Manuele Tarozzi, un mentalista al servizio della bicicletta

23.07.2021
4 min
Salva

Manuele Tarozzi è un corridore della squadra Inemiliaromagna Cycling Team, un progetto volto a celebrare questa terra da sempre legata al ciclismo.

Sono tredici gli atleti di questo team che sono chiamati a far conoscere l’Emilia-Romagna in Italia ed in Europa. Tra questi ragazzi c’è anche Manuele, romagnolo Doc, solare, sorridente e con tanta voglia di stupire. Nato a Faenza il 20 giugno del 1998, ha una vera passione per la bici, non l’abbandonerebbe mai. Scopriamolo insieme.

Fino al 2019 Tarozzi ha corso Il Giro con una mista (foto Scanferla)
Fino al 2019 Tarozzi ha corso Il Giro con una mista (foto Scanferla)
Ciao Manuele, come stai, cosa stai facendo in questi giorni?

Sto bene, molto bene. Sono in ritiro con la squadra, anche se non è esattamente un ritiro. Il fotografo aveva necessità di fare qualche scatto ed allora abbiamo approfittato per passare qualche giorno tutti insieme.

Presentati ai nostri lettori. Raccontaci qualcosa di te e dei tuoi inizi in bicicletta

Sono nato a Faenza ed è qui che vivo. Sono molto legato alla mia terra. Mi reputo una persona allegra e giocosa, forse un po’ testardo. Il ciclismo è un affare di famiglia, tutti i miei parenti sono stati più o meno lungamente a contatto con le due ruote. Così quando ero piccolo, intorno ai 6 anni, mi hanno chiesto che sport volessi fare e io ho risposto secco: ciclismo! Volevo capire cosa lo rendesse così interessante.

Da allora non ti sei più separato dalla bici?

No, e non ho intenzione di farlo. Mi piace questo mondo al quale ho dedicato praticamente tutta la mia vita fino ad ora. Ho dato i primi colpi di pedale nella Faentina, squadra del mio paese, ho sempre corso vicino a casa. Ora sono nel Team Inemiliaromagna e mi trovo molto bene. Mi piace rappresentare la mia terra e farla conoscere a più persone possibili.

Ti abbiamo visto in azione al campionato italiano professionisti, niente male, complimenti

Grazie – dice con una risata – volevo fare bene, ci tenevo molto. D’altronde si correva sulle strade di casa, passavamo vicino a Faenza. Ero un po’ teso perché volevo mettermi in mostra ed entrare nella fuga buona, cosa molto difficile tra i professionisti. Le sensazioni erano positive, uscivo dal Giro d’Italia under 23 con la condizione in crescendo ed ero consapevole di potermi giocare le mie possibilità.

Al termine del campionato italiano di Imola, Tarozzi era stanco ma soddisfatto
Al termine del campionato italiano di Imola, Tarozzi era stanco ma soddisfatto
Com’è stato essere in testa alla corsa ed essere uno degli ultimi a resistere al rientro del gruppo?

Appena ho visto il percorso mi sono illuminato, quelle strade le conosco a memoria, la salita iniziale, quella di Monticino, la faccio 4-5 volte a settimana. Diciamo che ho colto il vantaggio di “giocare in casa”. Una volta consolidata la fuga ho tirato un sospiro di sollievo. Man mano che passavano i giri e di conseguenza i chilometri sentivo le gambe sempre buone e mi sono dato da fare. Una volta superati i 200 chilometri di corsa però mi sono spento, come una lampadina: non sono ancora abituato a queste distanze.

Un’esperienza buona per gli anni futuri. A proposito, come lo vedi il tuo di futuro?

Sono fiducioso di poter passare tra i professionisti. Non ho ancora offerte ma ho delle buone sensazioni. È più difficile farsi notare quando sei un Elite. Le squadre professional puntano su ragazzi più giovani per avere più margine di lavoro, ma sto facendo bene. Il lavoro ripaga… spero.

Una seconda parte di stagione esaltante, hai sempre avuto questo picco in estate, come mai?

Non saprei, il primo e il secondo anno da under ho sbagliato preparazione e nei primi mesi ne ho risentito. Forse è un fattore legato alle mie caratteristiche fisiche. Non risento invece del cambio di stagione e dei primi caldi, quindi mi diventa più semplice correre in questo periodo

Manuele Tarozzi in magli azzurra al Memorial Pantani del 2019
Manuele Tarozzi in magli azzurra al Memorial Pantani del 2019
Oltre al ciclismo che ti piacerebbe fare? Hai qualche hobby?

