Vuelta Espana 2025, ultima tappa MAdrid, protesta pro Palestina, disordini, tappa annullata

EDITORIALE / La Vuelta si ferma, il resto va avanti

15.09.2025
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Dopo due tappe rimodellate per la presenza dei manifestanti pro Palestina, ieri la Vuelta ha dovuto cancellare il finale di Madrid. Il corteo è diventato distruttivo. Le transenne sono state divelte. I palchi sono stati occupati. I corridori sono stati fermati. Si parlava da giorni dell’impossibilità che l’ultima tappa si svolgesse regolarmente, ugualmente però i velocisti hanno tenuto duro sulla Bola del Mundo e ogni altra salita, sperando di avere l’ultima chance che non c’è stata.

Di questo tema abbiamo già scritto in occasione della tappa di Bilbao, privata ugualmente del finale. Avevamo trovato fuori luogo l’osservazione di Vingegaard, dispiaciuto per non aver potuto vincere l’orsacchiotto per suo figlio che compiva un anno, percependo il gruppo della Vuelta come un’entità avulsa dal contesto sociale e politico in cui viviamo. Da allora, sia il danese ledaer della corsa sia altri rappresentanti del gruppo hanno trovato però il modo per rimarcare l’orrore di quanto sta accadendo a Gaza, riconoscendo le ragioni di chi protesta, ma stigmatizzando le azioni violente. Posizione anche questa ineccepibile.

Un podio posticcio a tarda sera: così Vingegaard riceve il trofeo della Vuelta, davanti ad Almeida e Pidcock (immagine @lavuelta)
Un podio posticcio a tarda sera: così Vingegaard riceve il trofeo della Vuelta, davanti ad Almeida e Pidcock (immagine @lavuelta)

Uno sport di strada

Il ciclismo sta in mezzo alla gente ed è impossibile chiuderne l’accesso. E’ il bello del nostro sport e insieme la sua condanna, quando certi limiti non sono soltanto dati dalle transenne, ma anche dalle varie volontà politiche.

Se una manifestazione decide di bloccare una corsa, non ci sono reparti di celerini che tengano. La corsa magari passa, ma in un contesto inaudito di violenza. Vale la pena caricare centinaia di manifestanti, se l’alternativa è fermare un evento sportivo WorldTour che vede al via alcuni tra i più forti professionisti al mondo? Certo che no, il ciclismo si farà da parte per quel senso di responsabilità che l’ha sempre accompagnato. Non ci sono biglietti da rimborsare e tutto sommato i corridori sono abituati a chinare il capo.

La Gran Via di Madrid è stata invasa dai manifestanti in un baleno: la Vuelta non poteva che essere fermata
La Gran Via di Madrid è stata invasa dai manifestanti in un baleno: la Vuelta non poteva che essere fermata

Il ciclismo che subisce

Come quando lo sport decise di dichiarare guerra al doping e si lanciò in campagne sul non rischiare la salute e altri slogan vanificati dall’esperienza. Aderì soltanto il ciclismo, nel nome dello stesso senso di responsabilità. Il ciclismo sapeva – dicono i ben informati – di avere situazioni da sanare. Lo sapevano anche gli altri – si potrebbe rispondere – ma ritennero che non fosse un problema. I calciatori beffeggiarono la necessità di sottoporsi ai controlli. Rino Gattuso, l’attuale cittì della nazionale di calcio, rifiutò di sottoporsi a un prelievo ematico: poté farlo perché per loro si trattava di controlli su base facoltativa, che per i ciclisti erano invece obbligatori.

Sull’altare di quella correttezza, pertanto, il ciclismo immolò alcuni dei suoi campioni più carismatici, il più delle volte senza un’evidenza sostenuta da prove. Per delle percentuali di ematocrito, poi ritenute inaffidabili. Oppure per cervellotici algoritmi australiani, poi cancellati. Per quantitativi infinitesimali di sostanze che più di recente sono state ritenute una colpa lieve e punite con tre mesi di squalifica. Non ci stancheremo mai di ripetere che per un caso identico a quello di Sinner, Stefano Agostini prese due anni di squalifica e smise di correre. E la normativa nel frattempo non è cambiata.

Il gruppo fermato all’ingresso nel cicrcuito di Madrid. Ivo Oliveira parla con un uomo della Guardia Civil
Il gruppo fermato all’ingresso nel cicrcuito di Madrid. Ivo Oliveira parla con un uomo della Guardia Civil

Il mondo non si schiera

La protesta della Vuelta era nata per fermare la Israel-Premier Tech, poi è degenerata. Si è fatto più volte il paragone con la russa Gazprom, fermata quando la Russia iniziò l’invasione dell’Ucraina: lo abbiamo fatto anche noi. Eppure ha detto bene il presidente dell’UCI Lappartient: la disposizione scattò quando, in seguito alle disposizioni politiche internazionali, il CIO decise di fermare lo sport russo. Contro Israele nessuno ha detto nulla. Da quelle parti hanno il diritto di bombardare, affamare e azzerare una popolazione, figurarsi se qualcuno troverà mai utile parlare del loro diritto allo sport.

