Paolo Mei: lo speaker un po’ biker e un po’ star

26.12.2021
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«Il bravo speaker ti dà la parola, non la toglie mai. E paradossalmente deve saper stare in silenzio». Può suonare strano a chi non conosce bene il suo mestiere, ma nel corso della sua carriera lo ha imparato presto seguendo esempi di bravi colleghi.

Paolo Mei, voce del Giro d’Italia dal 2011 in coppia con Stefano Bertolotti, è arrivato al microfono quasi per caso ed ora è uno degli… oratori più eclettici. Multidisciplinari, diremmo. Nel suo repertorio non c’è solo il ciclismo su strada, Mtb e ciclocross, ma anche atletica e tanti sport invernali.

L’ultimo impegno dello speaker originario di Cogne è stato lo sci alpino per lo slalom speciale di Coppa del mondo del 22 dicembre a Madonna di Campiglio. Una gara chiusa col francese Noel, in netto vantaggio, che cade sull’ultima porta a due metri dal traguardo e dalla vittoria certa. Un finale clamoroso, all’incirca lo stesso del mondiale di Gap ’72, quando Basso beffò il solitario e sfinito Bitossi proprio sulla linea.

Lavora dal 2011 con Stefano Bertolotti: i due si completano
Lavora dal 2011 con Stefano Bertolotti: i due si completano

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Mentre è in viaggio, facciamo compagnia a Mei al telefono perché, lo sappiamo, ha sempre tanto da dirci. Però siamo noi a svelargli un retroscena sugli ultimi istanti di Campiglio. L’altro francese Pinturault nelle interviste post-slalom dichiara di essere stato un po’ distratto, durante la propria prova, dallo speaker che annunciava il suo “tempo verde”, ovvero il vantaggio sugli avversari. Questi continui aggiornamenti non avrebbero fatto rischiare troppo lo sciatore transalpino che poi ha concluso secondo a 10 centesimi dal norvegese Foss-Solevaag.

Paolo, partiamo da quest’ultima cosa…

Ah, l’ho fatto perdere io Pinturault (ride, ndr)? No, non credo. Ma scherzi a parte, è simpatica questa cosa, significa che gli atleti ci ascoltano. E’ stata una serata incredibile. Visto cosa è successo a Noel? Mai commentato nulla di simile.

La carriera di speaker iniziò durante un infortunio, quando correva in Mtb. Qui nel 2008
La carriera di speaker iniziò durante un infortunio, quando correva in Mtb. Qui nel 2008
Come sei arrivato a fare lo speaker?

Ero geometra e nel weekend andavo a fare serate di musica, amavo cantare. Avevo già un certo feeling col microfono. Però continuavo anche a correre in Mtb. Durante un allenamento in preparazione ad una gara a cui ero iscritto, mi ruppi una gamba in cinque punti. Mi ricordo bene la data dell’incidente, era il 7 maggio del 2002. Vista la mia impossibilità a partecipare, gli organizzatori mi chiesero di andare a Chatillon a commentare la corsa, visto che conoscevo tutti e avevo la giusta parlantina. L’ho fatto per ridere quel giorno, ma mi era piaciuto. Poi praticamente nulla fino al 2009, prima stagione veramente piena di eventi. E sapete quando ho debuttato come speaker al Giro d’Italia? Il 7 maggio 2011 (cronosquadre Venaria Reale-Torino, ndr).

Che tipo di speaker sei?

Credo di essere moderno. Ho uno stile a metà tra l’intrattenitore e il tecnico. Attenzione, non significa che io non sappia o non voglia snocciolare i dati della corsa o dei corridori. Le chicche vanno usate e misurate per accattivarsi il pubblico. Dobbiamo farlo divertire senza fare monologhi. Preferisco, anzi ormai è essenziale, interagire con un dj e alternare la voce con la sua musica.

Al Giro d’Italia fai sia partenza che arrivo. Quale preferisci?

