Come ha scritto di recente su Facebook, Beppe Damilano ha avuto il piacere di guidare per due anni Stefano Garzelli fra i dilettanti, ma per chi è dotato di buona memoria, la sua Brunero-Bongioanni è stata per anni la squadra di Marco Bellini, Claudio Ainardi, Giovanni Ellena, Fulvio Frigo, Andrea Paluan e da un certo punto in poi anche di Gianluca Tonetti, tornato dilettante dopo cinque stagioni tra i professionisti. Non esistevano ancora gli under 23, ma bussavano alla porta.
La provocazione di Bartoli
Erano gli anni di cui parlava Bartoli qualche giorno fa. Quelli in cui il ragazzino di talento cresceva più in fretta confrontandosi con gente più esperta e solida fisicamente. Quello che mancherebbe oggi in un movimento giovanile che sta alla larga dai confronti… scomodi.
«Michele non ha torto – dice Damilano – battere i vecchi era un bell’insegnamento, anche se in quegli anni i vecchi non insegnavano ai giovani solo belle cose, però è vero che quando arrivò Tonetti, alzò il livello di parecchio. Quando il presidente mi ha fatto leggere l’intervista di Bartoli, ho cercato di ricordare come fosse in quegli anni. C’erano buoni corridori in tutte le squadre, oggi invece sono tutti concentrati nelle continental. E quando vengono nelle corse più piccole ci schiacciano. Un po’ quello che succede al Giro d’Italia, quando le professional non riescono a stare dietro alle WorldTour, tale è la differenza di livello. Sabato eravamo al Memorial Polese e il massimo che siamo riusciti a fare è un sesto posto (con Tommaso Rosa, ndr) e se questo è il massimo cui possiamo ambire, non è una prospettiva che mi piace tanto…».
Paradiso Rostese
Damilano oggi è alla Ciclistica Rostese, realtà storica del ciclismo piemontese: una società con un vivaio che parte dai giovanissimi e arriva agli under 23 con un entusiasmante fiorire di giovani atleti. A suo modo, la sua è una di quelle squadre che si vedrebbe penalizzata dalla presenza massiccia delle continental.
«Tredici continental sono troppe – va avanti il piemontese – perché se la politica è che prendono loro tutti i migliori, cosa fanno le squadre dei dilettanti? Quello che a me onestamente fa paura è che continuando così, facciamo morire un settore giovanile che è sempre stato il nostro fiore all’occhiello. Parliamo di una trentina di squadre che potrebbero chiudere i battenti, lasciando liberi 300 corridori e soprattutto chiudendo la porta in faccia agli juniores che faranno sempre più fatica a trovare uno sbocco fra gli under 23. La Rostese ha tutte le categorie e tutte le discipline. Abbiamo la pista chiusa per fare mountain bike al sicuro. E’ un piacere lavorare così, ma serve una tutela superiore».
Che cosa proponi?
Ne ho già parlato con il presidente Dagnoni. Ho suggerito di ridurre il numero delle continental e soprattutto bisogna stabilire che per diventarlo, si deve avere un numero minimo di punti. E poi, visto che vogliamo uniformarci al resto del mondo, facciamo che lo stipendio minimo per un corridore continental sia di mille euro al mese. Così si vede quanti possono o hanno davvero vantaggio ad andare avanti. E poi bisogna che i dilettanti più forti, non solo quelli delle continental, possano correre con i professionisti.
All’estero questo succede regolarmente.
Esatto. Siamo stati a correre per sei volte in Francia e c’erano dilettanti e professionisti insieme. Che ci pensi la Federazione a portarli, ma bisogna che qualcosa si faccia (in realtà, se si trova scomoda la convivenza con le continental, il confronto con i pro’ potrebbe essere ben peggiore, ndr).
Perché dici che le squadre piccole rischiano di smettere?
Sento i miei colleghi. Ormai andare a una corsa lontano da casa è un impegno notevole. I chilometri con il gasolio che costa un occhio. Gli hotel, perché ormai nessuno ti ospita più. Risultati neanche a parlarne. Poi magari tiri fuori un bel corridore, arriva la continental e te lo porta via. Se devono esistere, che vadano a correre tra i professionisti.
E se non le invitano?
Non può essere un nostro problema, anche se di fatto lo è. A che cosa serve essere continental, se poi fanno solo le corse dei dilettanti e pagano i corridori anche meno di noi? Ho parlato con Dagnoni: così com’è, il sistema non funziona.