Prodhomme a Champoluc. E non dite che è stato per fortuna!

30.05.2025
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CHAMPOLUC – Alla conferenza stampa di Nicolas Prodhomme, vincitore francese della diciannovesima tappa del Giro d’Italia, ci sono quattro giornalisti: tre italiani e un solo francese, Nicholas Perotto de L’Equipe. Sembra un raccontare a orologeria, perché dicono che quando arriverà Del Toro, al corridore della Decathlon-AG2R sarà chiesto di uscire. Ci viene in mente il titolo di un film: figli di un dio minore. Il monitor che inquadra i giornalisti presenti in sala stampa mostra una serie di sedie vuote, possibile che non interessi a nessuno? Lo ricordiamo sulla funivia con cui scendemmo assieme dal Monte Lussari del 2023 e lo ricordiamo dall’ultimo Tour of the Alps: il resto è da scoprire.

Nella prima fuga erano presenti i gregari degli uomini di classifica: qui Steinhauser per Carapaz
Nella prima fuga erano presenti i gregari degli uomini di classifica: qui Steinhauser per Carapaz

Il coraggio di attaccare

Eppure Prodhomme ha vinto con un numero da incorniciare, soprattutto perché l’idea di partenza era fare esattamente quello che abbiamo visto. Stamattina al via, la Decathlon-AG2R era sui rulli che si riscaldava, evidentemente volevano partire subito forte. Nella prima fuga c’è entrato a circa 110 chilometri dall’arrivo. Poi, dopo una serie di allunghi sul Col de Joux, si è tolto di ruota Verona e Tiberi, gli ultimi superstiti del tentativo del mattino. L’ultimo affondo l’ha portato a 28 chilometri dall’arrivo. E complice l’atteggiamento titubante degli sfidanti di Del Toro, il margine saliva e cresceva, ma non è mai andato sotto i 55 secondi.

«Quando ci siamo ritrovati sul Col de Joux – racconta – ho visto che la differenza rispetto al gruppo non era enorme. Ho pensato che ci sarebbero stati degli attacchi e mi sono sentito di attaccare, perché avevo già fatto due quinti posti. So che per vincere bisogna correre dei rischi, ci ho provato e ho vinto, ma ho iniziato a crederci solo nell’ultimo chilometro. Sapevo di avere vantaggio, ma sapevo anche che dietro si sarebbero mossi Carapaz, Yates e Del Toro, i grandi favoriti. Del Toro è fortissimo in discesa, rischia sempre tanto e temevo che il vantaggio non bastasse. Invece nell’ultimo chilometro ho visto che avevo dietro la macchina e quella c’è solo se il vantaggio è più di un minuto. E a quel punto ho capito che avrei vinto».

Prodhomme, Tiberi, Verona: Col de Joux. Ai meno 28, l’attacco decisivo del francese
Prodhomme, Tiberi, Verona: Col de Joux. Ai meno 28, l’attacco decisivo del francese

Professionista a 24 anni

Conferenza stampa in inglese, ma dopo tre risposte in inglese e due in francese, dalla scaletta del van delle interviste spunta Del Toro. C’è giusto il tempo per un’altra domanda. La maglia rosa non ha fretta e si siede in fondo, ma l’ondata di giornalisti che lo seguono suggerisce di continuare giù dal camion. Il buon senso imporrebbe di restare sopra per sentire cosa ha da dire il messicano, ma un senso di rispetto ci spinge a seguire il francese. Ha vinto una tappa al Giro d’Italia. Al Tour of the Alps aveva vinto la prima corsa a 28 anni.

«Esatto, ho 28 anni – spiega – e sono diventato professionista piuttosto tardi (ne aveva 24, ndr). Ho fatto lo stagista in tre squadre, ma sono tornato sempre nei dilettanti. Non era facile ambientarsi nello sport di alto livello, non sono diventato professionista al primo tentativo, per cui vincere una tappa in un Grande Giro è davvero una cosa enorme. Ieri sera ho pensato che le opportunità erano sempre meno e sentivo di avere buone gambe, ma finora mi era sempre mancato il coraggio. Pensavo davvero che le ultime due tappe di montagna fossero riservate ai favoriti e devo ammettere che due anni fa non avrei mai osato attaccare i compagni di fuga. Invece la vittoria al Tour of the Alps e le tante fughe in cui stavo bene fisicamente e in cui non ho avuto rimpianti, mi hanno dato fiducia e audacia. E oggi ho cominciato ad attaccare al chilometro zero, non ho percorso molti chilometri in gruppo (ride, ndr)».

Non solo per fortuna

Professionista da cinque anni, 1,74 per 63 chili, nel 2019 aveva vinto l’Orlen Grand Prix, la gara a tappe per U23 organizzata dallo staff del Tour de Pologne. La qualità c’era già allora. Va bene che sia diventato professionista tardi, va bene aver trovato il coraggio per attacare Verona e Tiberi, ma che cosa c’è di diverso in questo 2025 che gli ha già portato due vittorie?

«Ho avuto buone gambe – dice – questo è certo. Oggi credo che il livello sia così alto che bisogna farsi male. Gli ultimi 20 chilometri sono stati tutti un fatto di testa, che quest’anno mi sta aiutando molto, ma ho anche le gambe. Sono migliorato ancora rispetto all’anno scorso, ma l’unica cosa che posso dire con certezza è che ho fatto i maggiori progressi in termini di fiducia in me stesso. Queste ultime settimane hanno sicuramente fatto una grande differenza per la mia carriera. Vincere la prima gara è una cosa enorme e ti dà molta fiducia, ma sento di essere ancora in miglioramento. L’anno scorso ho fatto un ottimo programma di gare, ma con un ruolo di uomo squadra. Quest’anno ho avuto anche un po’ di buona sorte, anche se non direi mai che ho vinto solo per la fortuna».