Ho provato a fare il test d’ingresso per studiare psicologia all’università. Se passassi pro’ mi piacerebbe intraprendere anche un percorso di studio. Mi piacciono molto i giochi di carte e di magia. Ho visto dei video durante il lockdown che hanno colpito molto, soprattutto per la reazione che hanno sulle persone.

Ti piace stupire direi, entrare nella mente delle persone, come al campionato italiano

Esattamente – dice un’altra volta ridendo- mi incuriosisce quell’ambito. Capire come funziona la mente umana, è davvero interessante.

È stato un piacere Manuele, buona fortuna per il tuo futuro

Lo è stato anche per me e grazie per avermi contattato. In bocca al lupo anche a voi!

Tarozzi a testa alta fra i giganti: sarà il giorno della svolta?

21.06.2021
4 min
Salva

A un certo punto Francesco Pancani dice in diretta la frase che meglio rende la situazione di Manuele Tarozzi nel finale del campionato italiano. «Corre con la squadra dell’Emilia Romagna – dice il toscano – sta correndo il campionato italiano nei professionisti in Emilia Romagna e oggi è pure il giorno del suo compleanno. E’ come se fosse la maglia rosa…».

Oltre il limite

Quando Tarozzi taglia il traguardo, in 15ª posizione assieme a Daniel Oss, pochi sanno chi sia o si rendono conto che il ragazzino in realtà sia ancora dilettante e abbia appena compiuto 23 anni. Il massaggiatore gli si fa sotto e fa per passargli una lattina di Coca Cola, ma lui la allontana con le mani: «Se la bevo – dice – finisce che vomito». La fatica quando è estrema fa brutti scherzi e Tarozzi ha davvero dato tutto. Anche più di quello che pensava di avere. Si è infilato nella prima fuga e ha tenuto duro fino a due giri dalla fine, quando professionisti ben più blasonati e forti avevano già mollato da un pezzo.

Sulla Gallisterna, al secondo passaggio, una borraccia fresca
Sulla Gallisterna, al secondo passaggio, una borraccia fresca

Non è naufragato

«Prima del via – racconta il suo diesse Coppolillo – gli avevo detto che la sua gara sarebbe stata prendere la fuga nei primi 30 chilometri, perché ai campionati italiani qualcuno sarebbe partito di sicuro. E’ stato bravo ed è andato oltre le mie aspettative, perché quando ha ceduto non è naufragato, ma è rimasto sul pezzo. Sono convinto che andrebbe meglio tra i professionisti, però deve trovare più costanza. Credo che 230 chilometri tutti insieme non li avesse mai fatti, per cui spero che adesso riesca ad essere continuo e a ben figurare nelle prossime corse, che saranno di nuovo fra i dilettanti. Questo potrebbe essere l’anno buono per passare…».

Quota 200

Tarozzi si rialza dal manubrio e ha lo sguardo incredulo. Il petto è scosso da un battere ancora violento del cuore, ma lentamente il tono di voce torna quello giusto per raccontare.

«Ero in fuga – dice – perché sapevo che quando gli altri avrebbero aperto il gas, io non ne avrei avuto. Però se fossi riuscito ad anticipare un po’, almeno sarei potuto rimanere un po’ in fuga. Ci siamo riusciti, eravamo in tanti e a quel punto ho provato a salvare il possibile e ho tenuto botta fino a quando siamo arrivati a 2-3 giri dalla fine. A quel punto ho guardato il Garmin e segnava più di 200 chilometri. Stavo anche bene, ma le gambe non c’erano più…».

Nel 2019 ha corso in maglia azzurra il Memorial Pantani
Nel 2019 ha corso in maglia azzurra il Memorial Pantani

Gambe e cervello

Il massaggiatore accanto continua a dirgli quanto sia forte quando collega le gambe con la testa e a pensarci, la discontinuità è sempre stata il suo tallone d’Achille. E se questo sarà destinato a restare il suo giorno di gloria, vorrà dire che avrà anche un grande ricordo di cui parlare con gli amici.

