Sarebbe bastato guardarlo bene in faccia in cima al Blockhaus per capire come sarebbe finita. Dumoulin era piantato in mezzo alla strada nel giorno in cui tutti aspettavano da lui il primo squillo e sembrava estraneo alla scena. Fissava un punto all’orizzonte, ma la sua mente era altrove.
I 9 minuti dell’Etna, che inizialmente erano stati attribuiti al caldo e al primo arrivo in salita, avevano appena trovato un’altra spiegazione. Era passato un anno dal suo ritorno in bici. Il terzo posto nella crono di Budapest aveva fatto sperare di averlo ritrovato, il Giro sarebbe stato la sua rinascita. Invece di colpo Tom è crollato nuovamente. Il suo talento di sottile cristallo ha iniziato nuovamente a sbriciolarsi. Il ciclismo è così esigente, che anche la crepa più piccola diventa fatale.
La bici non è la cura
In Olanda non si rassegnano o forse sarebbe meglio dire che non rinunciano. Un po’ come quando qua si cercava in tutti i modi di rimettere in bici Pantani, pur essendo evidente che la bici non fosse più la cura. Parlano di virus. Di problemi alla schiena. Dei postumi del Covid. Tutte cause certamente possibili, che diventano insormontabili in un uomo che ha perso da tempo la voglia o la capacità di andare oltre la soglia della sofferenza. E’ chiaro che se le gambe non girano a dovere, la testa va giù. Ma in questa sorta di circolo vizioso, chi può dire quale disagio venga prima dell’altro?
Bruciato nel 2020
«Nel 2020 ho avuto un periodo molto difficile – ha raccontato dopo il ritiro, avvenuto nella tappa di Torino – e alla fine di quell’anno mi sono allenato tanto e bruciato. All’inizio del 2021 ero ormai un’ombra e ho deciso di prendermi una pausa dal ciclismo per pensare al mio futuro. E quando ho ripreso, nonostante alcuni giorni buoni, molte volte, soprattutto quest’anno, ho vissuto periodi frustranti. Il mio corpo si sentiva stanco e si sente ancora stanco. Non appena il carico in allenamento o in gara aumenta, soffro di stanchezza, dolori e infortuni invece di migliorare. Lo sforzo in allenamento non porta più alle prestazioni desiderate. Da un po’ di tempo c’è uno squilibrio tra la mia dedizione al 100 per cento al ciclismo e ciò che ne ottengo in cambio.
«Con molta pazienza e un approccio molto cauto – ha aggiunto – sono convinto di poter tornare al massimo delle mie potenzialità. Ma sarebbe una strada troppo lunga, senza garanzie di successo. Per questo ho scelto di non seguirla e di abbandonare invece il ciclismo attivo e di intraprendere un percorso nuovo e sconosciuto».
Segni di fragilità
I corridori sono nudi davanti a un mondo che alza le attese e poi li giudica. Il riscontro del cronometro non è neanche il dato più duro, le prestazioni possono arrivare oppure no. Quel che pesa sono il giudizio e il senso di responsabilità che un atleta trasparente come Dumoulin probabilmente non riesce più a maneggiare. Mi pagano perché io vinca. Non ci riesco. Crollo. Si era nascosto nel 2020 mettendosi al servizio di Roglic, poi il problema è esploso in tutta la sua evidenza.
Tornerà? Vorrà azzerare di nuovo la situazione e poi cercare di ripartire? I media olandesi se lo augurano, le sue parole non lasciano in realtà troppi margini di speranza. Quando non raggiungi il livello più alto per troppo tempo, la durezza della gara si riesce a superare solo correndo e poi correndo ancora. E la sensazione è che Tom non ne abbia più voglia.
«Non so ancora cosa voglio fare dopo la mia carriera di ciclista attivo – ha detto – e non voglio nemmeno saperlo in questo momento. Ma so che il mio amore per la bici mi terrà sempre connesso al mondo del ciclismo in un modo o nell’altro. Sono molto curioso di sapere cosa riserverà il futuro per me. Mi sento felice e grato e già ora guardo indietro alla mia carriera con molto orgoglio».
Cambio di squadra
Arriverà ai mondiali, come fu la crono di Tokyo a dargli la voglia di ripartire. Si vociferava che, scaduto il contratto con il Team Jumbo Visma, sarebbe passato alla Bike Exchange, dove avrebbe ritrovato la bici Giant con cui vinse il Giro, ma il suo annuncio sembra aver tagliato anche l’ultimo filo che lo teneva legato al gruppo.
«Il team e io – ha detto – ora faremo un piano insieme per rendere più belli, divertenti e si spera di successo questi ultimi mesi. Non vedo l’ora in particolare di arrivare al mondiale in Australia, dove mi piacerebbe ottenere un’ultima medaglia nella crono».
Il controllo della sua vita
Koos Moerenhout è il tecnico olandese della crono e smise di correre nel 2010, alla vigilia dell’arrivo del giovane Dumoulin nella sua stessa Rabobank. E’ stato lui ad aspettarne il ritorno alle Olimpiadi e ancora una volta gli ha spalancato le porte.
«Tom è uno specialista – ha detto – un uomo che sa esattamente cosa serve per fare bene in un importante appuntamento a cronometro. Gli ho dato fiducia l’anno scorso e lo sto facendo di nuovo ora, senza dubbio. Soprattutto perché lui per primo dice di voler puntare al massimo possibile. E’ un peccato perdere un campione così, ma se si sente in questo modo, allora dovremmo lasciargli il controllo della propria vita».