Mi piacciono entrambe, ma sono cose diverse. Da una parte c’è il palco e dall’altra la cabina. In partenza puoi coinvolgere di più l’appassionato, perché respira molto di più la magia e la routine del corridore. E lo può vedere da vicino per tanto tempo. All’arrivo invece descrivi emozioni e aspetti tecnici. Se poi c’è un arrivo in volata, l’intensità della gara è racchiusa in un minuto e i corridori fuggono subito ai bus. In tutto questo sono molto fortunato a fare queste due fasi con due amici, più che colleghi, come Barbara Pedrotti al mattino (i due sono insieme in apertura, ndr) e Stefano Bertolotti al pomeriggio. Ho un gran rapporto con loro. E’ importante avere figure professionali come loro con cui aiutarsi, scambiarsi feedback. 

Al Giro del 2018, raccontando la vittoria di Chris Froome
Al Giro del 2018, raccontando la vittoria di Chris Froome
Sei legato a qualche altro collega?

Certo, ne ho due. Zoran Filicic, bravissimo e molto preparato. La Tirreno-Adriatico del 2011 la fece aprire a me, con mio grande stupore. Quel giorno ho pensato che un giorno avrei voluto essere come lui con chi avrebbe lavorato con me in futuro, che fossero esperti o meno. L’altro è Salvo Aiello. L’ho conosciuto al termine della terza tappa di quella Tirreno che commentava per Eurosport. Chiamò Zoran per complimentarsi con lui perché nello sprint al fotofinish aveva azzeccato il vincitore (Juan Josè Haedo della Saxo Bank, ndr) aiutandolo in telecronaca. Invece Zoran gli disse che ero stato io. Da allora con Salvo siamo diventati buoni amici e forse è il modello di speaker a cui mi ispiro di più, pur avendo lavorato pochissimo con lui.

Come ti prepari per le gare?

Devo dire che continuando a commentare corse per così tanto tempo, tendi a ricordarti quasi tutto. C’è la tecnologia che ci aiuta adesso, però gli appunti ce li ho sempre con me e li ripasso. Nella Mtb, che è sempre stata la mia disciplina, devo tenermi sempre ben aggiornato e ammetto che quest’anno per i mondiali in Val di Sole ho studiato veramente tanto. Stessa cosa la faccio per le gare sulla neve.

Un po’ speaker e un po’ intrattenitore: il ruolo dello speaker moderno
Un po’ speaker e un po’ intrattenitore: il ruolo dello speaker moderno
Come gestisci l’errore?

Intanto bisogna dire che purtroppo si fanno, anche se in alcuni momenti sono vietati. Poi c’è errore ed errore, vanno contestualizzati. Ad esempio in un concitato sprint al fotofinish, meglio creare suspense e non affrettare il nome se non siamo sicuri. Non dobbiamo fare vedere che siamo i più bravi, perché se poi sbagliamo facciamo una brutta figura. Se invece commettiamo un errore leggero, allora meglio ammetterlo in modo simpatico o senza prendersi troppo sul serio.

Paolo, per chiudere. Come mai si fa fatica a trovare nuovi speaker?

Non ho la risposta e non capisco il motivo. Ad esempio molti giovani amatori forse sono troppo mentalizzati a correre in bici, invece dovrebbero buttarsi a provare col microfono, che è un lavoro bellissimo. E poi su, non vorrete mica che Bertolotti ed io continuiamo a fare questo lavoro fino a 90 anni? Spero per il bene del ciclismo che non accada mai (ride, ndr). 

Ronchetti, il mestiere dello speaker prima del computer

15.09.2021
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«In quel momento lo speaker è come dei venditori e se vuoi che la gente acquisti devi essere chiaro nel parlare, nello spiegare».

Il ruolo dello speaker per Bruno Ronchetti si può sintetizzare con questa frase. Ma non è l’unica cosa che ci ha detto, figuratevi se si è limitato a questo, lui che ama ancora raccontare. E quanti aneddoti legati agli inizi della sua carriera.

Il suo ritmo è ancora bello incalzante proprio come quando era la voce del Giro d’Italia e delle maggiori corse di professionisti e dilettanti negli anni ’90/2000. Ronchetti, modenese di Nonantola classe ’41, è stato fonte di ispirazione per tanti speaker moderni, come ci aveva detto Stefano Bertolotti recentemente. E prendendo spunto da quella intervista lo abbiamo voluto sentire per capire le differenze tra le due epoche.

