Lorenzo Fortunato ha chiuso la Vuelta al 16° posto, primo degli italiani, a 40’43” da “padron” Roglic. Questi dati non bastano però per definire la sua corsa, molto più complessa nella sua definizione attraverso le tre settimane di gara. Lo stesso portacolori dell’Astana Qazaqstan team fa un po’ fatica a darsi un voto, fra un piazzamento di livello ma non pari alle sue aspettative e un andamento nelle tappe difficile da gestire.
Su un aspetto però il bolognese tiene subito a mettere l’accento: il livello generale della corsa. «Ho sentito dire in giro che la Vuelta era di livello inferiore rispetto agli altri due Grandi Giri ma io, che ho corso anche il Giro d’Italia, posso dire che non era assolutamente così. Nel complesso si è andati davvero forte, non si stava tranquilli mai, neanche nelle tappe che finivano allo sprint, si andava sempre a tutta tanto è vero che anche le fughe nascevano con difficoltà».
Perché allora la corsa spagnola è stata giudicata con un po’ di sufficienza?
E’ un errore che si verifica sempre più spesso: se non ci sono i fenomeni come Pogacar, Vingegaard, Evenepoel allora si pensa che vale di meno. Non è così: guardate l’ordine di arrivo finale, togliendo quei tre, gli altri big c’erano tutti e in corsa si vedeva. Ma io vado anche oltre: ne parlavo con gli altri e tutti, ma dico tutti, mi hanno detto che i valori erano più alti, in salita ma non solo. E proprio in salita si vedeva che si andava più forte.
Secondo te la fuga di O’Connor, in lizza per la vittoria fin quasi alla conclusione, ha cambiato un po’ l’evoluzione della corsa?
Io penso di sì. Ha soprattutto stravolto la meccanica di corsa perché la Decathlon, che pure si è dimostrata squadra molto forte, non controllava il gruppo, non imponeva la sua legge. La Red Bull però non ne approfittava più di tanto, forse perché Roglic voleva aspettare la parte finale della Vuelta come poi è avvenuto. Inoltre va considerato il fatto che 21 giorni sono lunghi da gestire, quindi hanno preferito lasciare mano libera e questo ha un po’ stravolto le tattiche.
Ciò ha coinvolto anche te?
Per certi versi. Alla vigilia si era partiti con l’idea di fare classifica e siamo andati avanti su quella linea. Se avessi preso mezz’ora nelle prime tappe, avrei avuto mano maggiormente libera per entrare in una fuga, così invece ero marcato stretto perché la Top 10 è qualcosa che fa gola a molti. La corsa ha poi dimostrato che con quel livello riuscire a entrare nei primi 10 era praticamente impossibile. Io non posso nascondere che buona parte di quelli che mi sono finiti davanti erano più forti di me, io comunque non rinnego la scelta che abbiamo fatto.
Facendo il paragone con il Giro finito al 12° posto, pensi di essere andato più forte?
Io dico di sì, me lo dicono i valori in gara ma anche il mio rendimento. Andavo più forte, anche in base agli ordini d’arrivo. Torno al discorso di prima: se fuori dai 10 trovi gente come Yates o Kuss, significa che il livello era davvero alto e chiaramente facevo più fatica, anche Dunbar che pure ha vinto due tappe è rimasto fuori.
Dicevi però che hai mantenuto il punto: ti senti sempre più un corridore da Grandi Giri, ossia da classifica?
Da questo punto di vista sono convinto della scelta, pur tenendo presente che vado bene in salita ma non sono uno dei top. Cerco però di essere a quel livello, l’unica cosa che mi dispiace e che influisce un po’ sul giudizio generale sulla mia Vuelta è che avrei voluto almeno emergere in una tappa, ma i piazzamenti a Pico Villuercas e Alto de Molcalvillo sono un po’ lo specchio del mio valore in quella corsa paragonato agli altri. Ribadisco, andavano più forte, niente da dire.
Questo rientra anche in un discorso più generale di ristrutturazione dell’Astana, molto attiva sul mercato e che ha preso gente proprio dedita alle corse a tappe, soprattutto per quelle medio-brevi…
Sì, è un po’ la chiave per il futuro del team nella quale io mi rispecchio, considerando che ho il contratto per il prossimo anno. Oltretutto sarà un anno decisivo per la permanenza nel WorldTour e faremo di tutto per confermarci, lavorando soprattutto nelle prove di più giorni. La squadra si sta rinforzando proprio in questi termini.
In definitiva dai un giudizio positivo sulle tue tre settimane?
Lo dico un po’ a denti stretti ma sì, anche se sono convinto che valevo di più proprio facendo il paragone con il Giro. Ho finito comunque rispecchiando la mia dimensione, anche se è chiaro che alla vigilia mi aspettavo e proponevo di più. Ma alla fine bisogna anche saper accettare il verdetto della strada.