Presidential Tour of Turkey, seconda tappa. Arrivo ad Alcati, 11 aprile, si attende la volata. Il mare sulla destra, le case e il marciapiede sulla sinistra. Il gruppo arriva tutto in fila, ma un pedone cammina in mezzo alla strada e non si sposta. Qualcuno lo chiama. L’omino addetto all’incrocio con la giacca gialla fa per tirarlo indietro, ma è tardi. Il primo a centrarlo è un corridore della Eolo-Kometa. Fra gli altri che lo seguono a ruota ci sono anche Manuel Penalver della Burgos BH che finisce lì la sua corsa e Nacer Bouhanni, maglia Arkea-Samsic, che colpisce in pieno i due uomini sulla strada: il bollettino medico parla di vertebra cervicale fratturata. La sua stagione, iniziata finalmente bene, subisce un brutto arresto. Il ricordo sa tanto di scampato pericolo, ma è terribilmente amaro.
«Eravamo in fila indiana a più di 55 all’ora – racconta Bouhanni (nella foto Instagram di apertura è nella Clinica Bizet di Parigi) – perché c’erano dei cordoli pericolosi. Poi ho questo flash in cui vedo due persone davanti a me sulla strada. Le ho colpite entrambe a testa alta. Ricordo di averla abbassato solo all’ultimo per proteggermi e poi ricordo la sensazione di aver sbattuto contro un muro. Non ho fatto in tempo a mettere la mano sul freno, è successo in una frazione di secondo. Da allora, non ho dormito per tre notti. Avevo questa immagine violenta di shock che continuava a tornare».
Il collo non regge
Abbiamo parlato più volte con i corridori di cosa si provi in quell’attimo in cui capisci che la caduta è inevitabile. Ci sono delle volte che non ti rendi conto, altre in cui, come in questo caso, capisci di non poterci fare niente. E’ incredibile invece come poi, nel racconto, sembri quasi di viverla al rallentatore.
«Mi sono reso conto – ammette il francese – ho subito messo le mani sulla testa per via del dolore e perché mi sentivo come se il collo non ce la facesse a reggerla. Ho pensato al peggio. Ricordo anche che c’erano Emmanuel Hubert, e il mio direttore sportivo (Yvon Ledanois, ndr). Gli ho chiesto perché mi stesse capitando ancora. Avevo già avuto una commozione cerebrale all’inizio dell’anno (il francese era caduto in allenamento ad Altea, in Spagna, e aveva per questo rinviato il debutto, ndr). Ho anche detto che non volevo saperne di più del ciclismo. Con tutto quello che mi stava succedendo, non ce la facevo più. Soprattutto ero spaventato. Pensavo che non li avrei più visti. Tenevo la testa e sentivo che c’era qualcosa di serio».
Ospedale da incubo
Paura. Dolore. Essere per giunta lontani da casa, in una terra di cui non capisci nemmeno la lingua. E quel senso di sgomento, perché il collo che non sorregge il capo.
«Soffrivo molto – prosegue questa volta Bouhanni con il giornalista de L’Equipe – volevo solo essere rimandato a casa in fretta per vedere mia moglie e mio figlio. Non sapevo cosa fosse. Ero spaventato, era orrore. E quando sono arrivati i soccorsi è stato anche peggio. Mi hanno preso bruscamente per mettermi su una barella. Continuavo a urlare che soffrivo atrocemente. Mi hanno gettato nell’ambulanza. Tutto quello che hanno fatto mi è parso brusco. Il viaggio poi è stato tremendo. Buche. Curve. Stavo impazzendo. Mi hanno chiesto di muovere la testa da destra a sinistra, ma non potevo. Non si rendevano conto che poteva essere molto grave? In ospedale ho passato sette ore in pantaloncini in un corridoio con l’acqua che cadeva dal soffitto. Ho dovuto fare pipì in una bottiglia di plastica. Ho pensato tra me e me che stavo dormendo e probabilmente mi sarei svegliato. Per fortuna c’era anche il medico della squadra e l’ho pregato di non lasciarmi lì da solo. Ha passato la notte in camera. Poi i medici turchi mi hanno fatto una radiografia. Mi hanno detto che era molto grave e che avevo rischiato la paralisi…».
La vittoria era infine arrivata alla Roue Tourangelle a Tours (foto Bruno Bade) Alla Milano-Torino, secondo dietro Cavendish. Era stato piazzato anche ad Almeria, battuto da Kristoff Nel 2022, Bouhanni ha preso parte alla Tirreno-Adriatico, completando solo 4 tappe. Qui a Marmore
Tre mesi fermo
Tornare a casa. Avere intorno qualcuno di fiducia che prenda in mano la situazione. Il team manager che contatta un neurochirurgo in Francia, che per fortuna lo tranquillizza. Dopo aver ricevuto il risultato della tac infatti, la dottoressa parigina è più rassicurante di quanto siano stati i colleghi all’ospedale di Smirne.
«Il rischio di paralisi – sorride ora per il pericolo scampato – si è trasformato nella necessità di tenere per due mesi il busto senza poter muovere la testa. Poi saranno necessari altri esami per valutare cosa fare. Quel che è certo è che dovrò stare per tre mesi senza sport. Non c’è bisogno di dire altro per descrivere il resto della mia stagione. Avevo lavorato duramente per rientrare dopo la commozione cerebrale all’inizio dell’anno e invece siamo di nuovo qui. Adesso però penso alla salute, nessuna fretta. Per cosa? Offrirei in cambio le mie 70 vittorie, perché il ciclismo è una cosa, la vita un’altra. Mentalmente, è molto difficile accettare quello che mi sta succedendo. Sento già intorno a me dire: ”Sei un combattente, ne uscirai e tornerai”. Dopo un po’ però ti dici che non sei Superman. Quello che mi fa impazzire è che questo è successo in una gara UCI. Allora penso che quei signori che ci danno lezioni dietro le loro scrivanie, dovrebbero finalmente dare un’occhiata seria alla sicurezza dei corridori».