La vita di Longo, dal forno ai record nel ciclocross

13.06.2023
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Parlare di Renato Longo, scomparso la scorsa settimana all’età di 85 anni, significa riandare con la memoria a un ciclismo molto lontano da quello attuale e le foto, sgranate, spesso in bianco e nero sono un po’ lo specchio di un’epoca che non c’è più. Eppure parliamo di uno dei massimi esponenti del ciclocross italiano, forse il primo a dare una svolta completa a questa specialità, da sempre considerata di nicchia, eppure foriera di grandi storie e capace come poche altre di colpire la fantasia.

Longo era veneto di nascita e milanese di adozione, dopo essersi trasferito a 14 anni nella metropoli al seguito del padre che aveva trovato lavoro in banca. Ma le sue radici venete erano sempre rimaste forti e il ciclocross era un modo per tornare nella terra natia quasi ogni fine settimana per le gare, sia quando studiava sia quando, ben presto, entrò a lavorare in una panetteria. Un lavoro che non avrebbe mai lasciato.

Longo ha vinto ben 5 titoli mondiali, nel 1959-62-64-65-67, più due argenti e un bronzo
Longo ha vinto ben 5 titoli mondiali, nel 1959-62-64-65-67, più due argenti e un bronzo

I numeri non dicono tutto

Se fossero i numeri a raccontare la sua storia, passeremmo ore, considerando i 5 titoli mondiali fra il 1959 e il 1967 e i 12 italiani, sempre dal 1959, ma arrivando fino al 1972. Ma c’è molto altro, che i numeri non possono dire. Può farlo chi l’ha conosciuto da vicino, come Claudio Vettorel, ex cittì azzurro che fu esponente di spicco di quella generazione figlia diretta dei successi di Longo: la generazione dei Di Tano e Paccagnella, oltre a Vettorel stesso. Poi sarebbero arrivati i Pontoni e i Bramati, i Franzoi e… Ma questa è storia di oggi.

Il legame che Vettorel aveva con Longo era molto stretto e si sviluppò fin da subito: «Lo conobbi praticamente ai miei esordi – racconta – erano gli anni Ottanta e Longo non mancava mai alle gare che si svolgevano nel Triveneto, ma in particolar modo nella sua regione, essendo lui di Vittorio Veneto. Lo riconoscevi sempre: non mancava mai d’indossare giacca e cravatta, un bel cappotto sopra quando faceva davvero freddo, per nulla spaventato dal fango o dalla pioggia. Aveva una grandissima passione che non si era spenta con il suo ritiro, ma soprattutto spiccava per la sua signorilità».

Il veneto insieme a un giovanissimo Vettorel in gara. Un sodalizio mai venuto meno negli anni
Il veneto insieme a un giovanissimo Vettorel in gara. Un sodalizio mai venuto meno negli anni

Il maestro di una vita

Per Vettorel, Longo è stato un vero maestro: «Non ha mancato mai di dispensare consigli, di sottolineare quelle piccole cose che poi facevano la differenza. Io non avevo avuto la fortuna di vederlo gareggiare, quando smise ero ancora piccolo e poi ho colmato questa lacuna attraverso i filmati su Youtube: era alto, magro, longilineo e sapeva andare in bici come pochi altri, infatti era un mago del fango».

Ci sono alcuni aspetti della carriera di Longo che meritano di avere una luce particolare, soprattutto quello tecnico: «Il ciclocross che affrontava lui era ben diverso da quello di ora, sembrano davvero passati secoli. La sua bici era in acciaio, credo fosse stato tra i primi a utilizzare i freni cantilever, ma bisogna considerare che quel mezzo arrivava a pesare anche 13 chili. Pensate che cosa significava correre con la bici in spalla, in quegli anni in cui i tratti a piedi erano molti e molto più lunghi di ora. Io già vivevo un’epoca diversa, cominciavano a vedersi novità, iniziava ad affermarsi l’alluminio, certamente però le bici di oggi sono ben altra cosa».

