DENIA (Spagna) – Neanche quando è seduta su una poltrona Gaia Realini riesce a non essere grintosa. L’abruzzese è un vulcano, un fiume in piena e, dopo l’annataccia appena conclusasi, già questa è una notizia piacevole. Gaia scherza, sorride ma soprattutto racconta. In uno degli angoli del lussuoso hotel dove la Lidl-Trek ha scelto di fare il ritiro di dicembre, Realini racconta.
Il suo 2025 ciclistico è stato ben più duro del previsto, dicevamo. Una battuta d’arresto nella sua rapida crescita, lei che si proponeva come una delle scalatrici più forti in assoluto. Poi l’infortunio al gomito a inizio stagione, una condizione sempre da ricostruire ed ecco che l’anno è passato tra alti e bassi. Molti più bassi.
E infatti con Realini iniziamo proprio esorcizzando tutto questo.


La stagione è stata entusiasmante, no?!
Tutte le interviste dal 10 gennaio in poi sono iniziate con questa ironia: una stagione proprio “bella”! Scherzi a parte, è stato palese che non sia stato l’anno di Gaia Realini. Dopo due anni al top, c’è stato un intoppo il 10 gennaio, quando ho avuto la rottura del gomito. Sembrava una banalità, invece si è rivelata una cosa più grande del previsto e mi ha portato via molto tempo nel recupero. Poi tutta la stagione è stata un rincorrere la preparazione e la forma. Senza contare che mi sono anche ammalata diverse volte. Quando andavo in gara ero sempre al 40-50 per cento. Spingevo il mio corpo al limite, ma purtroppo quando non sei al massimo, anche tra le donne non puoi nascondere nulla.
Anche la testa, forse inconsciamente, incide poi…
Esatto. La parte psicologica, quando vede che non va, non va davvero. Ti butti sempre giù. Però guardo anche il lato positivo e posso dire che il 2025 è stato un anno in cui ho lavorato tantissimo su me stessa. Sono fiera perché, in un anno no, ho conosciuto un’altra Gaia, una ragazza che è stata in grado di superare un periodo difficile. Magari un’altra avrebbe detto: basta, appendo la bici al chiodo.
Ma sei giovane…
E infatti devo dire grazie a tutto lo staff della squadra, alla mia famiglia che mi ha supportato “H24”, perché senza di loro non ce l’avrei mai fatta, e anche al mio allenatore Francesco Masciarelli, che mi spronava continuamente. Francesco è stato uno di quelli che, nei momenti no, mi diceva sì. E questo mi ha fatto davvero piacere.


Però sei qui e di fronte a te c’è una nuova stagione. Lo stacco è stato fatto e sei già ripartita…
Sì, è così. Alla fine i chilometri del 2025 li ho fatti, ma vi dico la verità: forse sono stati i chilometri più sofferti della mia vita. Ritrovarmi in ogni gara nel gruppetto, a fare i conti con il tempo massimo e chiedermi se sarei arrivata alla fine. Per me è stata una cosa mai vissuta prima e spero di non riviverla più. Bruttissima. Sentire le passiste e le sprinter dire: «Aspettiamo, facciamo i conti, dobbiamo arrivare entro tot». Io chiedevo: «Ma davvero voi dietro fate questi conti? Funziona davvero così?».
Un’esperienza, mettiamola così…
Certo, un’esperienza in cui ho conosciuto facce del ciclismo che non conoscevo. Forse era meglio non conoscerle e sentirne solo parlare, però prima o poi tutto va assaporato!
Guardiamo avanti, Gaia. Quali sono le sensazioni di queste prime pedalate in ottica 2026? Hai già fatto dei test?
Sicuramente mi sento di nuovo Gaia. Spero solo di non avere problemi come l’anno scorso e di ritrovare fiducia in me stessa. Quando hai fiducia, tutto viene da solo. Il mio primo obiettivo sarà proprio questo: ritrovare fiducia nel mio terreno, cioè la salita.


Hai parlato di salita e del livello del ciclismo femminile. Ora che il livello si alza, i ruoli sembrano più definiti. Le scalatrici emergono in modo più netto. Realini è una di loro?
Per quello che ho dimostrato negli anni precedenti sì. L’ho fatto sia nel 2023 sia nel 2024, anche come gregaria di Elisa Longo Borghini. In tanti dicono che oggi ci sono meno scalatrici pure. In parte è vero.
Però abbiamo visto una Ferrand-Prévot vincere il Tour da scalatrice…
Un po’ come nel ciclismo maschile, anche tra le donne si stanno definendo i ruoli. E di questo io sono felicissima. Io questo spunto da scalatrice pura non voglio perderlo né cambiarlo. Certo, soffro un po’ nei percorsi vallonati, ma so di avere un mio terreno di caccia ben preciso.
Qual è il tuo programma?
Partirò subito a gennaio con il Tour Down Under in Australia. Sono contenta, anche perché sono freddolosa e lì vado a prendere un po’ di caldo. Dopo questa gara valuteremo con tutta la squadra la mia condizione e, come dicevo prima, la fiducia.


Chiaramente l’idea Giro Women c’è?
Assolutamente sì. Voglio fare il Giro d’Italia Women. Devo essere competitiva come negli altri anni. Per un’italiana è la gara di casa. La prima cosa che mi ha colpito è stato vedere il Colle delle Finestre. La prima persona a cui ho pensato è stata Froome, quando fece quell’attacco. Ero una bambina, ma lo ricordo bene. Poi quando ho visto la cronometro del Nevegal, che non è piatta come spesso accade, mi è salita una bella dose di coraggio e fiducia. Non vedo l’ora di affrontare queste salite.
Hai nominato la tua ex capitana, Elisa Longo Borghini. Tra voi c’era un gran feeling, ma in generale un’atleta di questo calibro manca? Era un po’ un punto di riferimento?
Eccome se manca una come Elisa. Una capitana grandissima e con tanta esperienza sulle spalle. Noi siamo tutte giovani promettenti sicuramente. Il team crede tanto in noi, su quello che possiamo fare e forse proprio per questo una Longo Borghini manca tanto al gruppo. A me, almeno manca tantissimo! Però non voglio piangermi addosso. Voglio continuare a crescere e magari anche avvicinarla. Nel 2023 e nel 2024 ho dimostrato anche che posso fare da me. Quindi non vedo l’ora di rimettermi in competizione.


In squadra c’è anche una campionessa come Lucinda Brand. Tu hai fatto ciclocross: pensi che questa disciplina possa ancora darti qualcosa?
Ho smesso di fare cross nel 2022. Avevo ancora un anno di contratto con Guerciotti, ma ho mollato prima perché sapevo che la stagione su strada con la Lidl-Trek sarebbe stata piena da gennaio a dicembre. Il ciclocross mi ha aiutato tanto, ma oggi non rimpiango di averlo lasciato. Anche perché non c’è solo l’aspetto tecnico da considerare.
E cos’altro?
Vivendo a Pescara, tutti i viaggi erano lunghi. Uno sballottamento continuo che pesava sul recupero, sulla performance e sullo stress. In tanti mi dicono: guarda Van der Poel o Van Aert che fanno anche cross. Ma loro hanno tutto a portata di mano ed è diverso (oltre a ingaggi molto copiosi, ndr).
Gaia, abbiamo toccato molti temi. Vuoi aggiungere qualcosa?
Mi viene in mente un messaggio per le mie colleghe in gruppo: quest’anno non mi avete visto, ma il prossimo mi vedrete e ne avrete le scatole piene di me! Scherzo, ma davvero ci metterò tanta grinta questo è sicuro.