Il 2023 sarà un anno importante per Matteo Moschetti. Il velocista milanese ha scelto di cambiare e dopo 4 stagioni piene alla Trek-Segafredo, accetta anche lui di far parte della nuova scommessa della Q36.5. Ci arriva con tante aspettative, non solo sue ma anche di chi l’ha chiamato nel nuovo team. Moschetti ci arriva dopo una stagione che era iniziata bene, con due vittorie in Spagna e Grecia, ma poi non gli ha portato quelle gioie ulteriori che sperava.
Matteo cerca comunque di vederla in positivo: «Diciamo che mi darei un 6 e mezzo. E’ stata una stagione normale nel suo complesso, con alti e bassi e proprio questo mi dispiace, non essere mai riuscito ad essere costante. Io comunque metto da parte il buono che c’è stato».
Il fatto che approdi in una squadra professional lo vedi come un vantaggio?
Per me sì. E’ vero che magari non avremo accesso ad alcune delle prove più importanti del WorldTour, ma in fin dei conti io grandi Giri non ne ho ancora mai fatti. So che avremo davanti a noi un calendario comunque importante e mi è sufficiente, gareggeremo in Italia e all’estero, le occasioni per fare bene non mancheranno.
Entri in un progetto importante, anche al di là dei risultati…
Ho sempre seguito il Team Qhubeka sin dai tempi della sua vittoria alla Sanremo con Gerald Ciolek nel 2013. Poi un conto è vederlo da fuori, un altro è esserci immersi come mi è capitato sin da quando Douglas Ryder ci ha parlato e spiegato le radici del team. Sono rimasto affascinato dalla sua forza interiore, dai suoi sforzi in tema di sostenibilità ambientale e di come anche noi correndo possiamo fare la differenza. Tutto ora ha un significato più ampio.
Ryder è stato molto chiaro: si punta molto su di te come velocista per le vittorie…
E’ stata questa una delle ragioni che mi hanno convinto a cambiare. So che finalmente avrò una squadra dedita alla mia causa, che lavorerà per mettermi nelle migliori condizioni. Questa è anche una grande responsabilità, ma è uno stimolo 100 volte più forte sapere di avere la fiducia del team a tutti i livelli. Probabilmente è quello che mi è mancato di più, fare la “prima punta”.
Con te ci sarà Sajnok come altro velocista. Vi conoscete?
So che è stato campione del mondo nell’omnium nel 2018 quindi è uno che va forte a prescindere. Ci siamo ritrovati spesso di fronte, quest’anno ad esempio ben 10 volte e lui è arrivato più volte davanti. Ci siamo parlati nel primo incontro del team, avremo modo di approfondire, è chiaro che ci daremo una mano in ogni occasione.
Ryder aveva sottolineato che pur essendo un team internazionale con 13 differenti Paesi rappresentati, il Q36.5 ha una forte impronta italiana…
Questo è un concetto che in fin dei conti non ha per me molta importanza. Certo, essere in 7 italiani e 2 ticinesi potrà aiutare in gruppo in quanto a celerità delle comunicazioni, ma era così anche alla Trek-Segafredo e alla fine l’aria che si respirava era comunque internazionale. Lo stesso ho già visto che sarà alla Q36.5 e non mi dispiace. Ho sempre militato in team internazionali. La cosa che mi ha più colpito finora è che vedo la stessa professionalità, la stessa lunghezza d’onda di un team del World Tour.
Hai già ripreso la bici?
Da una decina di giorni, ho iniziato la preparazione senza fretta ma con molta determinazione. Io vorrei tanto affrontare un anno fatto bene, regolare, sfruttando al meglio la miglior forma quando arriverà. Se guardo al mio passato, finora non ci sono mai riuscito…
Nel tuo ruolo di velocista, fai differenza tra vittorie nelle corse a tappe o nelle gare d’un giorno?
Bella domanda. Io personalmente non ci guardo, per me una vittoria è una vittoria, che assume maggiore o minore importanza in base al contesto: quando e dove si corre, gli avversari, la forma personale, ecc.. La squadra però la vede diversamente perché deve tenere il conto dei punti Uci e con il regolamento attuale vincere una gara in linea ti dà 4-5 volte più punti. E’ chiaro che un team a questo deve guardare. Io forse appartengo a una vecchia scuola: per me le gare sono tutte importanti…