Qualche giorno fa ragionando con Silvio Martinello si parlava di rapporti e di velocisti. La scelta degli ingranaggi o le nuove soluzioni che i corridori hanno a disposizione non riguardano però solo le volate. Il campione olimpico della corsa a punti a Atlanta 1996 ha spostato l’attenzione anche sui rapporti e il tempo massimo.
Stavolta il discorso velocisti-rapporti è letto a parti inverse: salite e rapporti corti, anziché volate, tappe pianeggianti e mega padelloni come il 58.
Volata da ultimo
Per portarvi in questo discorso vi proponiamo un esempio concreto: Fabio Jakobsen al Tour 2022. L’atleta della Soudal-Quick Step verso Peyragudes era al limite del tempo massimo. Talmente al limite – viaggiava sul filo dei secondi – che i direttori sportivi per non rischiare di lasciare fuori gli altri corridori che lo scortavano, li avevano mandati avanti. Almeno loro sarebbero ripartiti il giorno dopo.
Gli stessi compagni aspettavano il loro velocista appena un metro dopo la linea d’arrivo (nella foto di apertura). Lo tifavano come se si stesse giocando la vittoria… quando in realtà era ultimo. Fabio ce la fece per una manciata di secondi. Poi cadde stremato.
Probabilmente qualche anno fa Jakobsen non ce l’avrebbe fatta. Non sarebbe rientrato nel tempo massimo. E non ce l’avrebbe fatta perché non avrebbe avuto a disposizione i rapporti più corti con cui “salvarsi”. Rapporti che in qualche modo oggi gli consentono di sviluppare parte della sua forza, contro il peso dei suoi muscoli, che invece in salita gli remano contro. Con un 39×25 Jakobsen si sarebbe “incatramato” su stesso.
Rapporti corti
«Oggi – dice Martinello – le nuove scale posteriori aiutano moltissimo gli atleti più pesanti e i velocisti in particolare. E lo si vede quando ci sono le grandi salite. In quei casi anche gli scalatori usano dentature molto agili. Ai miei tempi il 95 per cento delle corse le facevi con il 39×23 come rapporto più leggero. Potevi montare il 25 giusto quando c’erano il Gavia, il Mortirolo, il San Pellegrino in Alpe… La differenza era che lo scalatore quel rapporto in qualche modo lo girava, noi velocisti molto meno».
Con i rapporti attuali sono cambiate anche le preparazioni. Oggi tutti i velocisti lavorano in salita. E tutti vanno, chiaramente, alla ricerca della cadenza. Le 60 rpm dei velocisti negli ’90 sono un ricordo. Oggi come minimo si ragione su 15 rpm in più. Poi magari non si riesce a rispettarle, ma la base di riferimento è ben più alta.
«Oggi i velocisti lavorano in salita – va avanti Martinello – sia perché i percorsi sono diversi (mediamente più duri, ndr), sia perché c’è quasi sempre una salitella prima della volata. Soprattutto da quando ci sono le 12 velocità, i corridori hanno scale più ampie che gli consentono di avere rapporti più agili.
«Rapporti come il 34 all’anteriore (e pignoni come il 32-30-28 al posteriore, ndr) ti permettono di tutelare le fibre muscolari, quelle che servono fresche per lo sprint. Se le stesse fibre sono 5-6 ore in tensione, quasi come una Sfr, e per tanti giorni consecutivi (Jakobsen fu ultimo anche il giorno dopo, ndr) alla fine quella forza esplosiva per lo sprint viene meno».
Tempo massimo
Ma oggi un velocista se la cava meglio in salita non solo per i rapporti più corti. Il tempo massimo è aumentato e può arrivare anche al 18% della durata della tappa. Una volta si creava la famosa “rete”, il gruppetto, perché se si finiva in tanti fuori tempo massimo l’organizzatore era “costretto” a reinserire tutti gli atleti. Era una sorta di mossa sindacale!
«Rispetto ai miei anni – va avanti Martinello – il tempo massimo oggi si è dilatato. E giustamente mi sento di aggiungere… L’obiettivo di un organizzatore qual è? Dare spettacolo e per farlo deve portare più corridori possibili al traguardo. Come per esempio gli sprinter all’ultima tappa di un grande Giro. E questo incide parecchio. Noi avevamo tempi massimi più ristretti e facevamo una grande fatica per starci dentro. Una volta avevi 30′-35′, oggi arrivano anche ad un’ora.
«Spesso si sentono critiche verso i velocisti nelle tappe di montagna perché vanno troppo piano. Ma loro fanno bene a sfruttarlo il più possibile. Questo significa che il giorno dopo hanno più energie per disputare un buono sprint».
La “rivolta” di Verona
E questo è verissimo. Proponiamo ancora due esempi concreti. Uno riguarda ancora Jakobsen che quel giorno a Peyragudes spese talmente tanto che poi non ebbe le gambe per fare lo sprint sui Campi Elisi, nonostante la “crono di recupero” nel mezzo.
L’altro esempio è una “semi querelle” rimasta nascosta risalente alla tappa di Bagno di Romagna al Giro d’Italia 2021.
Quel giorno il dislivello dichiarato era di circa 3.600 metri e la tappa era classificata di media montagna. All’arrivo un po’ tutti i corridori lamentarono invece un dislivello superiore ai 4.400 metri. La tappa, dunque, sarebbe dovuta essere classificata di alta montagna e di conseguenza sarebbe dovuto cambiare il tempo massimo (più ampio). I velocisti si lamentarono con l’organizzazione.
Furono infastiditi anche perché il giorno dopo c’era uno sprint annunciato: tappa totalmente piatta verso Verona. Una tappa che fu parecchio noiosa. Nessuno si mosse e il gruppo di fatto passeggiò fino ai -10 dall’arrivo, quando poi iniziarono le manovre per lo sprint. Sembra che questo immobilismo fosse una sorta di protesta mascherata.
«Ci sta – commenta Martinello – un velocista ci tiene molto. In certe tappe spende tantissimo e se giustamente aveva la possibilità di risparmiare qualche energia perché non sfruttarla? Una volata richiede molta forza e farla con le gambe stanche non è facile. Tanto più che le occasioni per fare gli sprint sono sempre meno».