«Ma vi dico – fa Ulissi con la solita arguzia – da una parte mi hanno fatto prendere la maglia rosa nel giorno sbagliato. Dall’altra però devo dire che è stato il giorno giusto, perché arrivavo in Toscana. Quindi da una parte bene e da quell’altra un po’ meno, no? Però è stata veramente una bella emozione e del tutto inaspettata. Ero lì che pensavo alla tappa, poi è arrivata l’opportunità…».
Il Giro d’Italia va veloce e a volte rischia di scrollarsi di dosso con troppa fretta dei pezzi importanti di vita. La maglia rosa di Diego Ulissi, come quella di De Marchi quattro anni fa, è un frammento che sarebbe un peccato lasciar scivolare troppo indietro. Era il sogno del ragazzino passato professionista sedici anni fa e si è avverato quasi per caso in un giorno di primavera sulle strade marchigiane di Castelraimondo, dopo 113 chilometri di fuga. E’ durato poco: la tappa di Siena ha spostato le inquadrature altrove, ma i ricordi restano. Diego racconta, noi prendiamo appunti.




Forse qualche volta ci eri arrivato vicino…
Nel 2016 c’ero arrivato a 20 secondi. Il Giro era partito con la crono di Apeldoorn in Olanda e quando siamo arrivati a Praia a Mare, vinsi la tappa e mi ritrovai terzo a 20 secondi da Dumoulin. Ma quando l’ho avuta, quando mi è arrivata, è stata una bella emozione. Sono cresciuto guardando il Giro d’Italia. I ricordi delle prime gare che vedevo sin da piccolissimo coi miei nonni e il resto della famiglia sono del Giro di Italia. Quindi ritrovarsi a vestire il simbolo del primato è stato qualcosa di molto forte.
Come è stato vestirsi la mattina per la tappa?
Mi guardavo allo specchio, con il mio body rosa e anche il casco. Cercavo di essere impeccabile, ma sapevo che l’avrei indossato solo quel giorno. Perché potessi tenerla, doveva venire una tappa di studio, che nel ciclismo attuale è impossibile. Sapevo che si sarebbero fatti la guerra. Il problema grosso è che avevo speso tantissimo il giorno prima, mi sentivo stanco…
E’ vero che la gente riconosce di più la maglia rosa? Ti chiamavano più del solito durante la tappa?
E’ davvero così e forse per il fatto che si entrava in Toscana, ho sentito un grande affetto da parte delle persone. Però l’emozione più grande l’ho avuta quando me l’hanno consegnata sul podio.




A Siena hai riconosciuto i tuoi tifosi?
Sì, c’era tanta gente che conoscevo. Tifosi partiti da Donoratico e dalle mie zone. In Toscana ho dato i primissimi colpi di pedale, è la mia terra, ci sono cresciuto.
Van Aert ha trovato ad accoglierlo sua moglie e i figli: Arianna era a Siena?
No, volete ridere? Arianna era venuta al Giro, ma è ripartita il giorno prima. Ha fatto in tempo a vedere che avevo preso la maglia rosa, ma quando l’ho chiamata appena arrivato sul bus, era già in viaggio. Diciamo che non era previsto.
In effetti ci hanno raccontato del silenzio in attesa che arrivasse il gruppo…
Prima di tutto non mi ricordavo esattamente il ritardo che avevo dalla maglia rosa Roglic, quindi non sapevo bene quale fosse il limite del gruppo. Per questo mi sono affidato ai ragazzi che ti devono portare sul palco e guardavo loro. Erano lì e aspettavano che arrivasse la conferma via radio, poi mi hanno fatto una specie di countdown. E quando ho visto che il tempo era scaduto e il gruppo ancora non arrivava, ho capito di aver preso la maglia rosa ed è stato bello.


Vuoi dire che sei a posto e il tuo Giro potrebbe finire qui?
No, neanche un po’, mi conoscete. Sapete che quando parto, soprattutto in una gara importante come il Giro d’Italia, io punto a vincere. L’altro giorno ero in fuga per cercare la vittoria di tappa, per cui adesso l’obiettivo mio e di tutta la squadra è cercare l’occasione giusta per giocarsela. Sono immensamente felice dell’obiettivo raggiunto, di aver vestito la maglia rosa. Però, insomma, ci sono ancora tanti giorni davanti. Le gambe ci sono, quindi bisogna provarci.