LIUZHOU – Dopo l’arrivo in salita di Nongla, Aleotti si è seduto a terra e si è preso tutto il tempo per respirare ancora. Gli ultimi 1.500 metri della quarta tappa al Tour of Guangxi sono stati una lunga apnea e chiunque non avesse le gambe migliori l’ha pagata a carissimo prezzo. Qualcuno ha annotato che raramente si vedono simili facce stravolte dopo un arrivo, in realtà si trattava delle stesse facce del Muro d’Huy, in un periodo dell’anno in cui tuttavia la condizione è meno buona.
«La prima parte della tappa – sorride Aleotti – è stata abbastanza tranquilla, quasi facile. Poi gli ultimi 10 minuti li abbiamo fatti a fiamma ed è stato l’ultimo sforzo vero della stagione. E dopo la scorsa settimana con due cadute, anche quella del Lombardia, l’ho pagata con 19 secondi di ritardo».
Il 2023 è stato un calvario. Gli obiettivi sono sfumati, la lista delle sfortune è interminabile e la sensazione che Giovanni sia in un ambiente che va avanti bene anche senza di lui ce l’abbiamo addosso da qualche tempo. La Bora-Hansgrohe si è rinforzata con l’arrivo di Roglic. Ci sono Hindley e Vlasov, Higuita e l’emergente Uijtdebroeks. Qualunque piccolo spazio, l’emiliano dovrà conquistarselo con la forza e un po’ più di fuoco addosso.
Che stagione è stata questo 2023?
Un po’ complicata e specialmente nella prima parte ho avuto tanti problemi. All’Oman mi sono ammalato, poi sono tornato e sono caduto in allenamento. Mi sono aperto la mano e sono stato di nuovo fermo. Prima del Giro ho avuto un’infezione all’occhio, sono guarito a tre giorni dal via. E appena ho recuperato, ho preso il Covid e mi sono ritirato dopo la tappa di Napoli. Nel ciclismo di adesso in cui è tutto così al limite, trovarsi a inseguire non è facilissimo. Invece da agosto in poi ho avuto un buon periodo, in cui mi sono sentito molto bene. Ho trovato continuità, motivo per cui abbiamo deciso di venire qui in Cina. E’ l’ultima corsa WorldTour, c’era una sola tappa di salita. L’obiettivo era probabilmente un piazzamento nei 10, ma quello che si è visto è ciò che è rimasto nel serbatoio. E allora sono contento di essere qua e di finire qua la stagione.
Un bel percorso a ostacoli, purtroppo rispetto agli obiettivi di partenza è stata una stagione deludente…
Diciamo che voglio finire prendendo il poco di buono che si è visto in questi ultimi mesi. Dal Polonia in poi mi sono sentito bene, sono stato davanti e diciamo che voglio prendere questo in prospettiva dell’anno prossimo.
Forse abbiamo visto il Giovanni migliore in occasione delle due vittorie al Sibiu Cycling Tour, che idea ti stai facendo di te? Anche perché con l’arrivo di Rogic forse gli spazi si chiuderanno…
Credo che con Roglic tutta la squadra farà un passo in avanti. Io continuo a crescere e spero di avere un po’ più di continuità. Come dicevo, nel ciclismo in cui si va a mille all’ora, trovarsi a inseguire per problemi fisici non è il massimo. So che ho lavorato bene, ma se per ogni passo che fai in avanti, poi devi farne due indietro, tutto si complica.
Ogni più piccolo spazio si dovrà conquistare?
Spero che l’arrivo di Roglic non tolga spazio e anzi porti più professionalità alla tanta che c’è già in questa squadra. Sicuramente l’arrivo di una superstar dà qualcosa in più a tutti e magari per me sarà anche un campione da cui imparare.
All’inizio della stagione avete la possibilità di indicare le corse che vorreste fare?
Di solito i nostri desideri e i programmi si condividono sempre con i direttori sportivi e con i preparatori. Anche l’anno scorso avevamo un programma che prevedeva la partenza dall’Australia, ma per vari motivi da lì in avanti sono saltati. L’Oman e la Coppi e Bartali erano i miei due obiettivi di inizio stagione. In Oman mi sono ammalato e alla Coppi e Bartali non sono partito per la caduta in allenamento. La squadra ascolta e io sono il primo ad ascoltare quello che mi consigliano di fare. Però la voglia di provare a mettermi alla prova c’è ed è tanta.
La domanda serviva per capire se tu sia rassegnato a un ruolo da comprimario o abbia voglia di batterti per vincere.
Penso che ormai sia sempre difficile vincere, perché vincono quasi sempre gli stessi. E anche per i giovani penso serva più tempo, specialmente se si parla di scalatori. Magari il velocista riesce a inserirsi meglio, mentre in salita la tattica conta poco e alla fine contano le gambe. E’ un ciclismo in cui vincono quasi sempre gli stessi. Io penso che sicuramente anche la fiducia in se stessi porti a fare risultati. Quindi quello che spero è sicuramente di avere continuità di prestazioni e di sensazioni. E di ricostruire questa fiducia. E poi non ci starebbe male un po’ di fortuna…