«Non posso dire niente oggi – sorride – non ho rimpianti, ero in mezzo a gente di un’altra cilindrata. Questo è un giorno che ti cambia la vita, mentre per quanto riguarda le gambe e il cervello… Quest’anno non è successo quasi mai. E se le gambe non vanno, se senti che proprio non ci sei, anche il cervello molla la presa. Questo dovrebbe essere un anno buono, speriamo che adesso magari ci sia una svolta…».

Lettera di richiamo

Coppolillo annuisce e dimostra di avere ben chiara la sua situazione. «Mi dispiacerebbe se dovesse smettere – dice – perché non è giusto farlo a 22 anni e mezzo. Proprio ieri ho parlato con Zanatta e Tiralongo (direttori sportivi rispettivamente della Eolo-Kometa e del Team Palazzago, ndr) e facevo i complimenti a Stefano per aver saputo valorizzare Fortunato che era senza squadra e commentavo con Paolo il fatto che fosse a correre con Romano, lasciato a piedi dopo due anni da neopro’, con il secondo che però è stato il 2020 del Covid. C’è bisogno di conoscere i ragazzi e di aspettarli. Uno come Tarozzi starebbe meglio di là che qua con noi, ne sono sicuro. Ricordo che al mio primo anno con Reverberi, ricevetti una lettera scritta a macchina per scarso rendimento. Al giorno d’oggi, avrei perso il posto. Allora rimasi con loro per cinque anni».

In fuga al Giro U23 del 2020. Quest’anno è stato quarto a Cesenatico
In fuga al Giro U23 del 2020. Quest’anno è stato quarto a Cesenatico

Una chance

Quando è certo di aver ripreso il fiato a sufficienza per tornare all’ammiraglia, Tarozzi saluta e si avvia. Tutto intorno fervono i preparativi del podio, i corridori che andranno al Tour si danno appuntamento, quelli che sono usciti dal Giro fanno capannello, quelli attesi dalle Olimpiadi hanno altri sguardi. Per Tarozzi Manuele da Faenza, 23 anni compiuti proprio oggi, il prossimo impegno sarà forse il Giro del Medio Brenta. Se ne va e sembra improvvisamente più piccolo, ma in certi tratti del percorso con quel suo sguardo spiritato e la voglia di non perdere le ruote anche lui stavolta è parso un gigante. Forse ha ragione Coppolillo: meriterebbe anche lui la sua chance.

Michele Coppolillo, Sestriere, Giro d'Italia 1994

Coppolillo e la bici: ieri, oggi e domani

24.10.2020
4 min
Salva

Una foto su Facebook, un ricordo che riaffiora, i casini di ieri: sentire Coppolillo sarà certo un bel viaggio nella memoria e dalla memoria al futuro. Perché il futuro si costruisce sulla corretta elaborazione del passato. E chi invece pensa o vuole cancellarlo dovrebbe prima quantomeno conoscerlo.

11 giugno 1994

La foto del ragazzo biondo in maglia verde viene dal traguardo di Sestriere al Giro d’Italia del 1994. Era l’11 giugno. Il giorno prima la corsa aveva applaudito l’ultimo attacco di Pantani sul Colle dell’Agnello, vanificato dalla poca collaborazione di Buenahora sul Lautaret che annunciava Les Deux Alpes. Il Giro d’Italia si sarebbe chiuso con la tappa di Sestriere che annunciava la volata di Milano. Berzin resisteva in maglia rosa, conquistata il quarto giorno e mai più mollata.

Neve a Sestriere

«Fu il classico giorno da pronti, via – ricorda Coppolillo – con il Lautaret, il Monginevro e due volte Sestriere. Nevicava. Andai in fuga e speravo che al primo passaggio sul traguardo ci avrebbero fermato, invece no. Ci tengo a dire che per me era la quarantunesima tappa, perché avevo fatto anche la Vuelta che finiva sette giorni prima del Giro. E l’avevo fatta sempre all’attacco, perché ero e resto un operaio del ciclismo. Insomma, come fu non ricordo. Ma sul Lautaret vidi che partiva la fuga e mi buttai dentro».