Per questo, di fronte alla codardia o alla convenienza politica internazionale, i manifestanti hanno attaccato uno dei pochi sport che non si può difendere, che non divide diritti televisivi e non ha biglietti da rifondere. Sarebbe invero stupendo, per quanto utopistico, che lo sport si fermasse anche solo per un minuto per commemorare le vittime di quel conflitto disumano, senza bisogno di manifestanti. E’ inutile tuttavia aspettarsi che accada. Sarà curioso invece vedere cosa accadrà il 14 ottobre a Udine, quando l’Italia si giocherà contro Israele la qualificazione per i mondiali di calcio. Di certo uno stadio dotato di cancelli e barriere sarà un luogo più facile da difendere di un viale alberato delimitato da semplici transenne.

«Corridori indifendibili», Bettini duro

23.10.2020
3 min
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Paolo Bettini è un fiume in piena. «La decisione di oggi non la condivido e non la capisco». Il riferimento è alla protesta andata in scena al via della 19ª tappa, Morbegno-Asti che era anche la più lunga del Giro (258 chilometri).

Protesta inattesa

«E’ stato un gran caos – dice l’ex iridato al seguito della corsa rosa con Mediolanum – Stamattina ero in hotel a Mantello, nei pressi di Morbegno. Quando sono partito pioveva e c’erano 13 gradi. Ad un certo punto mentre andavo ad Alessandria per gli impegni con il Giro, mi giunge voce che Mauro Vegni sposta la partenza a Como. Tra me e me penso: guarda Mauro come vuol bene ai corridori. Gli toglie 25 chilometri. Mai e poi mai avrei pensato ad una protesta in corso. Non c’era motivo. Mi dispiace ma i corridori e i team sono indifendibili».

Per lunghi tratti non hanno trovato pioggia i corridori
Per lunghi tratti non hanno trovato pioggia i corridori

Bettini racconta anche delle sue proteste e di quanto lui stesso fosse un portavoce del gruppo. In una Tirreno-Adriatico restò scottato tanto si espose.

«Poco dopo il via – racconta – c’era da affrontare una salita sulla quale c’era pioggia mista a neve. Si trovò un accordo tra organizzatori e corridori: dopo la firma salite sui bus, così tagliate il pezzo di salita e di discesa incriminati, ci dissero. Recuperate quei chilometri facendo un giro in più nel circuito finale a Paglieta. Ebbene nello spazio del trasferimento avvennero telefonate dall’alto che cambiarono la decisione e io restai da solo. Fu Bramati a tirarmi fuori dall’ammiraglia. Però eravamo d’accordo fino a quel momento. E io ero leader, avevo vinto le prime due tappe e verso Paglieta ero ancora il favorito». 

Mancano i “generali”

«Non dico che avevamo ragione, ma un accordo si trovava una volta. C’era un altro modo di fare. Ci si guardava negli occhi. Dove sono i corridori con gli attributi? Dove sono gli enti (Cpa, Accpi) preposti?

Sapevano da un anno che c’era quella tappa. Sapevano che sarebbe piovuto. Alcuni team sono tornati in hotel tardi e hanno dovuto fare colazione sul bus? Bene, da professionisti con gli attributi ci si parla. Si arriva in partenza, si firma e si parte tranquilli. Passato Milano si fa iniziare la bagarre. Due ore tranquille. Dormito poco, mangiato tardi: nessuno gli avrebbe detto nulla. 

«Una volta eravamo a Livigno. Pioveva e faceva freddo. Sulla Forcola sapevamo che nevicava. Chiamammo Zomegnan e gli esponemmo il problema. Lui ci disse: okay, venite al foglio firma perché sapete quanto sia importante rispettare il via e salite sui bus. Ripartimmo in fondo alla valle. Fu una scelta concertata tra organizzatori, corridori e manager».

Stefano Allocchio direttore di corsa, alla ripartenza da Abbiategrasso
Allocchio direttore di corsa, alla via da Abbiategrasso

Bettini su Vegni

«E poi sapete una cosa. Oggi la mancanza di rispetto non è avvenuta solo nei confronti di tifosi, sponsor… ma nei confronti dei fornitori di abbigliamento. Ci dicono che hanno vestiti super fighi, leggeri, impermeabili, che possono pedalare sotto la pioggia e il freddo e poi non li usano?».

«Non so da chi sia partita la protesta – conclude Bettini – di certo è stato un fallimento di tutti, tanto più dopo un anno così tribolato. Che sia stata la maglia rosa Kelderman? Non credo che un corridore e un team da solo possano aizzare tutto ciò. Evidentemente c’era del malumore. Ma allora i corridori e gli enti preposti dovevano fare le loro rimostranze già la sera prima.

«Vegni è stato l’unico ad aver applicato già una volta il protocollo per la sicurezza. Ha gestito situazioni difficili come la Val Martello. Gli è sempre andato incontro. Il tappone di domani glielo ha alleggerito. Ma oggi con 13 gradi proprio non c’era un motivo. Non bastano la scusa della pioggia, della lunghezza o della stanchezza. Allora che facciamo? Annulliamo la Liegi, che è lunga come la tappa di oggi, ma con 3.800 metri di dislivello? La discesa più lunga verso Asti era quella di qualche cavalcavia».