Longo insieme a una parte della sua collezione di trofei. Ha vinto oltre 300 gare
Longo insieme a una parte della sua collezione di trofei. Ha vinto oltre 300 gare

Quel mattino con i fotografi…

Per capire che cosa abbia significato Longo per il ciclocross (ma dovremmo dire anche viceversa) va inquadrata la sua vita al di fuori dei campi: Renato trascorreva la notte lavorando a impastare, al mattino inforcava la sua bici e andava a consegnare il pane alla mensa dell’Alfa Romeo, portandone avanti e indietro fino a due quintali. Era quello il suo modo di allenarsi durante la settimana, ma non è che poi nei weekend la vita fosse più tranquilla, anzi…

Longo era solito raccontare un aneddoto, legato alla sua prima vittoria tricolore nel 1959: «Avevo bisogno di vedere il circuito, capire con che cosa mi sarei dovuto confrontare così al venerdì mi feci 50 chilometri di pedalata per arrivare alla sede di gara, feci la mia ricognizione e tornai sempre in bici. All’una di notte ero già al forno a lavorare. Alla domenica, dopo aver corso e vinto, tornai a Milano e la notte mi presentai come se nulla fosse al negozio per la mia routine. La differenza rispetto al solito fu che al mattino mi ritrovai all’uscita una muraglia di fotografi che volevano mostrare il campione italiano di ciclocross nella sua attività extrasportiva».

Nato il 9 agosto 1937, Longo ha militato a lungo nella mitica Salvarani, correndo con Gimondi
Nato il 9 agosto 1937, Longo ha militato a lungo nella mitica Salvarani, correndo con Gimondi

La fame di vittorie

E’ un racconto che sembra davvero lontano dalla realtà di oggi, dove si pedala per professione, ma è lo stesso Vettorel a inquadrare quella storia nel suo personaggio: «Renato era uno che faceva attività per fame. Non intendo solo quella oggettiva, certo c’era anche quella e poter arrotondare il suo stipendio grazie alla bici serviva. Ma c’era anche altro, la sua innata voglia di vincere: basti pensare che su 388 corse disputate ne vinse 233, non solo nel ciclocross, ma trionfò anche in gare importanti su strada come una tappa al Giro del Portogallo, oppure su pista, fu anche bronzo ai Mondiali negli stayer, le bici dietro motori».

Quella atavica voglia di emergere però non gli ha mai fatto perdere l’esatta dimensione di se stesso. Longo ha affrontato la vita con umiltà e gentilezza, assistendo anno dopo anno all’evoluzione di uno sport del quale è stato uno dei pionieri. Non va dimenticato.

Claudio Vettorel, Davide Malacarne, Coppa del mondo ciclocross 2005

Vettorel, ti ricordi quei giorni con il “Mala”?

06.01.2021
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Rileggere l’intervista a Davide Malacarne ha ridestato in Claudio Vettorel antichi ricordi. «Uno tosto» lo definiva il campione del mondo junior 2005 e l’allora Direttore Tecnico azzurro era esattamente così, con quella meticolosità che è sempre stata un suo caposaldo e che mette in pratica ogni giorno, nel suo lavoro di dipendente amministrativo all’Aifa (Agenzia Italiana del Farmaco).

«In questi mesi il lavoro è stato durissimo – dice Vettorel, che in apertura è proprio con il “Mala” dopo la vittoria nella Coppa del mondo 2005 – ma per certi versi esaltante e pieno di soddisfazione per tutti. Ogni volta che viene approvato un vaccino è un passo verso il ritorno alla piena libertà. Si lavora unendo la velocità al rigore, due qualità che fanno parte di me».

Ripercorriamo in breve la tua storia ciclistica…

Sono stato atleta fino al 1988, smisi a 24 anni, prestissimo, perché vedevo che non ero più competitivo. Gli altri volavano e non capivo il perché. Io ho sempre respirato ciclismo, sono nato in Belgio, a Huy dove arriva la Freccia Vallone, a 5 anni ero già in Italia ed ero già in bici… A 23 anni ero arrivato a Roma, richiamato dall’SC Spallanzani che allora organizzava la grande prova di ciclocross della Coppa del mondo. E grazie ai dirigenti potei fare i concorsi nella Sanità ed entrare nella Pubblica Amministrazione. Lasciai il ciclocross, ma non la bici, anzi. Nel 90 vinsi il primo titolo italiano di downhill nella Mtb.

