Mirco Maestri: l’europeo ha detto che può stare tra i grandi

15.10.2024
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Ad alti livelli Mirco Maestri ci sa stare. Ci può stare. Lo ha dimostrato, una volta per tutte, durante il campionato europeo, quando per la prima volta da professionista ha indossato la maglia azzurra. Il corridore della Polti-Kometa è stato decisivo su strada e protagonista nella crono del team relay, dove addirittura ha vinto l’oro.

Una gran bella stagione insomma per Maestri. Un buon Giro d’Italia, degli incoraggianti piazzamenti in estate e appunto il super europeo in Belgio. «Ma ora – dice lui – sono un po’ stanco. Sto bene, tanto è vero che ho chiesto di fare ancora una gara, il Giro del Veneto, ma da giovedì sera sarò in vacanza».

Tra l’europeo e la fuga al Giro con Alaphilippe la popolarità di Maestri è cresciuta anche all’estero: eccolo al Tour du Limousin
Tra l’europeo e la fuga al Giro con Alaphilippe la popolarità di Maestri è cresciuta anche all’estero: eccolo al Tour du Limousin
Mirco, partiamo proprio da quanto detto: una bella stagione, giusto?

Sì bella, ma io sono anche autocritico… e c’è sempre da migliorare. E’ stata una stagione lunga, impegnativa, ma che ha dato i suoi risultati. E la convocazione in azzurro.

Insistiamo su quest’ultima: te l’aspettavi?

Al Giro d’Italia qualche battuta Bennati me la fece. Ma sai, sull’entusiasmo e qualche buona prestazione del momento è una cosa, col passare del tempo invece le cose cambiano. E io infatti non mi ero illuso. A luglio, prima di andare in ritiro a Livigno, Stefano Zanatta, mi fa: «Mirco, prendila con le pinze, ma sei nella rosa della nazionale per l’europeo». Sin lì si parlava solo della strada. Dopo tre giorni, Zanatta mi conferma che ero nella rosa ristretta. Mi dice di dimostrare di essere forte, qualcosa che avrei saputo fare. A quel punto il mio mood era al 200 per cento sulla nazionale. Era tutto vero!

Possiamo immaginare…

Davvero non ho lasciato nulla al caso. Realizzavo il sogno di indossare la maglia azzurra. Io credo sia il massimo per un atleta professionista, di ogni sport, rappresentare la propria nazione. Sin lì l’avevo vista come una cosa inarrivabile. Tanto più che io sono in una professional e non sempre ho la possibilità di stare con i migliori corridori, nelle migliori gare. Il calendario di una professional è diverso da quello di una WorldTour. Però ho sfruttato bene la continuità che mi aveva dato il Giro e la mia costanza di rendimento. 

L’emiliano (casco bianco) tra i giganti senza nessun timore. In azzurro si è fatto più che valere
L’emiliano (casco bianco) tra i giganti senza nessun timore. In azzurro si è fatto più che valere
Però, nonostante il non essere in un team WorldTour, a livelli alti hai dimostrato che Mirco Maestri ci sa stare. Molto bene su strada, addirittura benissimo a crono.

A crono ero un bel po’ preoccupato, non tanto fisicamente o per i miei numeri, ma perché è noto che le squadre WorldTour curano in modo ben diverso questa disciplina: materiali, body, posizioni… In più io un Team Relay non l’avevo mai fatto e all’inizio non si parlava di questa gara per me. Me lo hanno detto due settimane prima. L’Italia voleva vincere: avevo una pressione non indifferente. L’ultima cronosquadre che avevo fatto ero ancora con la Bardiani e la facemmo per andare all’arrivo. In tre, invece, è ancora tutto più tecnico.

Tu hai un altro anno di contratto con la Polti-Kometa e va benissimo, ma appunto quei calendari sono diversi e a quei livelli ti ci misuri meno…

Per me questa esperienza è motivo di orgoglio. Noi delle professional dobbiamo prendere i ritagli di quel che resta. Dobbiamo anticipare e sperare nella “corsa nella corsa”. Come poi è andata quel giorno con Alaphilippe. Poi è chiaro che devi stare bene. Io in quella tappa ho fatto una delle mie migliori prestazioni assolute, ma ripeto… abbiamo anticipato.

Alaphilippe e Maestri in fuga al Giro. Partirono quando mancavano 124 km al traguardo. Due corridori che piacciono al pubblico
Alaphilippe e Maestri in fuga al Giro. Partirono quando mancavano 124 km al traguardo. Due corridori che piacciono al pubblico
Chiaro…

Mentre all’europeo ho corso come in una WorldTour e mi ci sono trovato bene, anche se mai avevo gareggiato così in precedenza e cioè controllando la corsa, avendo il capitano dietro da proteggere. Ed è quello che potrei fare in una squadra grande. Io sono più abituato ad attaccare liberamente. Mi ha fatto piacere quel che mi ha detto Trentin: «Non c’è bisogno che dica niente. Lavori bene». E’ anche vero che ho 33 anni e 10 anni di professionismo: ce ne vuole per crescere e non imparare nulla!

E invece quanta consapevolezza ti ha dato questa esperienza? Il prossimo anno parti con le spalle più grosse?

Ammetto che qualcosa è cambiato dal giorno della fuga al Giro con Alaphilippe. Ora in gruppo mi conoscono un po’ di più, anche gli stranieri. Sono più preso in considerazione perché ho dimostrato di avere motore. E forse è proprio quel giorno che ha influito sulla mia convocazione in azzurro. Anche Bennati forse ha ragionato così. Ho visto che preparandomi al 100 per cento qualche soddisfazione personale posso togliermela. Non dico vincere, che per me resta difficile, ma qualche piazzamento in più sì. Anche al Poitou-Charentes, per esempio, se non fosse stata per una fuga nell’ultima tappa avrei fatto secondo nella generale (ha finito sesto, ndr) dopo il secondo posto nella crono.

Dopo l’esperienza all’europeo, Mirco ha gareggiato a crono con il casco della nazionale: stesso brand ma modello leggermente diverso da quello del team
Una bella motivazione…

Io la vivo serenamente. Ma a fine stagione cancello quel che ho fatto. Ogni anno cerco di ripartire come se fosse il primo anno da professionista. E’ un modo per mantenere vivi gli stimoli, per ripartire con tanti “dubbi” e tanta grinta. Dopo oltre dieci anni la passione per me è sempre la stessa. Voglio dare il massimo per me e per la squadra. Vi dico questa…

Vai…

Ivan Basso mi ha voluto in questa squadra e ci sono andato nonostante avessi pronto un contratto di due anni con la Bardiani. Lui me ne offriva uno. Ma ho rischiato. Ho sentito la fiducia sua e quella di Zanatta, due che hanno colto i grandi successi della Liquigas. Per me la Bardiani era la squadra di casa: ho pianto due giorni dopo che l’avevo lasciata. Ivan è stato il primo a chiamarmi dopo la crono dell’Europeo. Gli ho detto che se ero lì, era grazie a lui. A lui e a Zanatta, che mi fanno sentire importante, mi danno fiducia e responsabilità. A volte anche piccole parole solo per aver portato il velocista all’ultimo chilometro fanno bene. Piccole cose che spesso si danno per scontate, ma fanno bene. A livello psicologico danno una marcia in più.