Strade Bianche e Tirreno-Adriatico hanno evidenziato una volta per tutte la grande differenza tra squadre WorldTour e professional. Quando la corsa entra nel vivo davanti restano quasi solo corridori appartenenti alla massima categoria, Van der Poel escluso.
Con Roberto Reverberi, manager e diesse della Bardiani Csf Faizanè, tra l’altro una delle professional meglio attrezzate sotto ogni punto di vista, ne è emersa un’analisi interessante: certi gap non riguardano tanto (o solo) le squadre, ma anche i corridori.
Dopo la Strade Bianche eri “contento” perché due dei tuoi corridori erano riusciti a concludere la corsa: una frase che ci ha colpito.
Vero, può sembrare poca cosa, ma non è mica una situazione solo nostra. Alcune squadre WorldTour non lo dicono, ma spesso anche loro hanno corridori che non arrivano davanti o che semplicemente finiscono le gare. Solo che loro investono 25 milioni di euro. C’è da pensare, no? Con quelle cifre, se davanti sono in venti dovrebbero avere due-tre corridori come minimo.
E’ un punto di vista che spesso da fuori si tende a trascurare…
Che poi noi puntiamo soprattutto sui giovani. E ti può capitare il ragazzo che ti arriva davanti, penso a Modolo quarto alla sua prima Sanremo. Più che altro non è una questione di professional e WorldTour.
E di cosa?
Di fatto ci sono 5-6 squadre che vincono tutto e portano via forza al ciclismo. Tutto il resto non fa nulla o quasi. Non tutte hanno le strutture per fare bene in tutte le gare. A loro, come a noi professional, se va bene vincono una tappa in un grande Giro, perché nelle corse di un giorno è più difficile fare il colpaccio. Ma con un investimento ben diverso dal nostro. Per me il ciclismo non può supportare 19 squadre WorldTour. Alcune non ce la fanno. Con la seconda o terza squadra, le scelte secondarie per intenderci, fanno fatica anche nelle corse di secondo livello, dove noi magari andiamo con i nostri migliori atleti. Ci sono team che lo scorso anno a fronte di 21 milioni di euro d’investimento hanno raccolto 7 vittorie e non erano tutte gare di primo livello. Una vittoria gli costava 3 milioni di euro, ne vale la pena? Noi con un budget sei volte inferiore ne abbiamo vinte nove.
E quindi quale potrebbe essere la soluzione?
E’ un ciclismo gonfiato, 19 squadre WorldTour sono troppe. Ognuna deve avere minimo 25 corridori, alcune ne hanno anche 30, e fanno fatica a farli correre tutti. E noi professional, che non abbiamo diritto e certezza di correre, dobbiamo tenerne minimo 20. Perché? Se avessi 8-9 milioni di budget non farei la WorldTour, anche se poi l’Uci mi spingerebbe a farla e di conseguenza a fare sforzi enormi, piuttosto cercherei di prendermi, o se ce l’ho già di tenermi, il corridore buono e con il resto ci faccio una discreta squadra. Punto alla classifica Uci delle professional e se la vinco ho diritto a fare le corse più importanti. E non sarebbe una cosa impossibile, basta vedere la Alpecin Fenix con Van der Poel.
Dover avere un certo numero di corridori senza certezza del calendario non è facile…
Qualche anno fa, dirigenti dell’Uci ci dissero che “avevamo diritto ad essere invitati”. Cioè diritto a niente, nessuna certezza. Guardate che è una frase molto fine. Per me bisognerebbe ridurre i team WorldTour perché non c’è la qualità sufficiente. Le associazioni dei corridori vogliono assicurarsi il “posto di lavoro”, ma qui siamo nello sport e se non c’è qualità che lavoro assicuri? Se io potessi terrei dieci corridori, ma buoni, e investirei su di loro. Vedete che adesso le grandi squadre schierano tutti capitani? Perché? Perché li devono far correre. Le corse sono poche e ogni volta è un campionato del mondo, basta vedere l’ordine di partenza che c’era a Laigueglia o a Larciano. Quando dico della qualità non lo dico a caso. Facciamo due conti. In tutto, tra WorldTour e professional, le squadre sono 38. Ma in realtà sono di più. Le WorldTour con 30 corridori è come se fossero tre squadre e noi con 20 è come se ne fossimo due. Se si fanno i conti alla fine è come se di squadre ce ne fossero 120-130. E quando riesci a farli correre tutti? Per questo dico che è un discorso di atleti di qualità e non di squadre.
Ho più soldi, prendo i corridori più forti: si può riassumere così. E tornando alla Strade Bianche: la gara senese è stato lo specchio di tutto ciò?
Alla Strade Bianche alla fine ci siamo anche fatti vedere. Siamo stati in fuga e due dei nostri l’hanno finita. Uno come Zana era alla sua prima partecipazione ed è stato un successo dal punto di vista dell’esperienza per lui. E per noi che puntiamo sui giovani è stata una soddisfazione. Poi se si va a vedere, specie con quei tre che hanno dominato, molti team ben attrezzati partivano già battuti in partenza. Voi da fuori guardate chi è più forte rispetto a noi. Ma noi guardiamo anche chi va più piano. E quando vedo che in corsa restano dieci ammiraglie e noi ci siamo mi fa piacere. Prendendo ad esempio sempre la Strade Bianche della situazione, il signor Bardiani mi dice: come mai in quegli otto là davanti non c’era nemmeno uno dei nostri? Io gli rispondo: sai quanto costano quegli otto? Costano 30 milioni di euro. Noi ci facciamo la squadra per dieci anni.
Ma allora da cosa manca? Alla fine anche i ragazzi delle professional hanno due gambe, una bici, due polmoni… perché tanta differenza quando davvero si apre il gas?
A noi non manca nulla, eppure in gruppo qualcuno sfotte. Senza fare nomi, dico che spesso per andare in centro gruppo o per mettersi davanti tra i vari treni se non hai l’uomo giusto che ti introduce non ci vai. L’anno scorso, a Fiorelli per un paio di volte che si è buttato nelle volate al Giro, hanno rotto le scatole. E i velocisti certe manovre le fanno da sempre. Se fosse stato in una WorldTour non avrebbero detto nulla.
Quando i tuoi ragazzi si ritrovano ad affrontare queste grandi corse li vedi più spaventati o più gasati?
Noto che oggi i giovani in generale sono più freddi. Una volta prima di una Sanremo si sentiva proprio la tensione nell’aria. Adesso non so se perché sono proprio più freddi o per qualche altro motivo, ma sembra non colgano la storicità della corsa, la sua grandezza. Sembra quasi la normalità.
E tu cosa gli dici?
La si butta un po’ sullo scherzo e nella riunione gli faccio: ohi, non siamo mica alla corsa della parrocchia! Cavolo, siamo alla Sanremo! Poi chiaramente, cerco di motivarli, gli mostro i punti in cui è necessario stare davanti e altri dove invece possono stare più tranquilli. E quando è così vedo nelle loro facce che è il corridore esperto a sentire ancora la corsa. La sento io che ne ho fatte non so quante di Sanremo. A volte, specie se ho un corridore che può far bene, ancora non ci dormo la notte.