A 38 anni Zdenek Stybar ha deciso di chiudere la sua carriera, lunga ben 18 anni. Il che può anche starci. Ma quando sei un campione che ha scritto pagine storiche su strada e ancor di più nel ciclocross non puoi andartene così, con un semplice annuncio. Stybar lo farà a inizio febbraio, prendendo parte all’ennesimo campionato mondiale, nella “sua” Tabor. Lo farà a dispetto dei dolori (è stato operato alle arterie femorali di entrambe le gambe) e di un fisico che giocoforza non risponde più come prima, ma sarà una festa e conoscendolo si sa già che ha in mente degli obiettivi precisi, anche agonistici.
Per ora la sua vita, nel cuore delle feste natalizie, è fatta di obblighi familiari e allenamenti (a Gavere, a Santo Stefano, farà l’esordio stagionale in Coppa del mondo) e fare due chiacchiere sulla sua carriera rappresenta anche un modo per uscire dalla routine, «ma dopo aver espletato i miei compiti di papà…».
Che cosa ti ha spinto a cercare la partecipazione ai mondiali di Tabor?
In realtà è molto semplice. A Tabor è iniziata sostanzialmente la mia carriera. E’ lì che ho ottenuto una delle vittorie più grandi della mia storia, il mio primo mondiale nel 2010. Quindi sarebbe bello chiudere la carriera nello stesso posto. Ho effettivamente finito la mia carriera su strada a Hong Kong ed è stato bello, perché c’erano molti amici, quindi ho potuto ancora chiacchierare con molti ragazzi ed è stato bello dire addio alla maggior parte dei miei colleghi. Ma ovviamente mi piacerebbe disputare la vera ultima gara della carriera in un posto che per me è molto simbolico, che significa qualcosa per me. Davanti ai tifosi del Belgio e della Repubblica Ceka. E voglio ancora presentarmi nella migliore forma possibile. Ci sto davvero lavorando duro.
Tu sei stato un monumento nel ciclocross, dedicandoti poi su strada. Ti sei mai pentito della scelta?
No, per niente. Penso che sia stata davvero un’ottima scelta perché ho conosciuto tantissime persone. Ho vissuto qualcosa d’importante, come vincere con la Quick Step sia alla Vuelta che al Tour. Tutte le vittorie hanno per me un sapore speciale, quindi non me ne pento mai. Penso che fosse anche il momento giusto per passare alla strada, avevo vinto tanto nel ciclocross, tutto quel che contava davvero, non vedevo come avrei potuto ancora migliorare. Quindi penso che andare sulla strada e fare progressi, sia dal punto di vista della condizione, sia dal punto di vista fisico, sia stata la scelta giusta al momento giusto.
Dieci-quindici anni fa una doppia attività come quella di Van Aert e Van der Poel era possibile?
Sì, era possibile, ma nessuno ci credeva veramente. E inoltre nessuno voleva davvero correre il rischio perché la squadra mi ha ingaggiato per esibirmi su strada e non nel ciclocross. Anche se pensavo sempre che fosse una buona preparazione per la strada anche avere qualche uscita agonistica in inverno, anche a livello d’immagine. Il ciclocross penso che sia davvero propedeutico alla preparazione per la strada, soprattutto per le corse. Ma allora era ancora un’altra cultura, vecchia scuola che imponeva il raduno a Calpe a dicembre e a gennaio e di nuovo a fine gennaio.
Era un sistema funzionante?
Sicuramente, ma penso che tu possa davvero riempire l’inverno con qualche gara di ciclocross o su pista, non perdi l’intensità e non perdi l’esplosività e movimenti la tua preparazione, anche mentale. Sei più concentrato perché hai ancora il numero di gara addosso e vuoi ancora esibirti. Quindi, voglio dire, ci sono molti vantaggi nel correre anche durante l’inverno. Quel che è certo è che Van Aert e VDP hanno sicuramente rivoluzionato quel modo di pensare.
Quando hai vinto i mondiali, come nazioni leader c’era più concorrenza rispetto a oggi, dove Olanda e Belgio dominano?
No, era fondamentalmente lo stesso, io mi confrontavo con Nys, Wellens, Pauwels leader dello squadrone belga. C’erano ovviamente quei pochi ragazzi ceki, come Simunek, poi qua e là qualche svizzero, ma soprattutto sempre belgi, soprattutto per le grandi gare.
Secondo te la situazione cambierà, ci saranno altre nazioni che emergeranno anche fra gli Elite contro Olanda e Belgio?
Sì, potrebbe. Vedo ad esempio molta effervescenza fra gli inglesi. Presto i ragazzi più giovani si renderanno effettivamente conto che non è una cattiva preparazione verso la strada o la mountain bike. Proprio perché Wout e Mathieu sono un grande esempio per i giovani e stanno dimostrando che è possibile esibirsi in inverno e in estate sempre al massimo grado.
In che situazione lasci il ciclismo del tuo Paese?
Penso che in generale ci sia molto talento, ma sfortunatamente ci manca ancora una vera via d’accesso al ciclismo professionistico. Quando i corridori lasciano la categoria juniores devono trovare spazio all’estero. Così molti smettono quando hanno meno di 23 anni, perché non vedono alcun futuro. Non vedono la possibilità di dove andare, a quale team unirsi. Serve un riferimento reale, che vada al di là della trafila attraverso i team Devo.
Qual è stato il momento più bello della tua carriera su strada?
Non direi davvero i miei risultati personali anche se ho portato a casa 21 vittorie, perché ho sempre apprezzato il lavoro di squadra, i grandi successi che abbiamo ottenuto insieme, alla Roubaix come alla Sanremo, con il team, come costruirli, lavorarci tutti insieme. Era il Wolfpack e penso che probabilmente resterà per sempre il ricordo più bello.
Dopo Tabor ti vedremo ancora, magari nel gravel?
Potrebbe essere. Dipende che lavoro avrò, quali opportunità ci saranno. Ma se mi fermo, voglio solo prendermi del tempo per la famiglia. Voglio passare più tempo con loro e non voglio più concentrarmi sulla performance. Certo, probabilmente farò ancora sport cinque volte a settimana, ma non dalle 4 alle 7 ore al giorno. Mi divertirò di più. Andare a correre, fare 2 ore in bici, ma a tutta velocità, oppure andare nel bosco con la mountain bike o per un’escursione. Farò un po’ di tutto, mi piacerebbe fare ancora qualche gara, ma probabilmente sarà più per divertimento. A meno che non diventi un ambasciatore di qualunque azienda, cosa possibile visti i contatti in corso. Staremo a vedere cosa porterà il nuovo anno…