Enrico Della Casa è stato riconfermato per altri 4 anni alla guida della UEC. Quando un presidente viene mantenuto in carica, è solito dire che avrà così la possibilità di portare avanti il suo lavoro iniziato 4 anni prima e nel suo caso non sono parole di circostanza. «E’ un po’ la continuazione degli 8 anni già volti da segretario generale, in questi anni ho visto il ciclismo espandersi e cambiare profondamente, c’è ancora molto da fare per adeguarsi. Tra l’altro lavoreremo con un consiglio quasi tutto nuovo, con 5 elementi su 7 che non erano in carica, sarà una sfida importante proprio per procedere con idee nuove» ha affermato a proposito della sua rielezione.
Il dirigente italiano ha sempre avuto una visione del ciclismo a 360°, non incentrata solo sulla strada e vuole assolutamente continuare su questa linea: «In questi anni ad esempio l’offroad si è evoluto tantissimo, sia nella mountain bike che nel ciclocross, poi stiamo assistendo all’affermazione del gravel, ancora molto legato alla strada ma che credo troverà una propria direzione. Il settore più delicato è la pista, dove si attende la conferma delle specialità olimpiche e il programma di qualificazione per poter ragionare sul calendario e dimostrare al CIO che facciamo abbastanza attività in ogni continente».
C’è poi il discorso strada…
Già e lì ci stiamo muovendo soprattutto sul tema sicurezza che per noi è primario. Allestire un evento ciclistico è sempre molto complicato, spesso dobbiamo confrontarci con le autorità locali che vorrebbero il passaggio in centro, ma non sempre troviamo condizioni stradali idonee e questo è ancora più dirimente scendendo di categoria. Spesso le gare vedono al via ragazzi ancora non abbastanza esperti, inoltre si organizza in Paesi meno evoluti, per questo dico che la sicurezza è un tema delicatissimo e deve essere al centro della nostra attività.
Parlando di calendari, è innegabile che essi ostacolino la multidisciplina. Quando su strada l’attività va da gennaio a novembre, il ciclocross ne rimane schiacciato, la pista anche e le difficoltà per chi vuole differenziarsi sono enormi. C’è davvero bisogno di così tanti eventi?
Il ciclismo è cambiato, non è più quello della mia giovinezza quando tutti gli eventi erano in Europa. Ora inizi in Australia e finisci in Cina, vai oltreAtlantico, anche in Africa. Come puoi ridurre se le richieste aumentano di numero e di Paesi coinvolti? – si chiede Della Casa – Bisogna trovare una quadra, una nostra commissione ci sta lavorando da tempo. Un’idea sulla quale stiamo spingendo è quella di attribuire punti agli atleti che vanno a gareggiare in altre discipline, così i team avranno interesse a venire loro incontro, ma servono tabelle adeguate, i giusti pesi e contrappesi. Noi dobbiamo tutelare la pista, non dimentichiamo che assegna 12 medaglie olimpiche…
Tra cui però sono andate perdute quelle di specialità storiche come inseguimento e chilometro da fermo…
Purtroppo credo sia un processo ineluttabile che a me dispiace molto, ma l’orientamento del CIO finora è stato quello di coinvolgere sempre più i giovanissimi e si è visto anche con l’inserimento di discipline come la breakdance. Forse sarò di parte, ma quando sento che si giudicano nostre discipline come poco appetibili a livello di attenzione non ci sto. Di spettacoli sportivi “noiosi” ce ne sono, ma non sono i nostri…
E’ tutto un problema di audience televisiva?
Per certi versi sì. Noi ad esempio siamo riusciti a inserire la madison, ma ci si è dovuto lavorare molto sopra per renderla facilmente comprensibile a chi non è del nostro mondo. Non dimentichiamo che alle Olimpiadi arrivano giornalisti e commentatori Tv che non sono del nostro ambiente, che non conoscono dettagliatamente le regole. Noi dobbiamo ragionare sempre nell’ottica di chi guarda per la prima volta.
Il ciclismo va verso lo schema juniores-devo team-world tour (le professional come soluzione di ripiego). Paesi come l’Italia vedono sparire corse e società storiche: si può ragionare sulle categorie a livello centrale oppure ognuno fa da sé?
Bisogna ragionarci – e abbiamo una commissione che lo sta facendo – per adeguare i regolamenti. I tempi cambiano e il valore delle stesse anche. C’è uno sviluppo precoce, è innegabile, quindi le categorie attuali non lo rispecchiano. Noi abbiamo già agito liberando i rapporti per gli juniores, ma non basta. Consideriamo poi che il gruppo va sempre più veloce e su strade sempre più complesse. Gli juniores ad esempio su strada non possono competere con i grandi, ma su pista sì e questa è una discrasia che non ha molto senso. Un’idea potrebbe essere tornare a un calendario semplificato, com’era per dilettanti e professionisti, ma non è così semplice.
Il problema della velocità si è fatto allarmante, con bici sempre più performanti e che agevolano le alte velocità. La Formula Uno è intervenuta sui regolamenti, andando anche contro le case produttrici, perché non si può fare lo stesso nel ciclismo?
Su questo non sono d’accordo perché l’UCI è molto attenta. Ad esempio telai e ruote devono essere omologati prima di ogni gara. La tecnica è in continuo sviluppo, ma deve tenere conto sempre della sicurezza. Casi come quello del quartetto australiano a Tokyo 2020, con la caduta dettata dal manubrio spezzatosi non devono più avvenire. Si cerca di andare oltre i limiti, con manubri sempre più stretti, caschi posizionati in maniera sbagliata dove non è più la sicurezza il primo fine ma l’aerodinamicità. Abbiamo anche visto Paesi investire talmente tanto in tute super performanti da non avere poi i soldi per fare attività. Bisogna agire su questi paradossi, mettere un freno.
Si candiderà alla presidenza dell’UCI?
Vedremo che cosa avverrà il 20 marzo con l’elezione del presidente CIO, noi facciamo un grande tifo per Lappartient, avere la massima carica sportiva proveniente dal ciclismo sarebbe un grande risultato. Per ora diciamo che è nel gruppo di testa, vediamo come andrà la volata…