Molte riflessioni si sono fatte domande e ve le anticipiamo subito. E’ giusto che i migliori atleti siano in mano a pochi procuratori? E può avere senso che un ragazzino abbia già un manager? Ad esempio, quello degli allievi lo abbiamo definito un tema spinoso a ragion veduta. D’altronde nel ciclismo spesso si vive di autoreferenzialità rimanendo ancorati a pensieri stereotipati perché “le cose sono sempre state così” e quindi difficili da far vedere sotto un altro punto di osservazione.
Abbiamo provato a cercare risposte, o ragionamenti se preferite, da chi ha maturato esperienza lavorando in contemporanea su due sport diversi fra loro. Marco Piccioli, pratese di nascita e fiorentino d’adozione, è procuratore di calcio dal ‘96 e tra i suoi assistiti più importanti figurano Walter Zenga e diversi giocatori dalla Serie A in giù. Da una decina di anni è entrato anche nel ciclismo mettendosi in società con Massimiliano Mori aprendo la PM Cycling Agency. La loro collaborazione cura gli interessi di calciatori e corridori, uomini e donne, giovani e non. Assieme a Piccioli (in apertura con Mattia Cattaneo) ci siamo fatti guidare nelle differenze nel ruolo del procuratore, trovando considerazioni, diplomazia e proposte per cambiare alcuni paradossi tipicamente del mondo ciclistico.


Marco innanzitutto come opera la vostra agenzia nel ciclismo?
Massimiliano ed io non puntiamo a fare numeri, non ci interessa. Non deve esserci solo affinità tra corridore e procuratore che è comunque importante, ma molto altro. Anche perché ci vuole tanto tempo per far firmare un atleta e ci vuole un secondo per perderlo. Se decidiamo di prendere un ragazzo è perché vogliamo seguirlo bene in ogni sua cosa, anche al di fuori della bici. E poi le cose sono cambiate, stanno cambiando anche per noi.
A cosa ti riferisci?
Nel calcio la figura del procuratore è riconosciuta da tanto tempo. Quando ho cominciato col calcio, il nostro compito era quello di prendere un giovane dalla primavera di una squadra e vedere dove mandarlo a giocare nelle altre serie. Da dieci anni a questa parte, l’età si è abbassata notevolmente ed ora non è difficile che un calciatore di 13/14 anni abbia un procuratore. Già a 15 sono sistemati e qualcuno a 16 può avere un contratto da professionista. Per cui se tutto va bene, dopo circa 7/8 anni che lavori con lui, seguendolo nella sua crescita personale, puoi iniziare a guadagnare qualcosa e curare altri aspetti.
Possiamo considerare l’esordio a 16 anni in Serie A di Donnarumma col Milan il punto di svolta di questo cambiamento?
Lui era già un fenomeno, con tanti occhi addosso, ma è stato un’eccezione. Così come lo è stato Camarda, che adesso è titolare in attacco a Lecce in Serie A, o qualche altro giocatore di altre squadre. Piuttosto direi che forse la colpa è stata di noi procuratori. Una decina di anni fa le società cercavano collaboratori per scovare il giocatore e non necessariamente il potenziale talento. Ci siamo dovuti adattare al sistema, mandando nostri procacciatori di giovani sui campi di provincia, perché non vedrete mai un procuratore importante che va a vedere un tredicenne.




