MELAKA (Malesia) – Come un samurai. Come un corridore che non ha paura e spinge cuore e gambe oltre l’ostacolo. E se oggi Arvid De Kleijn ha vinto di nuovo è anche grazie al suo aiuto. Stiamo parlando di Simon Pellaud, tra i promotori della fuga di giornata, l’ultimo ad arrendersi e il penultimo a spostarsi dal treno della Tudor Pro Cycling Team.
Siamo arrivati a Malacca, una delle città maggiori della Malesia e un tempo della navigazione dell’Asia Meridionale. Da qui e da Singapore passavano merci che poi partivano alla volta di tutto il mondo. Questa era anche una roccaforte dei pirati, quelli dei romanzi di Salgari per intenderci.
Dal futuro ai pirati
La Kuala Lampur-Malaka è dunque la tappa simbolo di questo Tour de Langkawi. Si andava dalla città moderna, quella delle Petronas Tower sotto le quali è partita la corsa, ad una dei suoi agglomerati più antichi e tradizionali. Anche se va detto che purtroppo la gara non è arrivata in centro.
In questo scenario, il via parecchio movimentato prometteva bene. Ci si aspettava delle fughe e una grande lotta per i secondi di abbuono. Tra coloro che covavano qualcosa c’era anche Simon Pellaud, lo svizzero-colombiano, appunto compagno di De Kleijn.
All’ombra delle Petronas Towers, Pellaud firmava autografi. Anche da queste parti dopo aver vinto la maglia dei Gpm l’anno scorso, Simon è piuttosto popolare. D’altra parte, i tifosi italiani lo conoscono bene. Al Giro d’Italia si è fatto amare non poco. Ma dicevamo: mentre firmava gli autografi ci ha raccontato della sua stagione e del suo futuro.
«Una stagione meno brillante? Io non direi. Sono stato tantissimo al servizio della squadra. E quelle poche volte che ho avuto la possibilità mi sono fatto vedere o sono andato in fuga. Ho fatto terzo in una tappa al Tour of the Alps, secondo al campionato nazionale. A Gippingen sono dovuto entrare io in azione nel finale perché i capitani erano rimasti dietro e l’altro giorno verso Cameron Highland purtroppo ho avuto problemi di dissenteria (cosa che succede spesso da queste parti e che oggi ha costretto Carboni al ritiro, ndr), per questo non sono riuscito a seguire i big nell’ultimo chilometro di salita.
«E credetemi, mi dispiace davvero tanto perché avevo una gamba buonissima. Non per esagerare, ma anche ieri se non fosse stato per le mie tirate credo che la fuga di quei sei sarebbe arrivata. O al contrario se avessi avuto la possibilità di entrarci credo che sarebbe andata in porto con un minuto di vantaggio visti i dati e come è andata».
E in effetti anche Davide Toneatti dell’Astana-Qazaqstan di Syritsa, questa mattina, ci aveva detto della fatica fatta per chiudere sui primi ieri.
Senza squadra
Al Team Tudor, dopo Trentin l’anno scorso, sono in arrivo altri corridori importanti: Alaphilippe e Hirschi su tutti. Come potrà inserirsi Pellaud in questo contesto? Lui è sia attaccante che aiutante. Come contribuirà alla crescita di questa squadra?
«Crescerà senza di me – dice Pellaud con chiarezza e dispiacere al tempo stesso – purtroppo non sarò parte di questo team. Farò queste altre tappe in Malesia poi non so. Lo scorso anno mi dissero che erano felicissimi di me, poi senza un chiaro motivo, senza un messaggio diretto mi sono ritrovato fuori dal progetto. Qualche tempo fa mi hanno chiesto se mi fossi trovato una squadra per la prossima stagione. E’ stato un colpo che davvero non mi aspettavo e per il quale ancora non dormo la notte».
E qui Pellaud si apre. Dal suo sguardo sempre sorridente emerge il suo dolore. E, perché no, anche la paura di dover smettere.
«Guardate questo gruppo – mentre indica i compagni vicino a lui – è un bel gruppo. Mi trovo benissimo con i ragazzi, con lo staff, i materiali. Mi fa male al cuore. Malissimo. Ieri per esempio dopo l’arrivo non ero con gli altri a festeggiare. Troppo dolore, mi faceva male».
Certo, bisogna ascoltare anche l’altra campana, come si suol dire, per avere un quadro definitivo, ognuno ha la sua verità. Però è anche vero che se l’atleta non ha ottenuto risultati perché doveva lavorare per i compagni e se gli dicono bravo per come sta andando, è chiaro che per lui capire diventa complicato.
«Per me – riprende Pellaud – il ciclismo non è mai stato un mestiere, ma una passione. E forse ho sbagliato a interpretarlo sempre in questa ottica, anche pensando alla squadra. Davvero non posso credere che con questa gamba non possa continuare».
«Se poi penso ai corridori che hanno preso per il prossimo anno davvero non capisco. Sono corridori a cui avrei potuto dare un aiuto importante e con i quali vado molto d’accordo. Con Lienhard ci conosciamo da quando eravamo ragazzini. Con Alaphilippe ho un buon rapporto, scherziamo… E con Hirschi il rapporto è super. Lui è un vero amico».
Dopo una breve pausa aggiunge: «Ma finché sono qui non mollo».
Fuga disperata
Parte quindi la corsa e dopo il primo sprint scappa via la fuga buona. Dopo un guasto meccanico dello spagnolo Okamina, restano De Bod, Poole che tra l’altro è il leader della generale il quale per paura degli abbuoni ha deciso di difendersi attaccando, e proprio Pellaud.
Stavolta però il gruppo non commette l’errore di ieri. L’Astana alza subito il ritmo e Poole, una volta terminati i traguardi volanti, non ha tutto questo interesse a far fatica in pianura. All’arrivo mancano oltre 130 chilometri. Quando negli ultimi 45 chilometri ormai si capisce che la fuga è segnata, prima Poole e poi De Bod mollano. Pellaud resiste. Sogna. Spinge e chissà cosa pensa.
«Pensavo che non volevo mollare e ve lo avevo detto stamattina – ci dice mentre ancora un tifoso gli chiede la foto e la borraccia – E’ stata una fuga per il futuro. E sono contento anche perché nel finale ero nuovamente davanti a lavorare per De Kleijn. Ho dato il mio contributo: mi sono spostato ai 500 metri».
La sua azione tra l’altro ha consentito ai suoi compagni di stare a ruota e di beneficiare di un treno fresco per il finale.
«No, non posso pensare di smettere con questa gamba e con questa grinta».