Non toccate la Sanremo (ma ridateci alla svelta la partenza da Milano). Si è detto per una vita che servisse un’altra salita nel finale per renderla più divertente, senza rendersi conto che bastava avere i corridori giusti. Forse non ci rendiamo tutti conto del grande ciclismo che stiamo vivendo e magari rileggere il finale della Classicissima può essere un’utile guida alla comprensione.
Sul Poggio si sono sfidati il corridore numero uno al mondo, re di due Tour de France e di due Lombardia. Il miglior cronoman del mondo, detentore del record dell’Ora e di quello mondiale dell’inseguimento individuale e a squadre. Il vincitore di due Giri delle Fiandre e di svariati mondiali di cross. Il vincitore di una Sanremo, di tappe al Tour, dell’ultima maglia verde, della Gand e dell’Amstel. Quale altra corsa nel calendario internazionale può fare un simile sfoggio di professionalità diverse e nobili?
La velocità di VDP
Quello che ha stupito è stato il modo in cui Van der Poel se l’è portata a casa. Pogacar infatti ha messo la squadra alla frusta sulla Cipressa. Si è detto che quel lavoro non abbia prodotto i risultati sperati: in realtà il ritmo del UAE Team Emirates ha ricordato a corridori come Pedersen, Mohoric, al giovane De Lie e al più esperto Sagan che cosa significhi arrivare al Poggio con le gambe stanche. Passare dal senso di forza e grandi sogni, all’improvviso blackout e le gambe dure.
A quel punto Pogacar ha piazzato due scatti, portando con sé soltanto Ganna, mentre alle sue spalle Van der Poel si è nascosto nella scia di Van Aert. E quando il Poggio finalmente spianava e tutti si aspettavano l’ennesimo attacco di Tadej, Mathieu ha piazzato il suo affondo. Un’accelerazione violentissima nel tratto in cui serviva calare il rapporto e fare velocità, nel momento in cui tutti gli altri, per stessa ammissione di Pogacar, erano ormai in rosso.
Già visto alla Tirreno
Si è parlato molto della condizione dell’olandese alla Tirreno-Adriatico e lui per primo ha raccontato il bisogno di andare più a fondo nella fatica per ritrovare la gamba giusta. E se questo è stato palese sulle salite, provate a riavvolgere il nastro e valutare con altro occhio le due volate tirate a Philipsen: quella di Foligno, ma soprattutto quella di San Benedetto.
Quel giorno Van der Poel ha sbrigato da solo la pratica che in un’altra squadra avrebbe richiesto almeno due uomini. Il suo lavoro è durato circa 700 metri, durante i quali è stato capace di una velocità che ha allungato il gruppo e servito a Philipsen lo sprint su un piatto d’argento. Da quel numero si poteva già capire parecchio: l’olandese è stato capace di sviluppare una velocità impossibile per gli altri. E sabato l’ha rifatto sul Poggio.
Van Aert riparte
Certo, uno così ti destabilizza. Pensi che sia alla frutta e ogni volta invece torna forte come sempre. Chissà che cosa possa averne pensato Van Aert, costretto a chinare il capo per l’ennesima volta. Ti aspetteresti che dopo la batosta subito ai mondiali di cross, sia sull’orlo di una crisi di nervi, invece le sue reazioni dopo la gara e il giorno successivo sono state nel segno di una grande tranquillità.
Ha riconosciuto il merito al rivale di sempre, poi si è concesso una domenica in famiglia (a proposito, sua moglie ha annunciato l’arrivo di un altro figlio che arriverà la prossima estate) e adesso si starà rimboccando le maniche per le sfide del Nord. Del resto, se sei consapevole di aver fatto il massimo, perché dovresti starci male se un altro ti batte? Sul momento ti rode, quello è il tuo rivale di sempre, ma dopo deve passare per forza.
Alfredo Martini, che ne avrebbe avuto da insegnare ancora per anni, era solito dire che il grande rammarico viene fuori se sai di essere arrivato alla gara senza aver fatto tutto quello che serviva.
La cicala e la formica
Bartoli l’ha spiegato benissimo: probabilmente Van Aert è più forte, ma Van der Poel è più vincente. L’uno non può vincere ciò che vince l’altro e viceversa. Van Aert è la formica: vince, lavora per la squadra e non perde un colpo. L’altro è la cicala: sembra che dorma e quando si sveglia è capace di capolavori. Per cui forse, al di là di approfondire se Van Aert abbia fatto bene o meno a usare il monocorona, in casa Jumbo Visma una riflessione potrebbero farla sull’impiego del gigante belga.
Se è vero che entrambi si sono presi un mese senza gare dopo il mondiale di cross, resta il fatto che alla Tirreno, Van Aert ha tirato tanto per Roglic, mentre Van der Poel ha avuto il tempo e l’occasione per mettere a punto la gamba. A Sanremo, Van Aert era stanco, Van der Poel aveva ancora riserva.
Pensando al 2022, il belga ha corso per 48 giorni, raccogliendo 4.565 punti UCI. L’olandese ha corso per 49 giorni, prendendone però appena 2.028. Questo perché Van Aert è sempre in prima linea, a vincere (9 vittorie), lavorare e piazzarsi: ricordate che lavorone e quante fughe fece al Tour vinto con Vingegaard? Mentre l’altro, furbo e sornione, fa il suo e quando serve, piazza la botta (5 vittorie 2022, con il Fiandre).
Resta da chiedersi semmai, con gente del genere in circolazione (aggiungendo anche Pidcock a Pogacar, Van der Poel, Van Aert e Ganna) se e quando in corse come la Sanremo ci sarà spazio per gli altri.