Al Giro delle Valli Aretine del 1985, vinto da Claudio Santi
Al Giro delle Valli Aretine del 1985, vinto da Claudio Santi
Innanzitutto oggi cosa fa Bruno Ronchetti? 

Sono appena tornato da una bella crociera tra Grecia e Croazia insieme a coppie di amici. Vado ancora a qualche evento, ma principalmente mi godo la pensione e guardo le corse da fuori.

Invece come è nato Ronchetti speaker?

Ce l’ho sempre avuto nel sangue. Partiamo da molto lontano. Mio nonno aveva usato la radio ad inizio ‘900, un po’ per necessità e un po’ per diletto. I suoi racconti mi erano rimasti impressi e a scuola, fin dai primi temi che ci davano le maestre, scrivevo che da grande avrei voluto lavorare col microfono. Molti miei compagni mi chiedevano cosa fosse e gli rispondevo: «Mi vedrete con quell’aggeggio in mano molto presto». Ma ci fu un’altra folgorazione, che tuttavia mi fece passare un brutto quarto d’ora a casa.

Quale? 

Nella via centrale del mio paese, Nonantola, c’erano due bar dove ascoltavano il Giro d’Italia alla radio. Uno era “coppiano” e l’altro “bartaliano”. In quei giorni andavo in bici in centro per sentire la cronaca un po’ in un bar e un po’ nell’altro. Vedevo la gente appassionata al racconto della corsa. Mi sarebbe piaciuto essere colui che raggruppava tutte quelle persone per ascoltarmi. E così pensai di fare una cosa che fece arrabbiare mia mamma.

Ronchetti è stato a lungo speaker della Sei Giorni delle Rose di Fiorenzuola
Ronchetti è stato a lungo speaker della Sei Giorni delle Rose di Fiorenzuola
Il famoso brutto quarto d’ora. Raccontaci.

Era il 1953, avevo dodici anni. A Modena il Giro ci rimase per tre giorni (dal 21 al 23 maggio, ndr). Io scappai in bici da Nonantola senza dire nulla a nessuno, perché altrimenti me lo avrebbero vietato. Volevo andare a vedere la prima di quelle tre tappe. Dopo l’arrivo riuscii a mettere la mia mano destra sulla spalla di Coppi facendogli i complimenti. Lui fece un cenno di ringraziamento. Ero il bambino più felice della terra e l’idea sarebbe stata quella di tornare il giorno dopo ad assistere alla cronosquadre dentro al vecchio autodromo di Modena. Invece quando arrivai a casa, trovai mia madre preoccupata e arrabbiata per la mia assenza, anche se mio padre gli aveva detto che quasi certamente ero andato là.

Come andò a finire?

Feci appena in tempo a dirle che avevo toccato Coppi, prima di prendere uno di quei rimbrotti che non scordi facilmente. Ma ero felice, anche perché poi, un paio di anni più tardi, iniziai a correre debuttando da esordiente nella Carpi-Serramazzoni con una squadra di Soliera.

A che punto ritroviamo Ronchetti col microfono in mano. Come ti preparavi?

Sì, arriviamo un po’ più ai giorni nostri. Avevo un grosso quadernone, quasi un libro, dove mi appuntavo tutto. Il nome di tutti i professionisti, con i loro dati, la loro carriera e il loro palmares. E poi gli albi d’oro delle corse. Un lavorone! Ogni anno poi lo aggiornavo aggiungendo i neoprofessionisti. Era un mio almanacco personale.

Assieme a Stefano Bertolotti e Paolo Mei, attuali voci del Giro
Assieme a Stefano Bertolotti e Paolo Mei, attuali voci del Giro
Bertolotti ci ha confermato che adesso per certi versi è più semplice rispetto al passato perché la tecnologia può aiutare. Cosa ne pensi?

