Serradifalco, dove il ciclismo è di casa. Fina racconta

06.01.2022
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Dalle colline imbrullite di volata fino al mare. Un passaggio rapido sotto i templi di Agrigento e paesi che evocano nomi di grandi scrittori. «La chiamano la Strada degli Scrittori – dice Rosario Fina al volante – perché collega le case di Tomasi di Lampedusa, Camilleri, Pirandello, Sciascia, Rosso di San Secondo e Russell».

Da Caltanissetta a San Leone per il pranzo e ritorno. Il campione del mondo di Oslo 1993 nella Cento Chilometri ci accoglie nella Serradifalco, da cui partì bambino alla conquista del Nord. Se oggi ci si accapiglia per chi vuole passare professionista a 18 anni, vale la pena ricordarsi di quando una regola altrettanto odiosa (ma a suo modo lungimirante) impediva ai giovani siciliani di correre fuori regione. Rosario la affrontò e la sconfisse. Sbarcò a Bergamo vincendo un mondiale juniores nel 1987, poi uno da dilettante nel 1993, corse per tre anni da pro’ e se ne andò a carriera conclusa.

«Tornai a casa – dice – nonostante dopo 20 anni a Bergamo, da atleta e poi da tecnico della nazionale, avrei potuto costruirmi una vita lassù. Qualcuno mi disse che nascere in Sicilia è una sfortuna, quasi una droga. Perché siamo immersi in colori così forti, che il richiamo è fortissimo. Impossibile sottrarsi. Non ho mai pensato che essere meridionale sia un disonore e così sono tornato».

Uomo del mercato

Fina è uno dei più grossi distributori di marchi ciclistici del Centro Sud, capace di fare numeri ragguardevoli con brand come DMT e BMC, dopo essere stato per anni l’uomo forte di Cannondale. Con i primi soldi comprò anche una casa di campagna che oggi è un B&B dal nome di Sicily Bike.

Oggi la sua carriera è sulla porta di un’altra grande svolta: l’acquisto di un capannone nella zona industriale del paese imprimerà all’attività una forte accelerazione. Lo sta ristrutturando, con il supporto della compagna Cristiana, commercialista, che vive in Piemonte e proprio in questi giorni farà ritorno a casa. Quando sei corridore, le distanze non fanno paura. Quando vivi accanto a un corridore, ti abitui a capirlo.

Con la compagna Cristiana, piemontese, che ora è anche sua socia in affari
Con la compagna Cristiana, piemontese, che ora è anche sua socia in affari
Atleta e imprenditore: ci sono punti di contatto?

Tantissimi. Il fatto di lavorare per progetti, la capacità di gestire un team e la tensione dei grandi appuntamenti. Quando ci siamo aggiudicati il capannone, non sapevo quanti rilanci avrei potuto reggere. Mi sono voltato verso Cristiana e vedendola con il pollice verso l’alto, ho avuto la sensazione di quando ero al limite in salita e qualcuno mi diceva che dietro la curva c’era il Gpm. E così l’asta l’abbiamo vinta noi.

Mondiali da junior e da dilettante, poi tre anni da pro’…

Ho fatto mie le parole di Franco Ballerini, quando si lavorava per i mondiali di Varese (i due sono insieme nella foto di apertura, proprio in quei giorni, ndr). Lui con i pro’ e io con gli U23. Quando si va verso le convocazioni, è giusto non dormire la sera prima. Dal giorno dopo però devi essere così sicuro delle scelte, che dormi bene e lavori meglio. Io ho smesso, decidendo di portare avanti la mia attività, contento che i miei meriti sportivi siano riconosciuti. Feci la scelta decisiva nel 2005 quando diedi le dimissioni da tecnico delle donne, perché non riuscivo a tenere i piedi in due scarpe. Fui richiamato nel 2008-2009 per gli U23, ma fu solo una parentesi.

Fina corridore e Fina tecnico.

Due mondi diversi. Il corridore metteva a frutto le doti di cui madre natura l’aveva dotato. Il mio motore era tale che potessi e dovessi pensare di far risultato. C’erano anche momenti di felicità, rapidi ma belli. Il Fina tecnico ha avuto grandi soddisfazioni perché riusciva a trasmettere i propri valori agli altri.

Cosa è successo nel mercato delle bici con il Covid?

Abbiamo vissuto momenti di pazzia assoluta. Prima chiusi per un mese e mezzo, convinti che saremmo falliti, chiedendoci come pagare i fornitori e come i negozi avrebbero pagato noi. Il 5 maggio 2020 invece, quando ci hanno permesso di riaprire, è successa una cosa impensabile. La rincorsa alle bici e le code fuori dai negozi. Siamo riusciti a ripianare le perdite e chiudere in attivo. Poi è venuta a mancare la merce. La Cina ha chiuso e le aziende hanno terminato le scorte e ancora oggi nei negozi manca la merce. Il momento sta tornando difficile, ma siamo dei miracolati. Guardo altri settori e non posso che pensarla così.

Che cosa significa fare impresa da queste parti?

Andare controvento, senza infrastrutture e lontani dal mondo del commercio. I costi di trasporto sono più alti e avere la fibra ottica negli uffici è un’utopia. E’ difficile, devi essere abituato a tirare. Però sono 25 anni che teniamo duro e siamo arrivati anche in altre regioni.

Come nasce Sicily Bike?

E’ la casa che mio padre mi fece comprare come investimento nel 1992 quando ero ancora dilettante. La tenevamo per farci l’olio e per la frutta, ma in mente mia sarebbe potuta diventare qualcosa. Smisi di correre nel 2006 e nel 2012 ho deciso di trasformarla in un bed & breakfast. Era il periodo dello spread altissimo e sapere che mi miei soldi fossero lì era consolante. Poi ci sono state altre ristrutturazioni e oggi Sicily Bike ha cinque camere in cui alloggiano turisti e operai nei momenti morti. L’idea di partenza era anche di creare una struttura per ospitare squadre in ritiro e in effetti la Top Girls è venuta giù un paio di volte, oltre a una squadra juniores laziale che viene da tre anni.

Perché venire qui?

Abbiamo il mare e monumenti importanti. Ci troviamo in una posizione cruciale, a 20 minuti da tutto. Da Agrigento, la casa di Pirandello, Caltanissetta e i suoi castelli, Sutera, Delia. Per chi vuole tranquillità e percorsi vallonati, siamo una bella realtà.

E’ vero che vuoi ricreare una squadra giovanile?

Credo che i tempi siano maturi, vorrei creare un’accademia. Ci sarò io, ma ci sarà soprattutto Luigi Spitali, il mio maestro di ciclismo che si è già rimesso a studiare. L’idea è dare un riferimento per tutti quei ragazzi che vogliono farne una professione. Ricordo quando mio padre mi portava alle corse. Ero bambino, ma lui già mi diceva che poteva diventare un lavoro. Non voglio che i loro sogni si spengano solo perché sono nati in Sicilia.

Ultima domanda, poi ti lasciamo in pace. Quel bambino di 7 anni che sognava di diventare corridore sarebbe fiero del Rosario che sei oggi?

Credo di sì (resta per un istante in silenzio, ndr). Molto è stato fatto in un contesto più difficile di adesso. Si andava su in macchina e si tornava per andare a scuola di lunedì. Sono andato avanti così per anni. Sono stato fortunato, perché ho trovato persone che mi hanno voluto bene. Zenoni, Spitali e Fusi che hanno contribuito a creare l’atleta e l’uomo. Nel bene e nel male, sono orgoglioso di quanto ho costruito.