Viaggio nel gruppo dietro la reflex di Luca Bettini

29.01.2023
7 min
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Lo scatto è quell’azione che richiede l’allineamento di più variabili: preparazione, fortuna e coraggio. Scatto, è una parola condivisa da due professioni così diverse che però non possono fare a meno l’una dell’altra. Fotografia e ciclismo. Oggi anziché chiedere al ciclista cosa si prova a stare dentro al gruppo, ci metteremo dietro alla macchina fotografica, in sella alla moto, tra rischi, disciplina ed emozioni. 

Per farlo ci siamo affidati a chi porta sulle spalle un cognome importante nel settore come Bettini. Figlio di Roberto, Luca ci porterà alla scoperta delle dinamiche di corsa tra momenti da catturare e attimi dove oltre alla corsa passa anche il racconto impresso in un’immagine. Questo perché il fotografo è una professione osannata per ciò che regala e spesso criticata per la sua sfrontatezza. Una figura che porta il privilegio di essere l’occhio del lettore tra le Alpi o i Pirenei, tra una classica e l’altra.

Luca e Roberto Bettini fianco a fianco durante la stagione ciclistica
Luca e Roberto Bettini fianco a fianco durante la stagione ciclistica
Domanda scontata ma necessaria. Perché fai il fotografo?

Alle scuole elementari c’era la classica domanda che ti facevano le maestre, tra tutti i sogni dei compagni io ho sempre risposto, voglio fare il fotografo come papà. Questo è un po’ il punto partenza, alle superiori sono andato a fare un professionale di fotografia a Milano in un periodo di transizione tra analogico e digitale. Da lì poi mi sono buttato insieme a papà a seguire il ciclismo in tutte le sue forme. Non c’è mai stata nessuna pressione è sempre stata una mia volontà. 

Per essere un fotografo bravo ci vuole talento o tecnica?

Papà mi ha sempre detto: «Se è quello che vuoi fare non devi neanche chiederlo e vieni con me». Infatti una giornata sul campo era in grado di farti imparare quello che avevi studiato per mesi in aula. Però con la formazione alle spalle ero in grado di capire cosa stavo facendo e perché soprattutto. Adesso con il cellulare o con una macchina digitale tutti hanno il potere e i mezzi di scattare. Però molte volte mancano il come e il perché. Il talento, l’estro, l’occhio e l’esperienza sono cose che fanno differenza in molti settori, specialmente nel mio.

Qual’è stata la tua prima corsa?

Ho tutti i pass che mi aiutano a ricordare ogni mia uscita. La prima che mi ricordo in modo nitido fu la Liegi-Bastogne-Liegi che vinse Bettini nel 2002, davanti a Garzelli in maglia Mapei. La prima invece che feci in moto fu il Trofeo Beghelli nel 2007 appena finite le scuole. 

Paolo Bettini e Stefano Garzelli ,Liegi 2002 dove tutto iniziò per Luca Bettini
Paolo Bettini e Stefano Garzelli Liegi 2002, dove tutto iniziò per Luca Bettini
Che emozioni hai provato?

Quando sei in moto a fotografare a 19 anni in una gara tra i pro’, non ti rendi conto appieno di quello che stai vivendo, si è troppo giovani, senza esperienza e un minimo di conoscenza di come è strutturata e fatta una gara. Mi ricordo che lì di grande aiuto e soprattutto agli inizi c’è il motociclista, che ti porta in mezzo al gruppo e ti guida. Essendo uno dei fidati di mio papà, si muoveva con esperienza. Man mano poi ci si costruisce la propria esperienza e si portano a casa le prime emozioni. 

Come ci si muove in gruppo per trovare lo scatto ideale?

Per essere lì quando succede qualcosa, le variabili sono due. La prima è l’esperienza che ti guida e ti porta nel posto giusto al momento giusto. La seconda è la fortuna. Per esempio sei lì davanti al gruppo e mancano 250 chilometri all’arrivo, quando improvvisamente passa uno scoiattolo che provoca la caduta e tu riesci a immortalarla. Nell’altro caso invece mi viene in mente quando ho fotografato la crisi di Bernal nel 2021, quando ebbe quel momento difficile mentre veniva aiutato da Martinez. Io ero lì, ho sentito alla radio che Egan stava iniziando a lasciare un po’ di spazio dalle ruote e subito mi sono fermato con il motociclista. Appena il ritmo è aumentato, il colombiano si è staccato e c’è stata tutta la scena che ho scattato con Martinez che lo supportava in tutto. 

“Crisi” Bernal: a Sega di Ala perde 53″ da Yates. Martinez lo scorta e lo incita fino alla cima
“Crisi” Bernal: a Sega di Ala perde 53″ da Yates. Martinez lo scorta e lo incita fino alla cima
Quindi anche voi dovete leggere la corsa?

Ci sono momenti di corsa più tranquilli, mentre ce ne sono altri che diventano chiave e sai che devi stare lì davanti in attesa che avvenga quello che tutti si aspettano. Qui entrano in campo l’esperienza e tutta la tua conoscenza della corsa. Saper fare le foto non ti porta ad avere scatti importanti durante la gara. Non è uno stadio o un palazzetto. Il ciclismo è spalmato su 200 chilometri e devi decidere tu come muoverti. 

