Il cardiofrequenzimetro oggi: ha ancora senso usarlo? E se sì, perché? E’ questa, in sostanza, la domanda che ci siamo posti in questo articolo. Per trovare una risposta chiara, ci siamo rivolti al dottore e coach Andrea Giorgi, figura di riferimento nella preparazione atletica e dello staff medico della VF Group-Bardiani.
Pensiamoci un attimo: oggi i parametri da osservare sono tantissimi. Se negli anni ’90 e 2000 il cardiofrequenzimetro era il primo vero strumento tecnologico per l’allenamento, ora il fisico dell’atleta viene monitorato in continuazione. Si controllano i watt, il consumo di zuccheri, la temperatura esterna e interna, perfino i cicli respiratori. Il sistema di monitoraggio è vasto. Senza contare i dati esterni come velocità, cadenza, distanza, pendenze… C’è più elettronica su un ciclista che su un’auto! E allora: che cosa se ne fanno i corridori del caro vecchio cardio?


Dottor Giorgi, dunque serve ancora il cardio?
Bisogna fare una premessa: partiamo dalla fisiologia, che è la base. Il consumo di ossigeno, ovvero la quantità di ossigeno utilizzata dal corpo per produrre energia, dipende dalla frequenza cardiaca, dalla gittata sistolica e dalla differenza artero-venosa dell’ossigeno. La frequenza cardiaca è quindi fondamentale per capire quanta energia sta usando il corpo in un dato momento. Quindi già da qui si capisce che la frequenza cardiaca è un parametro che va rilevato, che è importante. Poi dipende da quale sia l’utilizzo del parametro frequenza cardiaca.
Parliamo di allenamento o gara?
Di entrambi e non solo. Ha anche un utilizzo parallelo. Come misurare le pulsazioni al mattino a riposo nel letto. O dopo alcuni giorni di stacco… Può essere usata per monitorare l’andamento dell’allenamento: come varia la frequenza durante uno sforzo, quanto si abbassa a riposo. L’allenamento fisiologicamente abbassa la frequenza a riposo e nei lavori submassimali, mentre nei sovramassimali la frequenza tende a restare stabile. Quindi è utile anche per capire il livello di allenamento o se si è in una condizione di sovrallenamento.
Come si capisce se si è sovrallenati?
Entrano in gioco diversi fattori. Faccio un esempio: se un atleta si allena con un carico crescente e dopo una decina di giorni la sua frequenza a riposo si abbassa, oppure riesce a sostenere lo stesso lavoro con frequenze più basse, significa che c’è un adattamento positivo. Il consumo di ossigeno resta stabile o scende, la gittata aumenta, il cuore lavora meglio e i muscoli usano più ossigeno. Viceversa, se la frequenza a riposo aumenta e gli stessi esercizi generano più battiti, allora potrebbe esserci uno stato di sovrallenamento. Il cuore fatica a rispondere e al contrario non si riescono a raggiungere i picchi massimali desiderati.


Dopo una corsa, i dati del cardiofrequenzimetro vengono analizzati?
Certo, servono per confrontare sensazioni, potenza e frequenza. Si guarda la dissociazione tra frequenza cardiaca e potenza durante allenamento: power heart rate ratio. O anche se dovesse presentarsi una frequenza irregolare. In questo caso si accende un campanello d’allarme. E l’atleta può rivolgersi al medico del team ed iniziano ulteriori accertamenti.
I corridori oggi in gara guardano il cardio?
Qualcuno sì, dipende dalle abitudini. In genere lo fanno quando sentono che qualcosa non va e allora la frase più ricorrente è: «Non mi si alzano i battiti». Lo usano più che altro per capire se sono stanchi. Ma spesso prevale il potenziometro e in certe situazioni non si guarda nemmeno quello: si spinge e basta.
Nell’allenamento invece, conta ancora o si guarda solo il potenziometro?
La risposta è doppia. Primo: per i lavori submassimali il cardio resta fondamentale. Se un preparatore chiede di fare una Z2, la frequenza aiuta a capire come risponde il corpo, se si sta adattando, se si è efficienti. Secondo: c’è la durability, di cui in Italia si parla sempre poco, che è la capacità di mantenere una determinata intensità dopo un lungo periodo di esercizio.


Puoi spiegarci meglio?
Un atleta può sostenere gli stessi watt dopo tre ore di lavoro, ma quanto sono più alti i battiti? Quanta fatica in più ha fatto? Il mio collega Borja ha condotto uno studio confrontando valori submassimali a riposo e dopo un lungo allenamento: a parità di watt, la frequenza era più alta e la fatica percepita maggiore. Quindi il cardio serve anche per queste valutazioni.
E nei lavori massimali il cardiofrequenzimetro serve?
No o meglio, serve meno. La frequenza cardiaca ha un ritardo fisiologico nella risposta allo sforzo. Se fai ad esempio ripetute 40″-20″, il cuore non fa in tempo a seguire l’andamento dell’intensità. Lo capisci dopo 5-6 minuti di interval training, quando puoi osservare quanto sale (e anche quanto scende il battito al termine dell’esercizio). Ma in questi casi di lavori ad alte intensità si guarda il potenziometro, perché è più immediato. Però anche qui poter conoscere i dati del cuore, i battiti, è sempre importante.
In conclusione, dottor Giorgi, il caro vecchio cardio è ancora utile, ma forse serve più al preparatore che all’atleta. E’ così?
No, serve ad entrambi. All’atleta per capire come sta e per svolgere al meglio determinati lavori. Al preparatore per analizzare i dati e avere un quadro completo. Poi ovviamente ci sono variabili come l’altura, il caldo, lo stress, l’attrezzatura… tutti elementi che influenzano la frequenza. Ma questo è un altro discorso.