Nel ciclismo pare che stia iniziando qualcosa di simile, ma senza troppa convinzione. Indipendentemente che sia giusto o sbagliato, perché secondo te?
Mi sono fatto un’idea di impatto sportivo. Il calcio ti affascina, mentre il ciclismo è molto più per appassionati. Le persone alle gare hanno un’età media alta e tutti con un lavoro. Il giovane procuratore vuole entrare nel calcio perché pensa che si guadagni tanto, quindi si danno da fare per visionare quelli molto piccoli. E come dicevo prima con questo processo è scesa l’età del giovane da prendere sotto l’ala di un’agenzia.
Facciamo un confronto. Nel ciclismo un esordiente, soprattutto se fa molti risultati, è già schiacciato dalle pressioni di società e genitori con tutto quello che comporta. Un suo coetaneo che nel calcio ha già il procuratore vive la stessa situazione?
No, è tutto diverso. A quella età noi agenti iniziamo un rapporto con la famiglia, mentre il ragazzino deve solo divertirsi giocando a pallone. Non ci sono pressioni. Solo quando arriva in primavera ed eventualmente si guadagna qualche convocazione in prima squadra, allora si comincia a parlare con lui direttamente. Nel calcio il procuratore è ormai fondamentale perché può portare il ragazzo ovunque. Non esiste solo la Serie A, ci sono le categorie inferiori e tutti i campionati esteri e relative categorie inferiori. Rispetto al ciclismo, nel calcio ci sono più sbocchi e opportunità, però è anche vero che ci sono dinamiche troppo diverse.
Vista così diventa una chimera per un esordiente diventare un ciclista pro’, non trovi?
Ora come ora sì, se paragoniamo i numeri. Il calcio ti può ancora offrire seconde o terze chances in squadre o su palcoscenici prestigiosi anche quando avanti con l’età. Nel ciclismo un “dilettante” se non ha il treno giusto che gli passa vicino, può arrivare ad essere un elite in qualche team continental. Nel ciclismo ci sono 18 squadre WorldTour e 16 ProTeam. Quelle sono e quelle restano se vuoi correre tra i pro’. E qua potrebbe entrare in gioco il discorso contrattuale.




Qualcosa che possa creare più business?
Esattamente. A livello contrattuale ci sono clausole diverse tra i due sport. Nel calcio esiste il mercato che genera risorse, mentre nel ciclismo no, proprio come capita nel basket e nel volley. E’ impossibile che il sistema possa reggere da solo, perché non gira nulla a livello economico. Anche perché ora nel ciclismo stanno investendo grandi sponsor e non si può pensare che siano eterni. Se si stancano, il ciclismo muore. Li devi stimolare visto che non ci sono introiti derivanti da vendite di biglietti o diritti televisivi. C’è solo il merchandising delle squadre che non basta. Bisogna lavorare sui contratti e apportare modifiche.
Continua pure.
La durata media dei contratti nel calcio è di 4/5 anni, nel ciclismo di 2. Non possiamo pensare che nel ciclismo ci si possa spostare solo a scadenza, magari con un corridore scontento dopo una stagione di restare in quella squadra o viceversa. Il mercato invece potrebbe determinare il valore e la valutazione economica del corridore. A quel punto anche un procuratore potrebbe fare il bene di una squadra, non solo del suo assistito. Pensate alle piccole formazioni professional che potrebbero reinvestire il tesoretto di una cessione di un talento esploso con loro.


Forse troppe regole che nessuno ha voglia o interesse a cambiare?
Non saprei onestamente. Tanti anni fa Oleg Tinkov aveva proposto un mercato per il ciclismo strutturato come quello del calcio. Tutto quel movimento porterebbe ad avere più formazioni pro’ e pertanto più possibilità per i giovani di aspirare al professionismo, per tornare al discorso dell’inizio. E penso anche a quei corridori cui scade il contratto il 31 dicembre, ma che nel frattempo sono già in ritiro con la nuova squadra usando la bici nuova e indossando ancora la divisa della vecchia squadra. Basterebbe far finire i contratti due mesi prima e ci saremmo tolti già molti problemi.
Cosa ne pensa Marco Piccioli dei corridori più forti in mano a pochi procuratori?
La questione è sempre la solita. Nel calcio ci sono molti più giocatori, quindi è normale che escano più campioni e di conseguenza siano distribuiti su più agenzie, che comunque sono più numerose rispetto al ciclismo. Nel calcio la famiglia di un ragazzo si affida ad un procuratore perché sa che ha una rete di agganci molto ampia nel mondo. Nel ciclismo talvolta capita addirittura che sia il padre a fargli da procuratore senza avere i contatti giusti, al netto di alcune eccezioni. Sostanzialmente il mondo del ciclismo è piccolo e tutti si conoscono. Tutti vengono a sapere se un corridore è stato offerto ad una squadra anziché ad un’altra. Contestualizzando, credo che sia normale nel ciclismo.