Siamo veramente sicuri che Primoz Roglic sarà l’unico capitano alla Red Bull nel Tour che parte oggi? Perché se c’è qualcosa che il Giro d’Italia ha insegnato al team tedesco è avere un’alternativa. La corsa rosa ha visto l’esplosione piena di Pellizzari, al Tour molti confidano che arrivi quella di Florian Lipowitz, capace all’ultimo Delfinato di dare battaglia anche ai grandi favoriti della corsa francese: Pogacar e Vingegaard. E’ vero, una corsa di tre settimane cambia tutto, ma alla Red Bull ci credono e tengono il loro gioiello molto protetto, preservandolo anche dai contatti con la stampa.
La voce del cittì
C’è però qualcuno che ormai lo conosce bene e punta forte su di lui anche per ragioni personali. E’ Jens Zemke, il nuovo cittì della nazionale teutonica, anche se il termine “nuovo” non è forse quello giusto.
«Sono già stato allenatore della nazionale per quattro anni – racconta – fino all’appuntamento di Wollongong nel 2022. Poi mi sono ritirato perché non riuscivo più a conciliare il mio lavoro con quello dei diesse alla Bora Hansgrohe. Troppe gare. Troppi contatti da tenere, considerando le varie selezioni perché non si parlava solo di quella elite. Tra l’altro, è un ruolo per il quale non si percepisce stipendio in Germania. Se lo fai, lo fai quasi gratis. Così dopo il quadriennio è subentrato André Greipel. Quest’anno però la federazione me l’ha chiesto di nuovo: “Conosci le strutture, conosci tutti, ci sei ancora dentro. Sei molto vicino a tutti gli atleti del ciclismo, quindi puoi farlo di nuovo?” Io sono incuriosito dall’esperienza in Rwanda, non vedo l’ora, così ho detto sì».
Quest’anno europei e mondiali avranno un percorso difficile, per scalatori: è un percorso adatto ai corridori che hai in mente?
Sì, perché sta arrivando una nuova generazione di scalatori tedeschi. Con Florian che è un po’ la guida, ma non c’è solo lui. C’è Marco Brenner, ad esempio. Io sono molto ottimista e penso che possiamo raggiungere qualcosa d’importante. Se guardi agli ultimi anni, siamo sempre stati bravi negli sprint. Ma per le scalate, arrivare tra i primi tre, cinque o dieci, era difficile. Abbiamo avuto Schachmann che è stato protagonista anche alle Olimpiadi. Ma io devo pensare anche che non tutte le squadre sono contente di mandare i propri corridori in Rwanda. Anche perché serve un ritiro in alta quota prima, quindi almeno una settimana. E’ uno dei miei primi compiti, contattare tutti i corridori e faremo anche una chiamata con la Federazione per spiegare qual è il nostro piano.
Florian Lipowitz secondo te è solo un uomo da corse a tappe o può emergere anche nelle corse di un giorno?
Nelle corse di un giorno non ha fatto grandi cose. Nelle corse a tappe ha trovato la sua dimensione. Quello mondiale è un percorso super duro, con quasi 5.000 metri di dislivello. Potrebbe essere adatto a lui, dipende da come ci arrivi. Ho già parlato con il suo allenatore, dobbiamo convincerlo delle sue possibilità. Vedremo come andranno le prossime settimane.
Tu hai corso all’epoca di Ullrich: c’è qualcosa che te lo ricorda?
Per certi versi sì. Lipowitz lo conosco sin da quand’era giovanissimo e correva con la Tirol. E poi l’ho visto nel 2021, al suo secondo anno nel team austriaco. L’ho incrociato con la Bora e in salita faceva la differenza. Così l’ho invitato per gli europei a Trento. Erano tutti corridori di piccoli team. Così sono entrato in contatto con lui, si è evoluto piano piano. Sia sulle tattiche, come stare in gruppo, come muoversi e trovare spazio. Ma si vedeva che ha un motore enorme, quindi lo abbiamo portato alla Bora come stagista.
Che cosa potrà fare alla Grande Boucle?
Non mi aspetterei troppo. Il capitano lì è Roglic. Ma lui può ritagliarsi degli spazi. E’ un ragazzo super simpatico e determinato, saprà cogliere le occasioni ma bisogna anche stare attenti a non pretendere troppo, va lasciato tranquillo. Farà quello che la squadra gli chiede. Lo conosco e spero che facciano bene con lui. Perché quello che avete visto nel Delfinato è stato incredibile. Anche nella cronometro. Ma il Tour è un po’ diverso, tutti arrivano in ottima forma e ognuno fa l’ultima messa a punto, quindi dobbiamo vedere.
Nell’epoca di campioni di oggi, quanto è difficile per i giovani farsi strada nelle squadre del WorldTour?
Ora è anche più facile di prima. Io sono diventato professionista a 27 o 28 anni. Vincevo ogni anno, ma nessuno se ne accorgeva. Ora se mostri un po’ di talento da junior hai la strada spianata. Hai subito un contratto con la squadra di categoria. Se mostri buone prestazioni nella squadra di categoria, ti prendono nella squadra professionistica. E’ uno sport che diventa sempre più giovane e non è detto che sia solo un bene. Qui devi migliorare ogni anno per mantenere quello che hai.