L’ultima volta che lo abbiamo incontrato, Roma intorno celebrava le maglie del Giro e Ciccone si era avvicinato per un saluto mentre insieme a sua moglie Annabruna stava cercando di raggiungere il pullman della Lidl-Trek. La corsa del team americano era stata così travolgente, che anche l’abruzzese, ritirato sul più bello per la caduta di Gorizia, aveva voluto essere presente per festeggiare con i compagni (in apertura la sua esultanza dopo aver propiziato la vittoria di Pedersen a Durazzo, ndr). Sorrideva, ma era anche mogio. Poi, sorridendo, aveva raccontato di aver trascorso gli ultimi due giorni a casa di Michele Bartoli (il suo allenatore, ndr) che lo aveva rimpinzato di buon cibo toscano per impedirgli di pensare all’occasione sfumata. Non sapeva se sarebbe andato a Parigi per assistere alla finale del Roland Garros fra il suo amico Sinner e Alcaraz (speriamo non sia andato: l’umore sarebbe peggiorato ulteriormente). Poi “Cicco” è scomparso, dietro alla rieducazione e alla ripresa della preparazione.
Quando finalmente si è riconnesso col mondo, al netto di qualche apparizione sui social per tifare il Sinner (questa volta vittorioso a Wimbledon), lo abbiamo intercettato ad Andorra. Mentre il Tour entra nel vivo, la sua estate ha la forma della ricostruzione della condizione e della fiducia, in attesa del rientro a San Sebastian e poi della Vuelta che partirà da Torino.


Torniamo per un istante al Giro: quanto è stato doloroso doverlo lasciare?
E’ stato molto difficile. In generale lasciare una corsa è sempre difficile, specialmente quando le cose stanno andando bene. Lo è stato ancora di più soprattutto per il clima più che ottimo che c’era nella squadra. E’ stata proprio una bella mazzata. Sono i casi in cui fa più male l’anima del corpo. Alla fine il corpo è abituato a prendere botte, mentre il dolore mentale è un’altra cosa. Tu sei lì che ti fermi e il Giro va avanti. Il dolore di testa non va via tanto facilmente.
Tanto più che le cose stavano andando bene, giusto?
Stavano andando super bene. Avevo passato gli esami più difficili, vale a dire le cronometro e lo sterrato. Secondo me ero in un ottimo stato di forma e dovevano ancora arrivare le tappe più adatte a me. Avrei fatto bene, questa è la mia sensazione. E poi è vero, sono stato da Bartoli nei giorni dopo la caduta: diciamo che è stata una sorta di mini vacanza. Abbiamo cercato di non concentrarci sul Giro, su quello che era andato perso, ma di risollevarci un po’ il morale. Di pensare agli obiettivi più grandi che devono arrivare. Di farci forza pensando a quanto di buono è stato fatto e prenderlo come spunto per i prossimi obiettivi.


Quanto tempo sei rimasto fermo?
Completamente fermo per 10 giorni, senza bici. Poi ho iniziato a muovermi, a fare qualche allenamento, ma molto tranquillo, per un’altra decina di giorni. Quindi in totale direi che sono stato fermo una ventina di giorni: 10 senza bici, 10 molto molto easy. Il dolore è sparito del tutto, però comunque c’era una lesione sul quadricipite, quindi sul muscolo principale della gamba. Ancora adesso è rimasta la cicatrice sul tessuto e stiamo continuando a lavorare per recuperare la piena efficienza, ma il dolore nel frattempo è sparito.
Stai lavorando per un obiettivo specifico? Pensi al mondiale?
Per ora obiettivi ne ho tanti, perché mi piace rientrare competitivo, quindi sto lavorando bene in quota qui ad Andorra. Preferisco non pensare a una gara precisa, voglio rientrare forte. Voglio tornare a stare bene come al Giro d’Italia e voglio lasciare il segno da qui a fine anno. Il mondiale è nei radar, ne ho parlato con Marco Villa. Ci siamo sentiti, però dobbiamo ancora definire tutto. Io da parte mia sono disponibile per fare bene, a patto che riesca ad essere competitivo. Non mi andrebbe di fare solo presenza, quello non lo non lo vorrei mai e soprattutto la nazionale non lo meriterebbe.


Quindi il programma sarebbe?
Ora sono ad Andorra con i miei compagni di squadra. Il rientro è previsto a San Sebastian, poi Vuelta Burgos e la Vuelta di Spagna. Poi c’è da capire il discorso del mondiale e le gare di fine anno fino al Lombardia.
Lo spirito è quello giusto. La seccatura di essersi fermato sulla porta del grande risultato ha lasciato una cicatrice sull’anima al pari di quella che la caduta di Gorizia ha lasciato sulla gamba. Il Lombardia dello scorso anno lo vide sul podio dietro Pogacar ed Evenepoel: quella è la sua dimensione. La sensazione che voglia riprendersela si fa parola dopo parola più forte.