Stevenà di Caneva ha ospitato una serata speciale dedicata alla programmazione nello sport, con Diego Bragato, head coach della Federciclismo. Invitato dal GS Caneva e dal presidente Michele Biz, Bragato ha condiviso il percorso che porta a trionfare ai massimi livelli, come le Olimpiadi, offrendo spunti utili sia per atleti che per allenatori e appassionati.
La serata è stata a dir poco corposa. C’erano società, giovani, direttori sportivi e persino una paio di rappresentanti extra settore. «Davvero una bella partecipazione – ha commentato Bragato – il Comune di Caneva realizza questi incontri con una certa costanza, tanto che ho parlato persino con il sindaco per chiarire gli argomenti che avremmo messo sul tavolo. E’ stato un incontro interessante. Pensate che doveva durare un’ora, ne è durato due!».
Diego, di che cosa si trattava e chi erano gli interlocutori?
Sono stato invitato dal GS Caneva di Michele Biz per parlare a cittadini e società sportive del territorio. La sala era gremita con circa un centinaio di persone, tra cui atleti amatoriali, giovani, tecnici e persone anche di altre discipline come il nuoto e l’atletica. L’idea era affrontare il tema della programmazione in funzione degli obiettivi, con esempi pratici legati al lavoro fatto per le Olimpiadi e i mondiali.
E qual è la tua idea di programmazione?
La prima cosa è avere chiaro l’obiettivo. Parto sempre dall’obiettivo, che sia a breve, medio o lungo termine. Una volta definito, ragiono sul punto di partenza, che significa capire dove si è oggi: nei giovani può essere un test fisico, ma anche una riflessione più ampia. Poi traccio un percorso, usando i mezzi e i metodi a disposizione: multidisciplinarietà, allenamenti specifici, periodi di recupero o attività alternative. L’importante è sapere dove si vuole arrivare, appunto l’obiettivo, e pianificare a ritroso per raggiungerlo.
Pianificare a ritroso…
Sì, so dove devo arrivare, percorro le tappe che mi servono, partendo da zero.
Come si adatta questo approccio a un giovane atleta? Prendiamo come riferimento la categoria allievi, dove i ragazzi sono ancora giovanissimi, ma più strutturati…
Un allievo è già in grado di iniziare a capire cosa gli piace. È fondamentale continuare a fare esperienze diverse per svilupparsi, ma iniziare anche a definire una priorità, che sia la strada, la mountain bike o la pista. Ad esempio, se la priorità è la strada, può sfruttare la pista o il ciclocross come completamento, ma concentrare la stagione principale sulla strada. L’importante è avere una visione chiara e lavorare per tappe, senza correre solo per la gara della domenica.
Che non è programmazione…
Sì, oggi non funziona più. A livello assoluto, gli atleti arrivano pronti alla prima gara della stagione, ma per farlo hanno già intrapreso un programma ben definito. Le gare di allenamento non esistono più. Bisogna abituare i ragazzi a fare le cose in allenamento e arrivare alle gare pronti, con obiettivi specifici. Anche i giovani devono iniziare a ragionare così: non tutte le gare hanno lo stesso peso.
Che domande ti sono state fatte durante l’evento?
C’è stata una domanda che mi ha colpito, fatta da un direttore sportivo: mi chiedeva come gestire un ragazzo che arriva tardi al ciclismo, magari a 17 o 18 anni. Ho risposto con un esempio provocatorio: «Ho un ragazzo junior che ha giocato a calcio fino alla scorsa settimana e ora vuole iniziare con la bici. Lo prendereste?». Nessuno ha risposto.
Il caso Evenepoel!
Appunto. Questo è un limite culturale: altri Paesi accolgono atleti da altri sport, anche tardi. Noi diciamo di no e questo ci penalizza. Pensiamo alla vicina e piccola Slovenia. Quanto è forte nello sport? Loro hanno dato la possibilità concreta di pedalare ad un saltatore con gli sci (Roglic, ndr) e guardiamo dove è arrivato.
Ma secondo te perché le società non prederebbero quell’atleta? È solo una questione economica, perché in Italia sotto questo punto di vista è sempre più difficile. O c’è altro?
Io penso sia una cultura sportiva generale. Non è colpa né della Federazione, né della singola società, ma di una cultura sportiva più generale che dovrebbe essere più trasversale. Non so, penso alla sprinter canadese che si è ritrovata alle Olimpiadi quando fino a pochissimi anni prima giocava a calcio. Le hanno fatto dei test fisico/sportivi e hanno visto che poteva essere adatta alla velocità su pista nel ciclismo.
Chiaro…
È vero, ci sono meno bambini e molti più sport tra cui scegliere. È normale avere meno atleti disponibili rispetto a prima. Ma proprio per questo dobbiamo essere pronti a intercettare chi vuole provare il ciclismo, anche più avanti. In questo, serve una cultura sportiva trasversale, che parta dalle scuole e coinvolga tutti gli sport, come accade in paesi come la Slovenia appunto.
Una ragazza ti ha posto una domanda: era indecisa se fare l’intera stagione del cross in quanto aveva paura di arrivare stanca alla stagione su strada. Cosa le hai detto?
A occhio e croce poteva essere un’allieva. Le ho chiesto cosa le piacesse fare. Mi ha detto che ama il cross, e allora le ho detto di continuare a farlo. Dopo la stagione invernale, però, può fermarsi, recuperare, e iniziare la stagione su strada con calma, senza fretta, semplicemente entrando in gara qualche settimana dopo. Non bisogna avere paura di fermarsi per costruire una stagione con criterio.
Qual è stato alla fine il messaggio che volevi lasciare?
Sapere dove si vuole arrivare è fondamentale. È un concetto che vale nello sport e nella vita. Bisogna partire dall’obiettivo, analizzare il punto di partenza e costruire un percorso chiaro, usando tutti i mezzi a disposizione. Solo così si possono raggiungere traguardi importanti. Non bisogna guardare al breve termine… alla corsa della domenica.