Olano, un ex campione del mondo cittì del Gabon

01.02.2023
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Curiosando fra le varie gare della scorsa settimana, è saltata all’occhio una particolarità. Alla Tropicale Amissa Bongo, una delle principali corse a tappe africane, dove ci sono anche alcuni team dall’Europa come TotalEnergies, Bingoal e EF Education Nippo Development, alla guida della nazionale del Gabon, il Paese ospitante, c’era una vecchia conoscenza del ciclismo mondiale: Abraham Olano.

Quella dell’ex campione del mondo spagnolo, alter ego di Miguel Indurain e vincitore di quell’epico mondiale in terra colombiana spegnendo le ambizioni iridate di Pantani, è una storia particolare. Olano è direttore tecnico della nazionale ormai da ben 8 anni. Un contatto nato quasi per caso ma che lo ha fortemente coinvolto. Dal suo racconto si evince come la realtà ciclistica africana non sia sempre semplice come siamo abituati a conoscerla, ad esempio, per le imprese di Biniam Girmay.

Il podio dei mondiali 1995, con Olano tra Indurain e Pantani (foto Sirotti)
Il podio dei mondiali 1995 con Olano vicino a Pantani, terzo. Il secondo fu Indurain (foto Sirotti)

Attraverso le nuove tecnologie lo abbiamo rintracciato per un appuntamento via WhatsApp in un hotel del Gabon. Finiti gli impegni con il team fra una tappa e l’altra, con il wifi un po’ ballerino, trovando in lui una grande voglia di spiegare la sua nuova vita disegnata fra mille interessi, lo spagnolo si è raccontato.

Come sei diventato commissario tecnico del Gabon?

E’ stato attraverso la Fundacion Contador. Il presidente della federazione spagnola, contattato da quella locale, ha chiesto chi poteva essere utile per la causa, io lavoravo all’organizzazione della Vuelta e mi hanno proposto questa possibilità. Mi sono preso una settimana per ragionarci sopra. Non sapevo nulla di questo Paese, se era turbolento o se c’era una situazione sociale tranquilla. Ho chiesto anche all’ambasciata spagnola in Gabon, mi hanno dato tutte le assicurazioni così ho deciso di intraprendere quest’avventura. Mi interessava molto confrontarmi direttamente con una realtà africana, seppur così diversa da quelle ora conosciute come Eritrea o Ruanda.

La Tropicale Amissa Bongo è una vetrina essenziale per il ciclismo africano (foto Tropicale Amissa Bongo)
La Tropicale Amissa Bongo è una vetrina essenziale per il ciclismo africano (foto Tropicale Amissa Bongo)
E che realtà ciclistica hai trovato?

E’ un Paese molto chiuso, che non nutre grande interesse verso lo sport e proprio per questo c’era la volontà di dare impulso al ciclismo considerando il grande fermento in tutto il continente. C’è una grande corsa, che è appunto la Tropicale Amissa Bongo, ma l’attività si ferma lì e non se ne trae impulso.

Dopo la corsa, il suo impegno con la federazione del Gabon continuerà?

Sinceramente non lo so. Se la mia presenza è inserita in un progetto di sviluppo ha senso. Se potrò mettere in pratica le mie idee per dare un seguito a questa esperienza, okay. Io penso che servirebbe lavorare con alcuni di questi ragazzi, provare anche a farli correre in Europa avendo un luogo di alloggio, allora si potrebbe fare qualcosa di buono. Al momento non saprei dire se ci sarà un futuro. Sono coinvolto dal 2015, se non trovo risposta alle mie idee torno a casa.

Uno dei passaggi nelle città: strade larghe e pochi controlli, ma generale disciplina verso la gara (foto Tropicale Amissa Bongo)
Nelle città, strade larghe e pochi controlli, ma generale disciplina verso la gara (foto Tropicale Amissa Bongo)
Che gara è la Tropicale Amissa Bongo?

