Dietro alla stagione ricca di successi degli allievi del Pedale Chiaravallese c’è un metodo di lavoro ormai assodato, che vi abbiamo raccontato con le parole di Marco Belardinelli. Lo stesso consigliere del team marchigiano ha sottolineato con le sue parole che il grande apporto arriva da chi questi ragazzi li allena giorno dopo giorno. La frase che più ha stuzzicato la nostra curiosità è stata una.
«Siamo consapevoli di avere dei talenti – ci aveva detto – ma è stato bravo l’allenatore a leggere le caratteristiche di ognuno e fare il suo lavoro. All’80 per cento in un successo in questa categoria conta il talento, per il restante 20 per cento conta il metodo. Più si diventa grandi meno il talento pesa a discapito del metodo. Il nostro obiettivo è insegnare loro cosa vuol dire essere dei corridori.
Parola all’allenatore
Stiamo parlando di Alberto Puerini, allenatore del team allievi, al quale chiediamo subito cosa vuol dire insegnare a questi ragazzi come si diventa ciclisti. Di lui si può dire, in breve, che è stato uno dei dilettanti italiani più forti degli anni 90, pur non essendo mai passato professionista. Si trovò a duellare in salita negli anni di Pantani, Belli e Casagrande, indossando la maglia della Sicc Cucine di Jesi. Ricordi che sembrano lontanissimi, ma che sono indelebili nella memoria di chi ne è stato testimone.
«Abbiamo avuto 20 ragazzi allievi – dice Puerini – e non sono pochi. In più erano suddivisi in tutte le specialità: strada, pista, mountain bike e ciclocross. Non lavoro da solo, ci tengo a sottolineare, ma mi avvalgo dell’aiuto di due ragazzi. Sono ex atleti del team, hanno corso da noi fino alla categoria juniores. Sono Tommaso Fiorini e Tommaso Lancioni, entrambi hanno un fratello che corre con noi: Edoardo e Teo.
«Avere due aiutanti – spiega – è una grande mano e siamo orgogliosi che due ragazzi che hanno smesso di correre abbiano comunque deciso di rimanere nel team, anche con un ruolo diverso. Quello che li spinge è il voler proseguire nel mondo del ciclismo ma con un ruolo diverso e con tanta passione per questo sport. Spesso li tengo con me, anche durante gli allenamenti: loro in bici con i ragazzi e io in ammiraglia. Concordiamo insieme il lavoro da fare e spesso li lascio fare da soli, per imparare».
Quindi alla base di una squadra vincente c’è un’altra squadra…
I due Tommaso mi aiutano tanto, ho 57 anni e ho vissuto un ciclismo tanto diverso, sia da corridore che come diesse. Avevo smesso, per questioni familiari, poi cinque anni fa sono salito nuovamente in ammiraglia. Avere due ragazzi giovani al mio fianco permette di instaurare un contatto diretto con i corridori. Si trovano a interfacciarsi con persone più vicine alla loro età e fanno meno fatica a capirsi. Il loro è un compito importante perché riescono a trovare una chiave di comunicazione con i ragazzi per entrarci in sintonia. Riuscirci vuol dire anche saper poi tirare fuori il massimo da ognuno di loro.
Da cosa si parte?
Sembra scontato ma dalla passione. Se c’è questo aspetto allora tutto è più facile. Poi bisogna entrare nelle loro grazie per farsi ascoltare, ma il ciclismo ormai è molto pratico. I ragazzi chiedono di fare e provare e poi si corregge il tiro. A volte arrivano a pretendere troppo da loro stessi, devono capire che in questa categoria si deve imparare tanto.
Si deve imparare a essere ciclisti…
E lo si fa mattone dopo mattone. Ci vuole tempo, ma spesso arrivano a voler bruciare le tappe. Questo perché vedono il ciclismo ora, dove tra gli juniores sei già chiamato a vincere. E non tutti possono diventare ciclisti, ma vedi già chi ambisce a diventare diesse. Ci sono ragazzi che magari non hanno le qualità atletiche ma li muove una passione incredibile. Vogliono conoscere, capire e apprendere. Tutte cose che possono portarli a diventare dei diesse.
In che modo cerchi di insegnare loro il ciclismo?
Si parte dalla pratica. Il discorso pre gara lo facciamo ma non mi interessa molto. Io voglio parlare con loro alla fine, quando hanno compiuto le loro scelte e capire insieme il perché. Parlo al gruppo, loro mi rispondono e si confrontano. Poi tocca a me dire come avrebbero potuto fare in una determinata situazione. Sono delle spugne. Ho in testa un’immagine del campionato italiano cronometro a squadre che fa capire tanto di come lavoriamo. Dopo l’arrivo, nonostante avessimo vinto, ho parlato con i ragazzi e spiegato loro qualche dettaglio su come migliorare ancora. Anche se si vince ci sono sempre delle cose da migliorare.
Ci sono altri episodi di cui ha ricordo?
Nell’arco di una stagione ce ne sono tanti. Quello che mi piace è farli lavorare e correre con l’istinto. Dico sempre: «Quando siete in gara parlatevi, agite e se poi non viene bene una cosa capiamo il perché». E’ importante capire il motivo per il quale si fanno determinate scelte. Ora si fa fatica a imparare a correre, i ragazzi hanno tanti strumenti: misuratore di potenza, cardiofrequenzimetro, preparatori, nutrizionisti. Sono molto preparati, ma sopra alla bici comanda sempre l’istinto.
E questi ragazzi di cosa hanno bisogno per far crescere il loro istinto?
Forse mancano di coraggio e intraprendenza. Questi strumenti nuovi servono per analizzare bene i dati ma bloccano un po’ il corridore. Prima si guardava meno al poter risparmiare energie e si correva ascoltando il proprio fisico. Per un ragazzo giovane è fondamentale questo aspetto.
Passando all’aspetto tecnico, invece?
Si allenano meno, ma con maggiore intensità. Noi abbiamo una media di 12 ore a settimana. L’allenamento lungo è da 3 ore, massimo 3 ore e 30 minuti. A inizio stagione, gennaio per intenderci, non usciamo nemmeno tutti i giorni, ma un paio a settimana. Poi si aumenta gradualmente fino ad arrivare alle 12 ore che dicevamo prima. Una cosa che abbiamo provato quest’anno e che è andata bene è il correre con programmi delineati. Quindi non si corre tutte le domeniche ma si riposa, per arrivare più freschi alle gare sulle quali si punta.
Un metodo da “adulti”.
Più che da adulti quasi conservativo. Comunque sono ragazzi di 15 e 16 anni, hanno tanti altri impegni oltre al ciclismo. C’è la scuola, la famiglia, gli amici. Vero che se si vuole diventare corridori serve correre e migliorare, ma il riposo non è un fattore da sottovalutare. A qualsiasi età.