Dato che la memoria non sempre assiste, per capire quanto sia frequente la frattura dello scafoide nel ciclismo, basta digitare le giuste parole chiave su Google e il gioco è fatto. Cataldo al Tour del 2017. Sean Bennett al Giro del 2020. Pozzato al Giro d’Italia del 2012. Caruso al Giro del 2014 (foto di apertura). Demare a casa sua, in mountain bike, a maggio 2020. Soler al Catalunya del 2019…
Come sempre la prima reazione del corridore è ripartire e di solito riesce a finire la corsa, con grande difficoltà (e dolore) nel poggiare la mano sul manubrio. Poi immancabilmente il passaggio al pronto soccorso e le radiografie. A quel punto ci si ferma, anche se non sono rari i casi di corridori più forti del dolore che provano a tener duro. Fra gli esempi di stoicismo, quello di Giampaolo Caruso al Giro del 2014. Cadde a Belfast, nella seconda tappa. Arrivò al traguardo. Ebbe la diagnosi e decise di continuare. Tenne duro fino alla 6ª tappa, quella della maxi caduta di Cassino, poi cadde ancora e a quel punto si fece operare.
Di fatto, quando un corridore cade e mette giù la mano per ripararsi, rischia la frattura della clavicola e quella dello scafoide.
Per saperne di più ci siamo rivolti al dottor Roberto Cozzolino, Ortopedico e specialista in Chirurgia della mano e del polso, consulente del Centro Fisioradi di Pesaro.
Dottore, che cos’è lo scafoide e in quanti modi si può rompere?
Lo scafoide è un piccolo osso del polso, con una forma estremamente complessa, che ricorda appunto la chiglia di una nave. Durante una caduta accidentale è l’osso che più frequentemente si può fratturare. In base alla localizzazione della frattura possiamo dividere le fratture dello scafoide, cercando di essere molto semplici, in fratture del polo prossimale, frattura del polo distale e fratture del corpo, cioè quelle centrali.
Si passa necessariamente attraverso l’intervento chirurgico?
Il trattamento può essere conservativo, cioè con gesso, oppure con intervento chirurgico. Dipende dal tipo di frattura e anche dalle richieste funzionali del paziente. Nel caso si decida per il gesso, dovrà essere alto fino al braccio, incluso il gomito per almeno 45 giorni. Poi sarà fatta la rimozione della componente del gomito e si andrà avanti per altri 45 giorni con il gesso solo al polso. Questo naturalmente comporterà una rigidità dell’articolazione che richiederà tempi più lunghi per la ripresa funzionale.
Tempi lunghissimi. Invece con l’intervento?
Nel caso si decida per l’intervento chirurgico, nel post operatorio verrà applicato un semplice tutore sagomato sul polso, da portare per 20-30 giorni, con dita e gomito libere di muoversi.
In cosa consiste l’intervento?
L’intervento consiste in una piccola incisione, volare e dorsale (a secondo del tipo di frattura), attraverso cui si applicherà una mini vite per tenere fermi i monconi della frattura.
Quanto dura normalmente la convalescenza?
Dopo l’intervento verrà portato un tutore per circa 20 giorni, ma le dita saranno libere completamente di muoversi. Poi gradualmente si ritorna alle normali attività. Diciamo che in 30-40 giorni sarà tutto a posto.
Durante la convalescenza si porta sempre il tutore?
No. Se si sta in casa, tranquilli, può anche essere rimosso.
Dopo quanto tempo si può ricominciare a pedalare sui rulli, quindi senza colpi?
Con una adeguata protezione del polso, con tutore opportunamente sagomato, anche dopo 2-3 giorni dall’intervento.
Dopo quanto tempo si torna su strada?
Di solito, circa 45 giorni.
Una ripresa prematura porta soltanto dolore oppure può “riaprire” la frattura?
Se la frattura non è guarita bene, cioè non si è formato il cosidetto callo osseo, i rischi sono molto alti, in quanto una mancata consolidazione dello scafoide porta ad un quadro clinico di pseuodoartrosi dello scafoide. Questo con il tempo comporta un quadro di artrosi diffusa del polso nota con l’acronimo di SNAC (Scapho Non-union Advanced Collapse). E’ un grave quadro di artrosi che blocca quasi completamente il polso e richiede interventi estremamente complessi e demolitivi del polso.
Dopo essere stato operato, Giampaolo Caruso dichiarò che sarebbe risalito in bicicletta nel giro di una settimana. Ciò effettivamente avvenne, ma sui rulli. Per rivederlo in corsa si dovette aspettare la fine di giugno, per i campionati italiani vinti a Fondo da Vincenzo Nibali lanciato verso la conquista del Tour. Caruso invece si ritirò, a conferma che i professionisti spesso bruciano i tempi di recupero, ma quando si tratta di fratture così particolari non sempre la fretta è buona consigliera.