Questa è la prima domenica di riposo per Eli Iserbyt dopo molte settimane, tra gare e viaggi, una stagione iniziata prestissimo la sua, a settembre quando si presentò nella lunga trasferta americana di Coppa del Mondo ponendo le basi della sua conquista del trofeo di cristallo. Fino all’ultima gara, il campione belga della Pauwels Sauzen Bingoal ha cercato di mantenere alta la concentrazione evitando ogni distrazione, ma si sente dalla sua voce come finalmente sia più rilassato, dopo un anno vissuto sempre al massimo.
In stagione Iserbyt ha messo in carniere ben 14 successi, metà dei quali nel circuito di Coppa del Mondo, andando a conquistare con corposo anticipo il trofeo di cristallo: «Esserci riuscito in anticipo mi ha dato molta soddisfazione, anche se la gara che mi è piaciuta di più è stata quella di Koksijde, la settima prova. Non eravamo neanche a metà del cammino, ma quella vittoria mi ha dato la consapevolezza di quello che potevo fare. E’ stato il momento più bello dell’anno».
Come giudichi nel complesso la tua stagione?
Sicuramente è stata buona, non potrebbe essere altrimenti considerando il numero di successi parziali e le due principali challenge della stagione conquistate (Coppa del Mondo e Superprestige, ndr). Non posso che essere felice per come sono andate le cose.
Quanto ha influito la scarsa presenza di Van Aert e Van Der Poel, almeno rispetto al passato nello sviluppo della stagione?
Intanto Van Aert ha gareggiato per oltre un mese e la sua presenza in gruppo si è sentita molto. Si sapeva già da prima che quest’anno avrebbero privilegiato la preparazione per la strada, poi Van Der Poel ha avuto i problemi che sappiamo e non si è praticamente visto. E’ chiaro che la loro presenza o meno cambia gli equilibri quando non ci sono, ma la medaglia va guardata da entrambi i lati, significa anche che bisogna farsi trovare pronti quando si presenta l’occasione.
Molti ricordano ancora molto bene la tua terribile caduta di Heusden 2020, con il grave infortunio al braccio. Quando è stato importante per te vincere due challenge un anno dopo?
Molto, hanno avuto un significato particolare perché quell’incidente mi aveva lasciato qualche incertezza, anche se ero tornato a gareggiare prima della fine della stagione, ma non ero io. La ripresa è stata lunga e lenta. Il team mi è stato molto vicino, non mi ha mai fatto pressione per farmi approcciare la stagione nel modo giusto dopo l’infortunio e i risultati si sono visti.
Durante l’inverno tu hai detto «Meglio vincere 5 gare senza Van Aert e Van Der Poel che 2 contro di loro», non hai però paura che la loro assenza svilisca un po’ le tue vittorie?
Confermo quel che ho detto e non l’ho detto per timore reverenziale nei loro confronti, due anni fa un paio di vittorie con loro presenti le ho ottenute e lo stesso ho fatto quest’anno con Pidcock. Il concetto che volevo esprimere è che una vittoria è una vittoria a prescindere, per me è importante vincere non guardando a chi c’è e chi non è presente, ma vincere il più possibile, guardando alle classifiche dei tornei e soprattutto a me stesso. Alla fine è l’obiettivo generale che conta. Io sono contento perché ho fatto bene il mio lavoro, la gente poi ricorda chi è primo, non chi non c’era…
Ripensando all’ultimo mondiale, quel bronzo messo in archivio ti ha lasciato più soddisfazione o delusione?
Entrambe le cose. Io ero partito per il massimo risultato e alla partenza ho visto che non ero nella forma che volevo, la corsa poi non si è messa al meglio per me. Alla fine ho ottenuto il massimo possibile in quelle condizioni ma chiaramente visto com’ero andato la domenica precedente mi aspettavo qualcosa di più.
Considerando mondiali ed europei, fra le varie categorie hai vinto 11 medaglie di cui 5 d’oro, però è innegabile che nelle competizioni titolate sembri soffrire il peso della responsabilità. Senti un particolare carico psicologico in quelle occasioni?
Questa è una bella domanda… E’ vero, non lo posso negare, le gare titolate non sono come le altre. Le soffro sempre un po’ alla vigilia ma non va dimenticato che sono ancora giovane, credo faccia parte del mio cammino di maturazione. Quando corro per un titolo e vedo che le cose non vanno come voglio, mi butto giù velocemente e questo non va bene. E’ un aspetto sul quale devo lavorare sapendo che mi aspettano tanti altri campionati da disputare.
Che cosa farai ora?
Mi dividerò fra gare su strada nel calendario belga e prove di Mtb, non mi dispiacerebbe prendere parte anche a qualche gara di Coppa del Mondo sulle ruote grasse, ma andrò avanti su entrambi i fronti, avendo però sempre in mente la preparazione per la stagione di ciclocross.
Non pensi che, se potessi competere su strada nel World Tour, potrebbe incidere favorevolmente nel ciclocross come avviene per i “3 tenori”?
Difficile dire se sarei più forte. Il discorso è più ampio: devo capire dove e come poter migliorare per portare il mio corpo alle sue migliori prestazioni. Guardo al futuro come a una scoperta per capire come andare sempre più forte nel ciclocross che è e sarà sempre il mio mondo.