Ha ragione Stefano, smartphone e computer ti possono davvero salvare. Attenzione però, perché sono un arma a doppio taglio. Adesso anche l’uomo della strada può sapere tutto di tutti e se non sei preciso o sbagli, sono subito pronti a criticarti e a rimarcare il tuo errore. Forse bisogna essere più bravi adesso di prima.

Quindi com’era la figura dello speaker ai tuoi tempi, come gestivi gli eventuali errori?

Lavoravamo in un periodo in cui non c’erano tante immagini, anche solo vent’anni fa rispetto ad oggi. Vi ricordate che inizialmente “Tutto il calcio minuto per minuto” faceva partire le radiocronache solo dal secondo tempo? E la gente stava a quello che sentiva. Ecco noi davamo gli aggiornamenti di radio corsa cercando di essere il più dettagliati possibile, ma senza disperarci troppo se talvolta dicevamo una imprecisione. Sia chiaro, non raccontavamo frottole e ovviamente col passare del tempo siamo diventati sempre più professionali, evoluti. 

Come si gestiscono le brutte notizie in corsa? Eri tu lo speaker nel ’99 quando venne escluso Pantani dal Giro.

Nel primo caso a Madonna di Campiglio praticamente ho omesso di raccontare quello che stava accadendo. All’epoca non c’era un vero e proprio podio firma come adesso, c’era un palco più piccolo dove salivano i corridori per firmare. Era molto più in mezzo alla folla, meno isolato e distanziato rispetto ad ora. Quel giorno di fronte a me c’era un camper dell’organizzazione dove facevano diversi controlli. Mi comunicarono che lì dentro c’era Marco e che non sarebbe partito. Poi venne da me Carmine Castellano, il direttore del Giro.

Cosa voleva?

Mi disse di non dire nulla e andare via una volta finita la fase delle firme. Altrimenti ci sarebbe stato il caos più totale. Lui era di quelli che non voleva grane. Quindi omisi tutto e alla gente che mi chiedeva qualcosa rispondevo: «Non so nulla, io vengo da Nonantola».

A un raduno di ex corridori della Giacobazzi. Si riconoscono Fontanelli, Amadori, Giuliani, Pantani e anche Cassani
A un raduno di ex corridori della Giacobazzi. Si riconscono Cassani e Pantani
Per finire, Bruno Ronchetti che consigli dà agli speaker di oggi.

Intanto mi sento di dire che è difficile trovare nuovi speaker. Poi di usare bene la voce. Non bisogna essere monocorde, ma nemmeno urlare sempre. La gente non ama chi strilla, anche perché si rischia di non capire nulla. Ad esempio Bertolotti e qualche suo collega lo hanno capito e sono bravi davvero. Altri invece non sono troppo piacevoli da ascoltare. Ad uno che conosco, recentemente ho detto che quando alza il tono la sua voce diventa stridula. Bisogna lavorare anche su quello. Fare lo speaker per me è un’arte, lo dico da sempre. Mentre stiamo commentando una gara in quel momento siamo come dei venditori e se vuoi che la gente acquisti devi essere chiaro nel parlare, nello spiegare.

Bertolotti, ci racconti il mestiere dello speaker?

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Non tutti gli speaker nascono con il microfono in mano, ma a volte lo incontrano e non lo lasciano più. Alcuni degli “oratori” del ciclismo hanno iniziato per caso, per gioco o per occorrenza, quasi per un’emergenza. Qualche giorno fa chiacchierando con Claudio Santi sulla sua Seigiorni delle Rose di Fiorenzuola ci aveva detto che fu lui a scoprire Stefano Bertolotti come speaker più di venti anni fa.

E noi abbiamo voluto sentire il lodigiano che è una delle voci del Giro d’Italia dal 2011 – al pari di Paolo Mei – e che negli anni è diventato l’attuale addetto stampa dell’UEC, l’Unione Europea Ciclistica. Nelle prossime settimane viaggerà su diverse manifestazioni tra Slovenia, Serbia, Olanda, Portogallo e Trentino per conto della federazione continentale con diversi ruoli.

