La rassegna europea su pista di Anadia è servita anche per ripresentare ai vertici Federica Venturelli. Della quale si erano un po’ perse le tracce. Considerata – e non solo nel ciclismo – uno dei principali prospetti italiani per il futuro, con un occhio già puntato su Los Angeles 2028, la cremonese, sin da quando è passata di categoria dopo una carriera da junior dove diventava oro tutto quel che toccava, ha attraversato una clamorosa serie di disavventure che di fatto hanno reso quest’anno e mezzo quasi un calvario.
Quest’anno la lombarda del devo team della UAE ha collezionato appena 10 giorni di gara su strada, iniziando praticamente a fine maggio. Pian piano la condizione sta tornando, per un’atleta che, anche in previsione dell’evento portoghese, nell’ultimo mese ha lavorato prevalentemente su pista. Il titolo continentale nell’inseguimento individuale, ma anzi possiamo dire tutta la trasferta lusitana è un po’ lo specchio di quel concentrato di sfortuna che la lombarda si porta appresso.


«La cosa che mi sento dire di più? “Perché non fai un salto a Lourdes?” Il bello è che l’ho anche fatto, a giugno al Tour du Pyrenées arrivavamo proprio in prossimità del Santuario, ma a quanto pare non ha funzionato poi molto…».
Anche ad Anadia hai pagato dazio?
Sì, perché non ho neanche fatto a tempo a vincere la medaglia d’oro nell’inseguimento che mi sono ammalata e così ho dovuto rinunciare all’omnium e a qualsiasi altra gara. Speravo che la medaglia d’oro avesse messo la parola fine su questa lunga parentesi, ma magari qualche rimasuglio c’è ancora…


Partiamo allora da quanto di buono è arrivato…
Io ho iniziato a lavorare seriamente per gli europei a metà giugno, dopo la trasferta francese, ma partivo proprio dalle basi. A Montichiari mi sono resa progressivamente conto che andavo sempre meglio, che la condizione stava arrivando tanto è vero che nelle ultime due settimane giravo su tempi molto migliori degli inizi ma anche di tanti periodi del passato. Ma le incognite rimanevano, anche perché era la mia prima gara sui 4 chilometri.
Partendo per Anadia avevi timori?
La gara è sempre qualcosa di diverso, poi la prova a squadre non era andata bene. Per questo posso dire che il responso finale, al di là dell’oro, mi ha dato molta fiducia. In qualifica sono partita come mio solito troppo forte, poi Villa mi ha richiamato alla calma e sono rientrata in tabella, finendo con il tempo che avevamo previsto con oltre 6” di vantaggio sulla seconda.


E in finale?
La finale è qualcosa di diverso, il tempo ha un’importanza relativa perché corri contro l’avversario. Infatti a un certo punto ho iniziato a vedere la britannica Lister davanti a me, Villa mi ha incitato ad andarla a prendere, cosa che ho fatto a due giri dalla fine. Era la mia prima prova sui 4 chilometri, le proiezioni dicono che viaggiavo almeno 3” meglio della qualifica.
Accennavi all’inseguimento a squadre…
Sinceramente è stata una brutta pagina, ma non per il risultato. Il giorno della qualifica avevamo Anita Baima che era caduta nell’eliminazione ed era tutta dolorante ma non poteva essere sostituita. Nonostante ciò abbiamo chiuso terze, quindi ancora in lotta per una medaglia. Il giorno dopo c’era la sfida contro la Germania, ma ci è arrivata la notizia di Samuele (Privitera, ndr). Vittoria Grassi, la sua fidanzata, non era davvero in grado di correre ma anche noi non avevamo la testa sulla gara anche se ci sarebbe piaciuto onorare la sua memoria con una grande prestazione. In gara due di noi sono cadute, non siamo neanche state classificate.


E ora? Di pista non se ne parlerà più fino a ottobre, finalmente puoi concentrati sulla strada…
Di strada ne ho vista poca finora, a questo punto però sono fiduciosa. Proprio perché la pista è un’ottima palestra per ritrovare la forma e abituarsi ai cambi di ritmo. Non è stato certo tempo perso, anche nel team sono contenti di quel che ho fatto, ora ho ancora tre settimane di lavoro perché in contemporanea con il Tour non ci sono gare. Poi inizierà una bella serie d’impegni, un bel blocco con il quale spero di recuperare il tempo perso, sia come numero di prove che come risultati.
Fai un pensierino anche alla maglia azzurra?
Sinceramente no, ma non solo per il fatto che europei e mondiali hanno percorsi duri. In questo momento non mi pongo obiettivi, guardo semplicemente alle opportunità concessemi, dove corro voglio far bene, in qualsiasi situazione sia perché ho troppa fame di competizioni.


Se ti guardi indietro, cosa ti resta di queste due stagioni?
Basta guardare il totale die giorni di gara, 34 in due anni. Nulla. Un po’ dispiace, volevo sfruttare l’occasione data dal devo team, ma posso dire che ho ugualmente imparato tanto, che non sono più la Federica di due anni fa. Non potevo farci niente, di fronte a quel carico di malasorte, ora posso solo guardare al futuro.