CREMA – Le crono sono un mondo a parte. La disciplina delle prove contro il tempo e tutto quello che ruota attorno ai componenti, in termini di consensi del grande pubblico, non sono al pari del mondo road vero e proprio. Eppure questo universo è una fucina di idee.
Dopo le tante customizzazioni viste al Giro d’Italia, solo per citare l’ultima grande corsa a tappe, ci siamo posti dei quesiti e abbiamo voluto abbozzare una sorta di confronto. Le domande: comfort del corridore e posizione in sella relativa alle protesi, cosa conta davvero? Si possono guadagnare, o perdere secondi considerando le sole estensioni? Cosa si può dedurre valutando i feedback dell’atleta? I componenti: 4 estensioni di casa Deda e due giovani atleti che si sono impegnati in questo test (nulla di troppo scentifico). Mattia Agostinacchio (Ciclistica Trevigliese ancora per questo 2025) e lo junior Lorenzo Ghelfi (Pedale Casalese Armofer).


Il contesto ambientale e la prova
L’ambiente è quello del Velodromo Pierino Baffi di Crema, impianto all’aperto con pista in cemento. L’anello è lungo 329,25 metri. La prova si è svolta in una calda giornata (alla mattina) intorno a metà giugno. I test sono terminati poco dopo le ore 12, cercando di non mettere eccessivamente sotto stress i ragazzi per quanto concerne il calore. Da sottolineare che, a ridosso delle ore 12, durante l’ultima fase di test, Agostinacchio ha superato i 39° di temperatura corporea (dato rilevato grazie al sensore Core).
1,01 chilometri percorsi per ogni singola fase della prova, quindi con ogni set di protesi e la distanza è stata percorsa all’interno del terzo segmento del velodromo, quello compreso tra la riga nera e quella rossa. Lorenzo Ghelfi ha utilizzato una bici standard (Drali Ametista), prima con le Deda Parabolica PRO in alluminio e in seconda battuta con le Fast PRO in carbonio, estensioni che appartengono alla medesima famiglia. Il wattaggio di riferimento di Ghelfi è stato di 320 watt per le due prove. Agostinacchio ha utilizzato la bici da crono Colnago (senza freni a disco, ma con ruota lenticolare posteriore), prima con le protesi Deda Jet, per passare alle Jet Hydro personalizzabili nella seconda fase. 350 i suoi watt di riferimento. Per entrambi i giovani atleti si è cercato di mantenere la medesima altezza delle estensioni, in modo da non cambiare la penetrazione aerodinamica della sezione frontale (testa, spalle, busto e schiena).


Qualche dettaglio sulle protesi da crono
Possiamo categorizzare la famiglia PRO, composta da Parabolica in alluminio e Fast PRO in carbonio, come una sorta di standard per chi vuole usare le estensioni da crono e poterle montare anche sui manubri integrati in dotazione alle bici per le attività in linea. Sono perfettamente adattabili anche grazie ad una serie di componenti disegnati appositamente per questo. L’alluminio è semplice sotto il profilo ergonomico, una sorta di tubo. Fast PRO in carbonio mostrano una ricerca non banale in fatto di design e proprio di ergonomia. Entrambi non sono personalizzabili, se non nella larghezza quando montate sulle piastre e tramite le torrette di supporto (c’è sempre da considerare il rispetto delle proporzioni imposte dall’UCI). Da notare che Lorenzo Ghelfi ha già utilizzato le Parabolica in alluminio, ma a Crema è stata una prima con quelle in carbonio.
La famiglia Jet di Deda è molto più ricercata e, prima della strenua ricerca della personalizzazione, proprio le Jet sono state prese ad esempio ai livelli più alti. Sono le protesi alari, tra le primissime a proporre le ali di contenimento delle braccia, dei gomiti e di tenuta della posizione. Mattia Agostinacchio utilizza normalmente le Deda Jet sulla sua bici da crono, per lui a Crema la novità è stata la versione Hydro. Hydro ha il fusto principale in alluminio ed il terminale in polimero stampato 3D, quest’ultimo è customizzabile da parte di Deda in base alle richieste del corridore, tenendo conto di alcune caratteristiche fisiche dell’utilizzatore.








I risultati del test
Ghelfi con le protesi in alluminio, 1‘22″330, alla media oraria di 44,600. Con le Fast PRO in carbonio, 1’21″770 alla media oraria di 44,900. Più veloce con le protesi in carbonio e anche il feeling del corridore ha il peso.
«Con le Deda in carbonio mi sono trovato subito meglio – ha detto – più comodo soprattutto verso il polso. Un feeling generico migliore, soprattutto grazie all’appoggio complessivo vicino al gomito e proprio del polso con una chiusura ottimale. Altra sensazione positiva è legata ad un minore impatto del vento».
Agostinacchio con le Jet standard, 1‘18″490 ad una media oraria di 46,800. Con le Jet Hydro, 1’17“730 a 47 chilometri orari di media, ma come citato in precedenza c’è da considerare anche “l’effetto caldo” nella seconda fase di test con Agostinacchio. Non solo, il terminale delle Hydro non è stato plasmato sulle caratteristiche fisiche del giovane corridore, un dettaglio che può fare tantissima differenza.
«Anche se non è stata fatta una personalizzazione certosina – ha detto il valdostano – mi sono trovato meglio con le Hydro, grazie ad una maggiore stabilità percepita, tanto appoggio e presa della mano. Mi sono sentito anche più comodo, quasi disteso, nonostante non abbia mai usato in precedenza queste protesi da crono».




In conclusione
Oltre ai numeri emerge il fattore comfort del corridore. Un atleta messo a proprio agio riesce a sfruttare e fare suo un feeling migliore, traducendolo in una performance migliore. Questo si verifica nelle prove più brevi, come nel nostro caso, ma i numeri assumono connotazioni ampie nel caso di competizioni più lunghe e dure (prendiamo ad esempio le crono dei Grandi Giri). Ecco perché la customizzazione dei componenti da crono è entrata in modo così prepotente e non si tratta di dettagli marginali. Ovviamente è necessario considerare tutto quello che ruota intorno alle tecnologie dei materiali che oggi sono disponibili, che non esistevano solo poche stagioni addietro.
Se è vero che la variabile maggiore è sempre il corridore, con le sue “imperfezioni”, i suoi movimenti quando pedala e lo stesso modo di stare sulla bici che può essere soggetto a variazioni (se pur minime e talvolta involontarie), l’obiettivo delle aziende è quello di fornire materiali efficienti in grado di costruire una base solida sulla quale lavorare, esente da variabili, capace di mettere l’atleta nelle condizioni migliori. La sensazione è che in questa categoria di “strumenti per la competizione massima” si è solo agli inizi.