Prima edizione degli europei pro’, Plumelec 2016: vince Sagan, Bertolotti lo intervista
Prima edizione degli europei pro’, Plumelec 2016: vince Sagan, Bertolotti lo intervista
Stefano raccontaci i tuoi inizi.

La primissima esperienza al microfono è stata quando non ero ancora diciottenne. Mia madre era presidente del Comitato Provinciale di Lodi, si organizzavano alcune gare di dilettanti dove tutti facevano tutto e io, che avevo smesso di correre tra gli allievi da poco, chiesi di fare radio-corsa. Mi divertii, ricevetti dei complimenti da tutti. Per me era finita lì, invece mia madre mi aveva trovato un paio di gare di giovanissimi da commentare. Non ci volevo andare perché non mi sentivo pronto a parlare in pubblico, ma mia madre mi fece capire che non potevo tirarmi indietro e che al limite non ne avrei più fatte. Alla fine invece mi trovai a mio agio e ho continuato con le gare dei bambini.

Santi però rivendica di essere stato il tuo talent scout.

In un certo senso è vero. Lo conobbi nel 1996 mentre facevo la presentazione del Pedale Castellano (formazione piacentina giovanile di Castel San Giovanni, ndr) poi due anni più tardi, quando avevo 23 anni, mi affidò il ruolo di speaker della prima edizione della Seigiorni e da allora non ne ho saltata una. Nel mezzo, nel 1997, avevo fatto da spalla al mitico Bruno Ronchetti proprio in una prova di Coppa del mondo di pista disputata a Fiorenzuola. 

Il debutto di bertolotti alla Seigiorni di Fiorenzuola, prendendo il posto di Bruno Ronchetti
Il debutto di bertolotti alla Seigiorni di Fiorenzuola, prendendo il posto di Bruno Ronchetti
Ci ha detto che fu criticato per quella scelta. Pensa un po’ alle volte…

Sì sì, mi ricordo che glielo disse più di una persona che era un azzardo, soprattutto perché avrei sostituito Ronchetti, giustamente ritenuto una istituzione che già faceva Giro d’Italia, Tirreno-Adriatico e Milano-Sanremo e che per me era un modello da seguire. Non so, magari qualcuno negli anni si è ricreduto. Di sicuro devo dire che sono molto grato a Claudio Santi, che mi ha dato fiducia che ero un ragazzo.

Sembra però che ora non ci sia nessun giovane che voglia fare lo speaker. Benché tu ed altri tuoi colleghi non siate vecchi, si può dire che non ci sia un ricambio generazionale?

Sì, mancano le nuove leve, quantomeno in alcune zone. Tante volte ricevevo proposte di andare a fare lo speaker fino in fondo alle Marche ed io pensavo subito “Ok, vado molto volentieri ma possibile che tra Lodi e Macerata, ad esempio, non ci sia uno speaker per il ciclismo?”. In altre parti d’Italia invece c’è un ricambio migliore. 

Bisogna dire però che ci sono speaker e speaker, quindi è comprensibile che ti chiamino da lontano.

Sì vero, ci possono essere delle differenze tra di noi, però è anche meglio che ci siano. Ognuno ha il proprio stile, non rischiamo di uniformarci ed essere tutti uguali.

Con Paolo Mei, una coppia affiatata da 10 anni
Con Paolo Mei, una coppia affiatata da 10 anni
Cosa ti piace di uno speaker?

Vado nello specifico e personalmente sono fortunato a lavorare con Paolo Mei, grande professionista, con cui faccio coppia di microfoni da 10 anni esatti e sembra che lavoriamo insieme da una vita. Non abbiamo mai avuto un mezzo problema, ci intendiamo al volo, sia nelle difficoltà sia negli spunti, sappiamo essere complementari. Quindi apprezzo lo speaker che sa cavarsela nelle situazioni più scomode, come quando alle gare giovanili non va radio corsa oppure hai la gente che sale sul palco per chiederti informazioni strane o viene a disturbarti. Bisogna avere una buona capacità di problem-solving, poi dipende dal nostro carattere. 

E cosa non ti piace?

