Con il nuovo anno arriva anche il debutto agonistico del ciclismo professionistico, che tradizionalmente avviene dall’altra parte del mondo, in Australia o in Sud America, dove è piena estate e le temperature sono ben lontane da quelle invernali dell’Europa. Una sfida non solo per il chilometraggio, ma anche per il corpo, che deve adattarsi rapidamente quindi non solo al ritmo e alle fatiche della prima gara, ma anche al clima caldo. La prima gara rappresenta un mix di aspettative, curiosità e incognite. Alcuni corridori arrivano ben rodati, altri ancora devono trovare il ritmo.
Il dottor Andrea Giorgi, medico e preparatore della VF Group-Bardiani CSF-Faizanè, ci ha fornito una prospettiva sul significato della prima competizione stagionale e sugli aspetti che gli atleti e il team monitorano per ottimizzare le performance: che informazioni emergono? Va detto che la sua squadra non sarà presente al Tour Down Under (dal 21 gennaio per gli uomini, dal 17 per donne. In apertura un’immagine del 2024, ndr), ma Giorgi resta un valido interlocutore per questo argomento, tanto più che oltre ad essere dottore è anche preparatore.
Dottor Giorgi, inizia la stagione, come sempre dall’Australia, dove fa caldo. Come finisce il corridore la prima gara dell’anno?
I corridori devono adattarsi al nuovo clima e per farlo si adottano strategie di allenamento, nutrizione e abitudini di vita che favoriscano l’attività al caldo. Anche se poi oggi in tanti di loro partono almeno una decina di giorni prima per adattarsi. Oltre a queste strategie, c’è l’incognita della prima gara, con chi è più esperto e chi è al debutto.
Cioè?
Gli aspetti psicologici e fisici si intrecciano, così come le strategie nuove che possono emergere da un inverno di sperimentazione. Si arriva alla prima competizione con un misto di curiosità e attesa, sia da parte dell’atleta che dello staff.
Quali dati si raccolgono per valutare la risposta del corridore: numeri? Sensazioni? Risultati?
Mettiamo sempre l’atleta al centro. Il primo dato è come si è sentito il corridore: la percezione personale è fondamentale. Poi analizziamo i dati oggettivi, come la frequenza cardiaca e il carico interno, che ci dicono come il corpo ha risposto alla gara. Usiamo anche parametri come l’HRV (Heart Rate Variability) e la bioimpedenza per valutare l’idoneità e il recupero. Dal lato esterno, invece, ci sono i dati del misuratore di potenza che ci danno un quadro sul lavoro svolto in gara. Ogni informazione viene poi integrata per avere una visione completa delle condizioni dell’atleta.
Ci sono differenze tra la fine della prima gara e quelle successive, dal tuo punto di vista?
Non vedo grandi differenze. Le sensazioni di un atleta sono spesso simili: si è stati bene o male? Questo emerge indipendentemente dalla gara. Tuttavia, ciò che cambia è il livello di preparazione generale del gruppo. Nelle prime competizioni è normale trovare atleti in diverse fasi di forma, con chi punta a essere subito competitivo e chi usa queste gare per costruire la condizione.
Chiaro, magari il ritmo non è super. O più corridori possono staccarsi…
La strategia della squadra e l’obiettivo individuale incidono molto sulle sensazioni finali. Come si deve muovere un certo corridore? Che compito ha?
Cosa è cambiato oggi rispetto al passato nella preparazione alla prima gara? Per esempio, magari una volta si aveva più fame in gara perché non si era più abituati a spendere tanto. E’ ancora così?
Oggi i ciclisti sono già pronti fin dalle prime corse. Il concetto di “train the gut” (allenare l’intestino, ndr), ad esempio, è diventato fondamentale. Durante gli allenamenti si sperimentano carichi alimentari simili a quelli di gara, quindi i 120 e più grammi di carboidrati l’ora, riducendo il rischio di fame o problemi gastrointestinali. Non esiste più lo stacco netto di una volta, con atleti che arrivavano con molti chili in più. Questo è evidente soprattutto nei giovani professionisti, che entrano subito in un sistema ben strutturato.
E invece, dottor Giorgi, a livello emozionale, cosa rappresenta la prima gara?
La prima gara è sempre speciale. Per me è un vero test, dove posso verificare se le aspettative sui miei atleti sono state rispettate. Okay test e allenamenti, ma la gara è il banco di prova finale: ciò che succede in corsa può confermare o ribaltare le previsioni. Mi piace capire come gli atleti hanno vissuto questa esperienza, non solo fisicamente ma anche mentalmente, perché è qui che si inizia a costruire il resto della stagione. Ed è per questo che mi piace ascoltarli.
Gli atleti tendono a finire meglio o peggio la prima gara rispetto al passato?
Dipende dal singolo atleta. Non c’è una regola universale: alcuni faticano a smaltire i carichi di allenamento del ritiro, altri invece vanno forte da subito. Oggi le differenze sono meno marcate rispetto al passato, grazie alla preparazione sempre più mirata. La soggettività resta comunque un fattore determinante, e per questo è importante un monitoraggio attento e personalizzato.
Chiaro…
Poi, un po’ come dicevo prima, dipende anche dal ruolo che avevano in gara, se dovevano puntare subito e quindi erano super pronti, o se invece dovevano rifinire la gamba. Dipende dall’andamento tattico, dal livello generale del gruppo…