Mauro Vegni, Morbegno, Giro d'Italia 2020
Mauro Vegni a Morbegno, messo davanti al fatto compiuto
Mauro Vegni, Morbegno, Giro d'Italia 2020
Vegni, nel giorno dello sciopero

Gestione sbagliata

Le lotte sindacali, qualunque sia l’ambito di cui si vuole parlare, sono state e vengono ancora fatte per migliorare le condizioni di lavoro. Anche il ciclismo ha intrapreso questa strada. Ha ridotto i chilometraggi rispetto agli anni in bianco e nero. Ha umanizzato gli orari di gara. Ha imposto l’uso del casco. Ha sposato la tutela della salute, combattendo il doping e le condizioni climatiche estreme. Ha avallato l’utilizzo dei pullman per non lasciare i corridori al freddo delle partenze e degli arrivi. Poco sta ancora facendo per la sicurezza stradale a vantaggio di chi usa la bici ogni giorno. Ma non ha voltato le spalle alla sua storia, che lo vede sport di fatica e sacrificio. Il solo capace di guardare negli occhi il calcio e far dire ai suoi attori e ai suoi appassionati che «noi non ci fermiamo perché piove, noi non siamo signorine!». Quello che è successo ieri poteva avere un fondamento condivisibile, ma è stato fatto in modo poco corretto, con l’atteggiamento degli studenti che si parlano in una chat segreta per non farsi sentire dai professori. E i professori sono i loro direttori sportivi e i team manager.

Anche Michele è direttore sportivo di una squadra U23, che si chiama #InEmiliaRomagna.

La storia insegna

«Ci sono le tappe in cui le condizioni sono avverse – dice Coppolillo – la storia insegna. E’ stato sbagliato il metodo, piuttosto davanti a un problema serio bisognava organizzarsi prima, non a mezz’ora dalla partenza. E poi se parti, arrivi. Non ti fermi dopo dieci chilometri. Tutti sanno e nessuno sa. Quando succedono queste cose, vengono fuori tutte le debolezze di questo mondo. Io ai miei ragazzi insegno che ciclismo significa anche sacrificio, freddo e pioggia. E anche io penso che la sicurezza venga prima di tutto. Non mi piace dire come fossimo ai miei tempi. Il Giro a ottobre forse è una forzatura, ma questo abbiamo. Due mesi fa non si sapeva nemmeno se si sarebbe ripartiti. La tappa di 250 chilometri fra i tapponi c’è sempre stata. Quella che va insegnata nelle categorie giovanili è la vera essenza del ciclismo. Se un padre è troppo indulgente, il figlio non cresce bene».

Michele Coppolillo, Michele Bartoli, NoiConVoi 2016
La bici ora è un piacere: Copolillo con l’ex capitano Michele Bartoli
Michele Coppolillo, Michele Bartoli, NoiConVoi 2016
Con l’ex capitano Michele Bartoli

Rosa Berzin

A Sestriere vinse Pascal Richard, che con quei posti doveva avere una qualche affinità, dato che l’anno successivo a Chianale avrebbe vinto la tappa fermata in anticipo per le slavine sul Colle dell’Agnello. Secondo arrivò Ruè, mentre Coppolillo si piazzò al terzo posto, staccato su quell’ultima salita di 1’31” dallo svizzero. Pantani e gli altri di classifica arrivarono a 4’36”, consacrando la rosa del russo Berzin.

Il vento in faccia

«Agli atleti – riprende Coppolillo – bisognerebbe far toccare con mano che cosa significa gestire una squadra, magari d’inverno. Mettersi lì e far vedere cosa c’è in ballo. Io da corridore non me ne rendevo conto e anche Cunego ieri in diretta ha ammesso di aver scoperto un lato del ciclismo che non conosceva. So anche di aver fatto tappe peggiori di quel giorno a Sestriere. Quella di Corvara al Giro del 1992. Certi giorni alla Vuelta, che si correva ad aprile, sulla Sierra di Madrid, sempre nella neve. Le corse del Belgio, che in un solo giorno vedevi le quattro stagioni. Ho letto qualche commento sul fatto che è sempre facile commentare dal divano, ma la bicicletta è questa. E non parlo così perché ho dimenticato, ma proprio perché lo so bene. Anche io ho partecipato ai miei scioperi, ma ieri si poteva correre. I ragazzi dobbiamo formarli a tutto tondo, non solo perché siano delle macchine da corsa. Lo vedo bene che adesso vanno fortissimo, però hanno queste lacune e in certi momenti sono un po’ molli. Il vento in faccia è diverso da quello di su un rullo, ma mi rendo conto che non tutti la pensano così».