Pozzovivo si ferma sulla destra con una smorfia di fatica e insieme un sorriso che sprizza dagli occhi. Alla fine ha persino attaccato, scattando in faccia ai più forti del Giro. Un club ristretto di cui il piccolo lucano fa parte, malgrado i mille acciacchi. Come anche sul Muro d’Huy, il migliore degli italiani è stato lui: l’osservazione meriterà riflessioni approfondite, questo però è il momento degli applausi e del racconto.
Strizza l’occhio. Dice di avere mal di schiena per la posizione che è costretto a tenere e a chi gli chiede se essere così storto lo penalizzi, risponde con lucidità stupenda: «Sarebbe penalizzante, se ci fosse un’alternativa!».
Con i migliori
Alle spalle dei primi, corridori arrivano alla spicciolata in una processione che andrà avanti fino a 13 minuti dallo scoccare del tempo massimo. Tutti classificati sul Blockhaus, solo Rudiger non l’ha finita: martedì ripartiranno in 166, domani il giorno di riposo giunge quantomai provvidenziale.
«Speravo in una giornata come questa – dice Pozzovivo, mentre si affida alle cure del massaggiatore della Intermarché-Wanty – cinque anni fa arrivai sesto, ma staccato. Questa volta me la sono giocata fino all’ultimo, anche se lo sprint non è il mio forte. La prestazione è stata molto buona.
«Le gambe ci sono, lotto un po’ con il mal di schiena, ma se ho tenuto oggi dopo sei ore, vuol dire che ci sono. Questo era un crocevia importante per decidere se fare classifica o meno e la risposta è stata positiva. Faccio classifica».
Ventagli in salita
Fra le pieghe del racconto, vengono fuori anche le dinamiche di corsa. Gli chiediamo se il lavoro di Porte sia stato davvero tremendo come è parso dai maxi schermi e il risvolto va oltre la semplice velocità.
«Il lavoro di Porte ha fatto molto male – dice Pozzovivo – il momento più difficile è stato quando ha accelerato con il vento laterale. Oramai si fanno i ventagli anche in salita (fa un ghigno sconsolato, ndr). Avevo un po’ l’incubo dell’Etna. Appena ha cominciato a metterci sul ciglio, ho fatto il massimo sforzo per coprirmi e poi mi sono serviti due chilometri per recuperare. Lì ho anche visto che riuscivo a respirare bene. Un buon segno per rimanere fino in cima. Di solito le salite lunghe mi piacciono ed è stato un bel segno. La salita me la ricordavo, non sono venuto a vederla. Era talmente dura, che non volevo mettere il dito nella piaga. Ho detto di volermi giocare le tappe di montagne ed eccomi qua…».
Esperienza d’oro
Nel gruppo di testa, oltre al giovane vincitore, a Carapaz e Landa, per un lungo tratto abbiamo osservato il colpo di pedale di Nibali, Valverde e dello stesso Domenico. “Ragazzini” di grande esperienza, che hanno supplito con il mestiere al gap di potenza.
«L’esperienza conta tantissimo – dice – cinque anni fa avevo avuto un momento di difficoltà attorno agli 8 chilometri dall’arrivo e l’avevo superato. Quello mi è servito come riferimento. Io, Almeida e Hindley abbiamo gestito la rincorsa, perché i tre davanti erano un piccolo gradino sopra. Non eravamo così distanti, per questo guardo con ottimismo al seguito del Giro. La prossima settimana è forse la meno dura delle tre, ma si chiude con un fine settimana importante. Domani avrò da studiare…».