Nelle grandi squadre come la Trek-Segafredo non si fa mai nulla per caso. Perciò anche nella scelta delle stanze, nell’abbinare i nuovi con i più esperti, si ragiona a lungo. E non è stato per caso che nel ritiro di Altea, Filippo Baroncini sia finito con Jacopo Mosca che della squadra americana è diventato una delle colonne portanti. E così in quella camera si sono ritrovati un ragazzo di belle speranze e un uomo più esperto, sette anni di differenza, ciascuno con le sue conferme da cercare. Uno per dare una dimensione al mondiale degli under 23, l’altro in risalita dopo il terribile incidente dello scorso anno nella crono tricolore di Faenza e il faticoso rientro di fine stagione.
«Forse non tutti lo sanno – aggiunge Mosca, nella foto di apertura con Quinn Simmons – ma alla fine dell’anno ho avuto una seconda operazione. Correndo a settembre e ottobre – prende fiato e riparte – continuavo ad avere problemi ad una spalla, finché il 26 ottobre mi hanno operato d’urgenza. Praticamente era uscita una vite e l’infezione si stava estendendo anche all’osso. Mi hanno operato a Torino e poi mi è toccato un mese di antibiotici. Dal primo novembre al primo dicembre. Sono ancora in ripresa…”.
Mosca s’è fatto spazio, con la sostanza e la sua disponibilità. Pochi fronzoli, l’umiltà giusta per lavorare quando serve e il sogno di portare a casa qualcosa per sé, anche un piccolo risultato, che aggiunga un senso superiore a tanta fatica. Di certo, quella necessaria per rientrare è stata pazzesca…
Si disse che fosse positivo rientrare entro fine stagione, piuttosto che saltare alla prossima…
In realtà è stato traumatico, ma fondamentale. La squadra mi aveva dato come unica priorità quella di rimettermi in sesto, ma io mi ero messo in testa di fare la Milano-Torino e così ho fatto di tutto per rientrare e ho… debuttato al Giro di Sicilia. Che poi la Milano-Torino con l’arrivo a Superga, non faceva tanto per me…
E come è andata?
Ho fatto tantissima fatica, andavo veramente piano, soprattutto nelle prime tappe. Alla fine meglio. Il primo giorno avevo 201 battiti, che non vedevo da quando ero allievo. A un certo punto mi sono ritrovato in mezzo a un paio di velocisti che chiacchieravano fra loro, mentre io mi staccavo. Però è stato utile per riprendere il feeling e sbloccarsi.
Hai mai avuto dubbi di non farcela?
Dubbi ci sono sempre stati, ma forse si dovrebbe chiamarli paure. Sapevo di non avere lesioni permanenti o che mi sarei portato dietro, per cui era certo che presto o tardi sarei rientrato, ma la paura ti rimane addosso.
Secondo intervento e un mese di antibiotici: come è andata la preparazione?
Sono andato anche tanto in bici, ma non è stato un lavoro strutturato. Così adesso a dicembre sento di dover crescere e davanti ho il debutto alla Valenciana, che è abbastanza presto. Il problema sarà trovare la condizione fisica, ho bisogno di tirate di collo. Devo uccidere il mio fisico perché risponda, si può fare. Per cui dopo la Valenciana, farò UAE Tour e poi tutto il calendario italiano fino alla Sanremo.
Nel frattempo la squadra è cambiata tanto…
Al ritiro dello scorso anno, ci conoscevamo tutti. Questa volta c’erano 10-11 corridori nuovi. Di vista ci si conosce tutti, ora s’è trattato di imparare i nomi. Comunque il gruppo classiche resta fortissimo con Pedersen e Stuyven. Per i Giri non abbiamo il leader di nome e siamo tutti per Ciccone, ma non vogliamo mettergli pressioni, perché se ne mette già abbastanza da solo.
Un vero squadrone sotto tutti i punti di vista, anche dell’equipaggiamento…
Ho visto lo sguardo di Baroncini quando gli hanno consegnato i due scatoloni Santini pieni di tutto quel ben di Dio. Io venivo da una continental, ebbi la stessa reazione. E ancora non sa che più avanti gliene arriveranno altri due. Non diciamoglielo (ride, ndr), facciamo che sia una sorpresa! La verità è che la squadra è al top, siamo trattati da signori.
Che impressione ti ha fatto Baro?
Lo avevo conosciuto quando è venuto a fare lo stage al Gran Piemonte a fine stagione. La prima cosa che ho pensato è che è un bravo ragazzo. Poi rimasi perché a tavola iniziò a parlare inglese come se niente fosse e con i giovani non è così scontato. Certo anche lui rimarrà scioccato dall’impatto del passaggio, senza contare che in bici lo abbiamo visto poco a causa del fastidio al ginocchio. Però è sveglio, fa domande furbe. Sui meccanismi della squadra, sull’Adams. Non su cose banali. Sa quasi tutto, ma fa bene a chiedere. E ora che ci penso, lo avevo già visto l’anno scorso…
Quando?
All’Etoile de Besseges, era con la Beltrami. Ci fu un giorno di ventagli e lui arrivò davanti. Pensai che fosse uno forte, quando poi ha cominciato a vincere, ricollegai quell’episodio. Ora l’ho trovato un po’ sbattuto, perché credo che dopo il mondiale abbia avuto mille cose che lo hanno sballottato, ma non mi meraviglierei se entro fine stagione tirasse fuori qualche grande prestazione…
E tu pensi sempre alla vittoria?
Mi piacerebbe. Dal 2022 voglio due cose. Ridiventare me stesso, non avere più dubbi sulla mia efficacia. E poi, dopo aver aiutato i vari leader, vorrei sfruttare l’eventuale occasione che si presentasse per vincere. Nella seconda parte di stagione, probabilmente.
Credi che il livello delle corse tenderà a normalizzarsi?
No, penso che rimarrà altissimo. Il Covid ha insegnato che ogni corsa potrebbe essere l’ultima, quindi nessuno lascia niente, che sia la Tirreno o la Coppi e Bartali. Però a me piace e forse piace anche ai tifosi. Se ci sono tanti grandi atleti che se la giocano, lo spettacolo ne guadagna, no? E’ un bel ciclismo. Tiratissimo, ma davvero bellissimo, non vi pare?