Non mi piace invece quando uno speaker non ha alcuni accorgimenti, come quando tendono ad accentuare una caduta, magari in volata, descrivendola come un evento catastrofico. Dobbiamo ricordarci, specialmente alle gare giovanili o dei dilettanti, che sono presenti genitori e parenti dei corridori che possono allarmarsi più del dovuto. Dobbiamo avere certe delicatezze in certe circostanze pur senza perdere la cronaca e il racconto della corsa.

E gli eventuali errori come si gestiscono?

Può capitare, non siamo infallibili, la svista è dietro l’angolo. Certo, ci vuole molta attenzione perché il pubblico ci ascolta e letteralmente pende dalle nostre labbra, però come dico da sempre anche ai miei colleghi del Giro d’Italia, non siamo chirurghi che devono salvare vite umane e pertanto il paziente lo portiamo sempre a casa vivo.

La bicicletta (gravel) è la sua grande passione (foto Instagram)
La bicicletta (gravel) è la sua grande passione (foto Instagram)
Piccolo break, tu sei anche addetto stampa. Cosa ti piace e cosa no dei comunicati stampa.

Mi piacciono i comunicati essenziali, con tutte le informazioni e le fasi salienti della gara descritte in modo sintetico. Il comunicato non deve essere un articolo di giornale, errore che tendono a fare in tanti. Infatti non mi piacciono quei comunicati prolissi e soprattutto che non hanno una firma o un riferimento telefonico di chi lo ha redatto.

Torniamo al microfono. Quanto è cambiato il ruolo di speaker da quando hai iniziato ad ora.

C’è una bella differenza. Sono cambiate tante cose ed io sono riuscito ad adattarmi bene. Prima lo speaker era una figura didascalica, che elencava tutto quello che aveva fatto un corridore, quasi a monopolizzare la cronaca della gara in questo modo e non c’era quasi nessuna parte di show, se mi concedete il termine. La mia estrazione giornalistica mi portava a questo agli inizi. Ora invece c’è un vero e proprio intrattenimento, soprattutto nelle gare pro’ o di alto livello, grazie anche alla musica o ad un dj che spezza giustamente il racconto dello speaker. Ci vuole una buona sintonia e bisogna saper conoscere o rispettare i tempi.

Bisogna essere un po’ intrattenitori?

Bisogna saper giocare con la voce per coinvolgere il pubblico anche mentre fai la cronaca degli ultimi chilometri. Personalmente preferisco lo stile moderno dove lo speaker dà le informazioni essenziali a chi ascolta, in modo che anche la signora non appassionata di ciclismo che però è a bordo strada a seguire i corridori possa capire subito chi è in fuga o chi sta per vincere o come si sta svolgendo la corsa.

La collaborazione fra Santi e Bertolotti è ormai storica: fu davvero Santi a lanciare il lodigiano
La collaborazione fra Santi e Bertolotti è ormai storica: fu davvero Santi a lanciare il lodigiano
Come si prepara uno speaker per un evento?

Deve farlo come se fosse la prima gara che commenta. Rispetto a tanti anni fa ora è facilissimo reperire tante informazioni sui corridori e sulle corse. Talvolta lo smartphone ci è stato di aiuto per prendere notizie di un corridore sul quale magari sei meno preparato. Avere una buona memoria può aiutare, ma non è fondamentale perché bisogna studiare sempre tutto. Anzi io sono per scriversi sempre tutti gli appunti o una scaletta anche se sono semplici. Non bisogna dare nulla per scontato, io mi scrivo ancora che ruolo ha un dirigente o cosa ha vinto un corridore che conosco benissimo.

Chiudendo, hai qualche nuova sfida che ti piacerebbe affrontare?

Non so, visto che siamo in periodo, forse le Olimpiadi (ride, ndr) ma chissà quando le faranno in Italia. Battute a parte, non ci crederete ma già arrivare al Giro d’Italia era un sogno che mai avevo preso in considerazione. Tutto quello che viene per me va bene, l’importante è che io abbia ancora questo entusiasmo per fare questo lavoro. Quando non ce lo avrò più dovrò farmi delle domande e trovare delle risposte in fretta.