre più strutturate.
A un certo punto infatti avete abbandonato l’idea di diventare una WorldTour.
E’ un discorso mio, personale. Sono felicissimo di aver fatto il Tour de France, una cosa indescrivibile. Ma quando sono arrivato lì, mi sono reso conto che fossimo la Cenerentola del ciclismo. Non tanto per un fatto di risultati, quelli ci sono stati, quanto per la dimensione del team. Per questo devo dire grazie alle ragazze per la fiducia, allo staff che ha chiesto di essere confermato e anche a chi andrà via. E’ il mio destino. Sono un buon costruttore, ma una frana sul fronte del marketing. Solo che non si può fare tutto e noi abbiamo raggiunto il nostro massimo. Torniamo a essere piccoli come quando siamo nati, ma non lo resteremo per sempre.
L’uscita di “Capo” Arzeni forse fa più notizia delle atlete.
Gli devo molto. Ci sentiamo in ogni momento della giornata. Ricordo una festa di fine anno, in cui parlavo a ragazze come la Persico, arrivata a 12 anni mentre ora ne ha 25. E dicevo loro che per me sono come delle figlie, mentre Davide è più di un fratello. Allora lui ha preso il microfono e rivolgendosi alle ragazze, ha detto di essere loro zio. Dire che non mi dispiace della sua partenza sarebbe una bugia, ma di fronte a certe offerte non poteva voltarsi dall’altra parte. Lui è un competitivo, si metterà in gioco.


E’ forse strano che non lo abbiano avvicinato prima.
Pensavo la stessa cosa, erano due anni che mi chiedevo quando sarebbe successo. Eppure sono convinto di tre cose. Che faremo grandi sfide. Che se dovessi indicare una persona con cui andare a cena, sceglierei lui. E che quando saremo entrambi a fine carriera, metteremo su una squadra giovanile di ciclocross e ci divertiremo ancora. La fortuna della Valcar è stato il dinamismo di due persone dai caratteri complementari. Davide mi guarda negli occhi e capisce cosa sto pensando, lo stesso io con lui.
Come è stato il momento in cui ha annunciato che andava via?
Ne parliamo già da un paio di mesi, perché possiamo trovare la soluzione migliore, ma non mi aspettavo di vedere quelle lacrime. Il nostro legame nasce sì dai risultati, ma soprattutto dai momenti difficili.
Avete già in mente chi sarà il suo successore?
C’è qualche nome e sono determinato a rinforzare la struttura, in termini di personale e mezzi. Abbiamo due diesse che ci aiutavano in caso di tanti impegni, ma mi sto confrontando anche con Arzeni su chi prenderà il suo posto.












Torniamo per un attimo alla scelta di continuare ripartendo da una dimensione più piccola?
Ho avuto contatti con sponsor importanti, purtroppo stranieri, che proponevano di andare avanti alzando il livello del team. Sia pure in extremis, si sono accorti del nostro buon lavoro e ci hanno proposto di fare una fusione. Nell’ultimo mese e mezzo ho fatto delle scelte, convinto che riconoscere e ammettere i propri limiti sia segno di maturità.
Quali limiti?
Il sogno è sempre stato di avere un team italiano alla conquista del mondo, ma gli sponsor tecnici ci hanno fatto capire che non sarebbe stato male renderlo più internazionale. Quando arrivano le straniere, dico loro che la lingua nazionale qui è il bergamasco e quella ufficiale l’italiano. Prima mi guardano come fossi matto, poi capiscono la nostra dimensione. Ricordo spesso che siamo partiti da cinque esordienti e quello che abbiamo fatto dopo è stato tanta roba. Credo che in questo ciclismo che va così veloce, serva una squadra cuscinetto per un’età molto delicata. Lo vedo nel mondo del lavoro. I ragazzi che lavorano alle macchine a controllo numerico sono dei fenomeni, con abilità pazzesche, ma sono anche fragili. Nel ciclismo è lo stesso.
Ci spiega meglio per favore?
Tutti i preparatori conoscono numeri e sistemi di allenamento, ma l’aspetto umano è un’altra cosa. Serve avere una squadra senza l’assillo del risultato, del peso, in cui si abbia il tempo per crescere. Un ambiente in cui si lavora bene, ma in cui si sorride. A 19 anni servono pazienza e tempo, che secondo me sono valori aggiunti. Senza viziarle, ma mettendole nelle condizioni di crescere e spiccare il volo. Sarei in grado di gestire una Vos? Forse no e allora è meglio fare quel che siamo in grado di fare.


Di sicuro le ragazze che sono passate di qua avranno sempre una buona parola…
Infatti ci arrivano richieste dall’Italia e dall’estero. Anche se le cose stanno cambiando, c’è un mercato di cui tenere conto. Ogni giorno è una battaglia, puoi fare del tuo meglio, ma devi sapere che ci sono anche gli altri. Davanti alle cifre che mi giungono per alcune atlete di vertice, rimango stupito, ma sono anche contento perché finalmente si è raggiunta la parità, che è un grande obiettivo. E’ bello vedere le ex che si fermano, girano la bici e vengono a chiedermi come sto, anche poco prima della partenza. E mi sono commosso quando Margaux Vigie mi ha mostrato la maglia della nazionale francese a Monaco con il marchio della nostra squadra. Voglio ringraziare quei signori della Federazione francese.
Alla fine si fa parte del mondo Valcar a prescindere dal cambio di maglia, un bel messaggio, no?
Devo molto al ciclismo e a queste ragazze. Sono felice. Il fatto che ancora oggi vengano a salutarmi, quando sono finiti i rapporti di interesse, fa capire che hai costruito qualcosa. Il fatto che dopo essere andate via, alcune ammettano che forse stavano meglio con noi è un altro segnale. Per questo andiamo avanti. Per coerenza. E perché non ho proprio avuto cuore di interrompere questa storia.