SIENA – Quando chiediamo a Tom Pidcock se si aspettasse questa sfida con Tadej Pogacar, lui replica con un secco: «E con chi altro?». Ma forse la domanda andava girata. Forse sarebbe stato meglio chiedergli se si aspettasse di tenere così a lungo le ruote del campione del mondo. Era chiaro che lo sloveno ci sarebbe stato.
In ogni caso, quello che abbiamo potuto vedere a Siena nel dopo gara è un Pidcock realista. Di certo non contento per il secondo posto, perché uno come lui è nato per vincere o per correre con l’idea di vincere. Ma neanche così dispiaciuto.
«Sono contento di essere stato l’unico che è riuscito a seguire Tadej, ma nel finale è stato troppo forte per me». Alla fine, quello che doveva fare lo ha fatto. È andato via con il numero uno e solo un suo affondo potente ai 18 chilometri dall’arrivo lo ha messo fuori gioco. Questione di motore. C’è poco da fare.
Vado o non vado?
«La corsa è andata come mi aspettavo – spiega Pidcock – siamo andati abbastanza veloci per tutta la gara, quindi sono contento che tutto sia andato bene».
E poi si arriva al momento clou: la caduta che avrebbe potuto cambiare tutto. È vero che dopo lo ha atteso, ma è anche vero (e dalle immagini TV si è visto benissimo) che dopo la scivolata di Pogacar e il dritto di Swift, lui si volta e decide di proseguire. Il che è legittimo, non lo biasimiamo, sia chiaro. La gara è gara. Specie contro un atleta pressoché imbattibile come Pogacar, si sfrutta ogni possibilità.
«Per un po’ – dice Pidcock – ho pensato di andare. Ho guardato dietro e né Tadej né Swift c’erano. Però poi ho pensato anche che c’erano ancora 50 chilometri da fare e che ero da solo, con solo mezzo minuto di vantaggio. A quel punto sono tornato sui miei passi e ho aspettato. Ed è stata la cosa giusta. Quando è rientrato, ho visto le sue ferite e si capiva l’impatto che aveva subito».
Qualcuno gli chiede se questo Pogacar sia un superuomo e, se lo aprissero, cosa si aspetterebbe di trovare. Lui glissa e dice: «Mi aspetto di trovare qualcosa di normale, un corpo, delle ossa…».
Pidcock coraggioso
Una cosa è certa: oggi Pidcock ha dimostrato grande coraggio. Attributi che gli avevano chiesto di mostrare il giorno prima. Alla fine, in questi due giorni senesi, l’inglese ci è parso molto concreto, passateci il termine. Pochi fronzoli, pochi sorrisi, ma neanche musi lunghi. Si è presentato in mixed zone e ha risposto a non si sa quante interviste, forse anche più di Pogacar. In fin dei conti, la notizia, l’outsider che avrebbe tenuto in piedi la tensione della competizione, era lui. E lo stesso atteggiamento lo aveva dopo il traguardo.
Ancora Tom: «Non si trattava di avere gli attributi, si trattava semplicemente di seguire il piano. E il piano non era attaccare a Monte Sante Marie, ma solo seguire Tadej quando avrebbe attaccato. Sapevo che sarebbe partito di lì a poco. Si vedeva che stava aspettando il momento giusto, e così ho pensato di andare io». Insomma, la dinamite era pronta, lui ha solo acceso la miccia.
Pidcock, come la netta maggioranza degli atleti in gara, ha utilizzato gomme da 30 millimetri (i tubeless Vittoria), ruote a profilo medio-alto e, contrariamente a molti altri, non aveva un manubrio strettissimo, specie se rapportato alla propria altezza e quindi alla larghezza delle sue spalle. E questo, sullo sterrato, è un bel vantaggio: allarga la base d’appoggio.
«Siamo a posto, Tom sta bene, ci farà divertire», ci aveva detto Gabriele Missaglia prima di salire in ammiraglia e schierarsi per l’allineamento.
I pensieri della sera
Cosa passa nella mente di un atleta che deve sfidare il più forte corridore, forse, di tutti i tempi? Come va a dormire? È un onore o un onere? Paura o adrenalina?
«Pensavo che alla fine questo duello sarebbe stato una gioia. Questo è ciò che speravo. Sapevo di essere in buona forma, penso che sia la migliore condizione che abbia mai avuto ed è stato bello essere in lotta così a lungo con lui. Ho fatto una delle mie migliori performance. Mi sentivo molto bene oggi. Quando hai ancora 70 chilometri da fare e attacchi, è perché stai bene. Sapevo che sarebbe stata una lunga gara, ma ero “comodo” con quel passo che abbiamo tenuto in due. Sono sincero, spesso quando siamo rimasti da soli davanti ero in Z2».
Riassumendo, il coraggio c’è stato, la parte tattica anche, le gambe? Assolutamente sì, lui stesso ha parlato di miglior condizione di sempre. E quindi? come detto all’inizio questione di motore: stop. Quindi c’è da allargare le braccia, incassare e continuare a lavorare. Cosa che tutto sommato ha detto anche Tom: «Ho fatto dei passi avanti quest’anno e posso dire di stare andando nella direzione giusta. La nuova squadra, il nuovo allenatore, il nuovo nutrizionista, tutte queste novità sono arrivate solo a dicembre, sono passati solo tre mesi». Vale la pena continuare a sperare insomma…