Come ci si comporta davanti ad una situazione critica come una caduta?

La caduta succede e fa parte di questo sport. Se ti capita e sei lì, scatti delle foto e nello stesso tempo valuti la situazione. Il tuo occhio passa davanti all’obiettivo, ma non è un discorso di indifferenza. Mi ricordo quando Zakarin al Giro d’Italia finì sui sassi di un ruscello dopo un bel salto. Scesi dalla moto feci qualche scatto e mi fiondai immediatamente a vedere come stava il corridore. Capita magari quando sei in discesa in una tappa che c’è uno sparpaglio generale, i soccorsi e le ammiraglie non sono subito vicine. In quei momenti sei tu il primo soccorritore, in quel caso mi ricordo che una volta appurato che parlava e si muoveva, io e il motociclista ci siamo attivati per far fermare la macchina del medico. Una volta arrivato ho fatto altre due foto per chiudere l’accaduto e sono ripartito. 

La scelta è in mano tua…

Delle volte capita che vedi che si fanno male, ma non in maniera grave. Escoriazioni o tagli, fai due foto. Quando ti accorgi che diventa un po’ troppo, io sono uno di quelli che non continua. Ho fatto un paio di foto e chiudo lì il mio reportage. Non mi piace essere pressanti su quello che succede. 

Il momento drammatico della caduta di Letizia Paternoster a Monaco 2022
Il momento drammatico della caduta di Letizia Paternoster a Monaco 2022
Un esempio?

Ho sotto gli occhi la caduta della Paternoster in pista agli europei di Monaco dello scorso anno. Lei è caduta all’interno della curva proprio davanti alla postazione dei fotografi e delle telecamere. E’ chiaro che le cadute in pista sono una dietro l’altra a volte. Quindi vedi che c’è una caduta, scatti due foto e valuti l’entità di quello che è appena successo. In quel caso c’erano delle persone attorno a lei, quindi era una situazione caotica. Vedi che arrivano i sanitari, fai due foto e ti fermi. Mi ricordo che in quell’istante venne il foto manager e si rivolse a noi fotografi dicendo di non scattare più. Noi avevamo già smesso da un po’ di tempo. Gli feci notare però che l’operatore della Tv aveva la camera puntata sulla caduta. Gli dissi che io non faccio foto e non le pubblicherei nemmeno, ma tutti i giornali e siti andranno ad utilizzare i frame dalla televisione. Il buon senso è alla base di tutto sempre. 

Voi avete un codice non scritto mentre le Tv sono in presa diretta continuamente, come si è visto al Tour Down Under con lo sfogo di Bettiol verso l’operatore…

Non credo sia tanto questo. L’operatore ha un regista che gli parla in cuffia e in generale è sempre lui che ti dice se continuare a riprendere oppure interrompere.

Con la foto che abbiamo utilizzato in apertura hai vinto il premio “The Best of Cycling 2022”, raccontacela…

Era la prima tappa in linea del Giro d’Italia a Budapest. C’è un aneddoto interessante e divertente. Dalla parte opposta rispetto a dove correvano i cavalli, c’erano dei piloni della corrente e non mi piacevano per niente nell’inquadratura, perché cerco sempre una foto pulita. Iniziai a camminare da quel lato nel campo di colza e mi arrampicai su uno di questi piloni e appunto riuscii a fare questo scatto appeso solo con le gambe perché con le mani dovevo fotografare, stringendo i corridori e i cavalli in un piano unico. Poi quei pantaloni li buttai via, perché diventarono completamente gialli. 

La partenza singolare in mezzo al deserto a pochi passi da Abu Dhabi
La partenza singolare in mezzo al deserto a pochi passi da Abu Dhabi
Qual’è la tua foto migliore?

E’ difficile decidere. Ho una cartella a parte in cui tengo gli scatti a cui tengo di più. Posso dire che per stringere il cerchio ce ne sono alcuni più unici degli altri. Ci sono alcune foto che sono belle, però se si scattano ancora un anno dopo, si potrebbero rifare identiche. Per esempio una foto classica come può essere la foto sul mare della Milano-Sanremo o il Muro di Sormano in Lombardia. Sono delle foto molto belle, ma se non c’è qualcosa di diverso, saranno sempre uguali a se stesse. Due foto che mi vengono in mente che difficilmente mi ricapiteranno sono: la Milano-Sanremo sotto la neve e la prima edizione dell’Abu Dhabi Tour nel 2015, quando i corridori fecero un tratto di trasferimento all’interno di questo resort in un’oasi nel deserto. Sono sicuro che non ci torneremo più, perché quel giorno facevano 45 gradi. 

Cosa si prova a vedere un momento decisivo di un Giro, un Tour o una classica a pochi centimetri attraverso l’obbiettivo?

Lo vedi e lo scatti. Sai che sta per succedere qualcosa, il corridore si ferma, attacca o molla. Stai già vivendo il momento e lo stai vivendo sul posto. L’emozione è diversa, sei impegnato nel catturare l’attimo. Probabilmente lo realizzi, ma non lo fai emotivamente. L’emozione la ricostruisci in un secondo momento. Per esempio quando ti sposti perché non puoi stare tutto il tempo davanti ai corridori e concretizzi quello che hai vissuto, conscio che sei riuscito a catturarlo