Il tuo approdo alla guida tecnica azzurra a quando risale?

Al 2000. Negli anni avevo continuato a frequentare il mondo delle due ruote, facendo corsi da direttore sportivo e Maestro di Mtb. Venni contattato per fare il Ct del ciclocross e accettai: sono rimasto in carica fino al 2005, con le grandi gioie dei titoli mondiali di Franzoi nel 2002 e di Malacarne l’ultimo anno. Poi cambiò la guida in Federazione e venne scelto Scotti al posto mio. Un avvicendamento normale, come molto spesso avviene quando cambia il presidente. D’altronde Fausto sta lavorando benissimo, il movimento è cresciuto molto, ora avrebbe solo bisogno di una squadra professionistica specifica.

Che tempi erano quelli in nazionale?

Tempi ben diversi da quelli attuali. Avevamo a disposizione un budget molto limitato, potevamo viaggiare per gli eventi internazionali con pochi atleti, dovevo essere un buon economo (ma d’altronde è il mio lavoro…). Prenotavo io stesso i voli con Ryanair con grande anticipo per risparmiare. Con i ragazzi cercavo di trasmettere tranquillità e metterli nelle condizioni migliori per emergere. In una gara tutto deve funzionare al 100 per cento, devi controllare mille aspetti. Guardate cos’è successo domenica a Van Aert al cambio bici: altro che 3-4 secondi persi, un fatto del genere ti costa la concentrazione e quindi la gara.

C’era qualche talento che è stato “rubato” al ciclocross dalla strada?

Di Franzoi e Malacarne si è detto, ma io ricordo anche Marco Aurelio Fontana, che abbinava il ciclocross alla Mtb e poi si è dedicato pressoché interamente a quest’ultima. Questo mi fa venire in mente un aspetto: si parla tanto di multidisciplinarietà, ma a ben guardare ancora oggi sono pochi che corrono in più discipline. Quando gareggiavo io c’erano le kermesse a pagamento e tanti professionisti partecipavano d’inverno, senza l’ambizione di vincere, ma solo per esserci e allenarsi gareggiando. La gente veniva per vederli, ricordo una prova dove correvo in coppia con Wladimiro Panizza… E’ vero che oggi il calendario professionistico è più lungo, ma secondo me sono anche i ragazzi che appena passano pro’ si adagiano un po’ e subiscono l’ambiente. Immagina ad esempio un Ciccone in gara d’inverno, quanto crescerebbe anche come visibilità personale.

Udienza da Papa Giovanni Paolo II, Davide Malacarne, Enrico Franzoi, Annabella Stropparo, Claudio Vettorel
Udienza da Papa Giovanni Paolo II, per Malacarne, Franzoi, Stropparo e Vettorel
Udienza da Papa Giovanni Paolo II, Davide Malacarne, Enrico Franzoi, Annabella Stropparo, Claudio Vettorel
Udienza dal Papa, con Malacarne, Franzoi e Stropparo
In che senso?

In Italia la cultura della multidisciplinarietà non c’è mai stata. I direttori sportivi pensano alla loro attività e non vogliono ingerenze. Cassani è stato bravo a invertire il discorso almeno per la pista, ma si vede che fa fatica. Vorrei solo che queste resistenze dell’ambiente, da parte di chi dirige le squadre, le evidenziasse con forza, quella forza che gli deriva dal suo ruolo.

Che cosa fa oggi Claudio Vettorel?

Per anni, dopo l’addio alla nazionale, mi sono dedicato all’organizzazione della 24 Ore in Mtb di Roma, portando a pedalare corridori da tutto il mondo. Dal 2014 il tempo libero dal lavoro lo dedico alla mia seconda attività. Da 6 anni ho ristrutturato due furgoncini vintage degli anni Settanta e con quelli organizzo mille attività, da feste per bambini a compleanni, da matrimoni a romantici tour della Capitale. Chi entra in uno dei furgoncini trova sempre un momento di gioia e sorrisi, evade dalla quotidianità. Ma il ciclocross resterà il mio mondo: in Tv non mi perdo una sfida fra Van Der Poel e Van Aert…