E’ una corsa interessante, anche molto impegnativa per essere a inizio stagione, bisogna essere già in buone condizioni. Clima molto caldo, le strade sono generalmente larghe ma in alcuni passaggi non sono certo come le nostre. Serve molta attenzione soprattutto quando si passa all’interno delle città e dei paesi, con la gente a bordo strada poco abituata a eventi simili. Ma nel complesso è una buona gara.

Quanto è cambiato il ciclismo rispetto ai tuoi tempi?

Tantissimo. E’ difficile fare un paragone perché sono cambiati moltissimo i materiali, è cambiata la preparazione, c’è un differente livellamento dei valori. Non mi piace mettere a confronto generazioni diverse, la situazione non permette di fare paragoni. Provate solo a guardare come sono cambiati i freni, com’è cambiato il cambio elettronico piuttosto che manuale, le bici sembrano ormai mezzi avveniristici e molto è cambiato nell’approccio che si deve avere con loro.

Geoffrey Soupe: la vittoria nella prima tappa lo ha lanciato verso il successo pieno (foto Tropicale Amissa Bongo)
Geoffrey Soupe: la vittoria nella prima tappa lo ha lanciato verso il successo pieno (foto Tropicale Amissa Bongo)
Tu hai lavorato anche alla Vuelta per disegnare le tappe: ci sono differenze con le corse che affrontavi tu?

Un po’ sì, ora si cerca maggiormente lo spettacolo. Sono percorsi quelli di oggi che sono un continuo spunto per dare battaglia, ormai il gruppo non aspetta, c’è lotta sin dalle battute iniziali e nel disegno delle tappe bisogna tenerne conto. Si valutano molto anche le strade che si vanno a affrontare, una strada stretta porta selezione nel gruppo ma bisogna anche tenere conto che non ci siano pericoli. Non è un lavoro facile, ma quel che so è che la prossima Vuelta è disegnata in modo appassionante.

Dai tempi tuoi e di Indurain la Spagna non ha mai smesso di avere campioni: qual è il segreto del movimento spagnolo?

Non credo ci sia un segreto. Diciamo che il movimento spagnolo si è adeguato ai tempi come un po’ tutto lo sport iberico, mai così forte. Il ciclismo è cambiato anche perché ha preso molto da altri sport: non è un caso se arrivano al ciclismo anche campioni di altri sport come Roglic che faceva il salto con gli sci. Ma anche Van Der Poel, Van Aert sono tutti campioni che si abbinano ad altre specialità. In Spagna c’è stata la capacità di mantenere la tradizione con queste nuove tendenze: abbiamo giovani che si rifanno molto ai nostri esempi, che sono capaci di fughe di 40 chilometri e più e che possono lottare con i migliori.

Olano, da 8 anni cittì del Gabon, lavora nel resto dell’anno per la sua scuola di ciclismo (foto Facebook)
Olano, da 8 anni cittì del Gabon, lavora nel resto dell’anno per la sua scuola di ciclismo (foto Facebook)
C’è un corridore attuale che ti ricorda Abraham Olano?

No, proprio perché sono epoche diverse. Noi andavamo su regolari, di ritmo per rispondere agli scalatori e contenere magari i distacchi sapendo che poi potevamo recuperare quel minuto perso. Oggi è diverso, non ci sono scalatori puri che fanno la differenza da lontano nelle grandi salite e chi va di passo riesce spesso ad avere la meglio anche sulle montagne più dure. Non si possono confrontare i campioni di epoche così lontane e soggette a cambiamenti.

Hai rimpianti nella tua carriera ciclistica?

No, ho vinto tanto, sono stato campione del mondo (unico ad essere nell’albo d’oro sia per la gara in linea che per quella a cronometro, ndr). Ho vinto la Vuelta, sono stato sul podio al Tour. Credo di aver vinto tutto quello che potevo.

Ti vedremo in Europa?

Sì, ho la mia squadra di ciclismo giovanile, la scuola di ciclismo dove sono direttore tecnico. Ho molto da lavorare con i più giovani ed è la cosa che mi piace di più.