Berton, nel dopo gara con i protagonisti c’è sempre lui

02.09.2025
6 min
Salva

Ci vuole sicuramente tanta preparazione professionale e, perché no, anche quella fisica per il suo lavoro. Pochi istanti dopo la fine di una classica o di una tappa di un grande giro, Andrea Berton deve trovarsi al posto giusto al momento giusto per intercettare e inseguire le prime battute dei protagonisti. Anche poco fa a El Ferral Larra Belagua, traguardo della decima frazione de La Vuelta (vinta da Jay Vine e con Jonas Vingegaard tornato leader), ha esattamente fatto questo, ma non solo.

Il curriculum del giornalista milanese è degno del palmares di un grande corridore. La sua voce ha riempito tanti pomeriggi degli appassionati di ciclismo durante le telecronache su Eurosport Italia fino al 2014, poi ha cambiato ruolo all’interno del network della Warner Bros Discovery. Da dieci anni i compiti di Berton hanno preso un respiro molto più internazionale diventando “reporter on site” in lingua inglese al seguito delle gare. E così, vedendolo sempre nel vivo del post-azione, abbiamo voluto approfondire l’argomento, cercando di scoprire difficoltà, vantaggi o aneddoti della sua più recente esperienza lavorativa. C’è spazio anche per un piccolo grande insegnamento per chi vorrebbe fare una carriera come la sua.

Dopo tanti anni di telecronache, Andrea Berton dal 2016 è “reporter on site” per Eurosport in lingua inglese (foto Julian Verlay)
Dopo tanti anni di telecronache, Andrea Berton dal 2016 è “reporter on site” per Eurosport in lingua inglese (foto Julian Verlay)
Andrea proviamo a spiegare meglio il tuo lavoro?

Certo. Sono impegnato sia prima della partenza che dopo l’arrivo della tappa con le interviste. Al mattino tastiamo umori e sensazioni di atleti e direttori sportivi. Essenzialmente però posso dire che la parte più impegnativa è dopo l’arrivo. Eurosport da qualche tempo vuole le “instant reaction”, ovvero le impressioni a caldo dei corridori.

In cosa consiste?

Innanzitutto dobbiamo rispettare una zona riservata alle televisioni molto dopo la linea del traguardo. Ci posizioniamo dove sappiamo possono fermarsi i corridori, più o meno dove ci sono i massaggiatori che li attendono. Poi cerchiamo di andare a sentire subito i compagni del vincitore oppure quei corridori che si sono piazzati alle sue spalle. Per regolamento noi non possiamo intervistare né lui né chi porta le maglie di leader delle varie classifiche. Tutti loro prima devono passare dai microfoni del segnale internazionale, quindi ci concentriamo su altri protagonisti.

Le tue impressioni a mente fredda quali sono in quei frangenti?

Sono momenti bellissimi ed intensi per me. Magari dopo un arrivo in volata, vedi da vicino l’eccitazione di chi ha fatto il leadout al proprio capitano che ha vinto la tappa oppure la delusione di chi è stato battuto. Oppure nelle tappe di montagna puoi osservare chi ha appena compiuto un grande sforzo.

Hai qualche aneddoto da raccontare?

Ricordo ancora Dani Martinez l’anno scorso al termine dell’arrivo al Mottolino di Livigno. Restò quasi quattro minuti seduto contro una transenna a capo chino per recuperare dalla fatica. Era provatissimo. Oppure invece mi ha sempre stupito la freschezza di Pogacar dopo ogni sforzo, proprio per il suo grande livello. Per me, ripeto, o per chi fa il mio mestiere è un grande privilegio vivere questi momenti.

Piccolo inciso, Pogacar ti è sembrato stanco al Tour come è stato detto a più riprese?

In Francia quest’anno non c’ero, ma ho parlato con i miei colleghi di questo argomento. Loro mi hanno detto che non lo hanno visto così tanto provato e che avrebbe potuto vincere qualche tappa in più. Però mi limito alle loro impressioni.

Berton è rimasto impressionato dalla freschezza di Pogacar nelle interviste post-gara (foto Julian Verlay)
Berton è rimasto impressionato dalla freschezza di Pogacar nelle interviste post-gara (foto Julian Verlay)
Il rapporto con i corridori invece com’è negli attimi vicini alla corsa?

Partiamo dal presupposto che tutti i momenti degli atleti vanno rispettati. Sia prima del via quando può esserci un po’ di tensione perché “si sente la gara”, sia dopo il traguardo anche quando vai a parlare con qualcuno felice per il risultato di squadra. Ogni corridore ha il proprio carattere, quindi c’è sempre qualcuno che parla più volentieri e qualcuno meno.

Possiamo fare degli esempi?

Senza andare tanto indietro nel tempo, mi limito a queste prime tappe di Vuelta. Ciccone non è uno che abbia molta voglia di parlare, specie prima di una tappa in cui è uno dei pronosticati. Se non viene in mixed zone, il giorno successivo magari passa, si scusa e fa l’intervista. C’è invece l’altro Giulio, Pellizzari, che è molto più loquace. Lui ha sempre la battuta pronta e il sorriso, anche quando non è stata una grande giornata. Non si sottrae mai alle domande e spesso risponde stemperando la tensione. Oppure ancora c’è Edward Planckaert, il pesce-pilota di Philipsen, che ti racconta sempre tantissimo delle volate che quasi te le fa vivere.

Hai notato qualche cambiamento sotto il punto di vista del rapporto corridore-giornalista?

Di sicuro posso dire tranquillamente rispetto al passato, soprattutto quando ho iniziato a fare questo lavoro ormai trent’anni fa, che adesso il corridore ha una capacità e una disponibilità migliori di rapportarsi con i media. Adesso ti vengono a cercare per le interviste. Parlo di italiani ed stranieri. Si vede che c’è tanta professionalità. In generale, tranne qualche eccezione, trovi corridori più preparati a parlare, anche a caldo. E per questo li devo ringraziare perché facilitano il mio lavoro.

Quali sono le difficoltà principali del tuo ruolo?

Direi che la logistica è la cosa più complicata e rende la giornata lunga. Siamo sempre sia in partenza che in arrivo e di base con l’ultima intervista del dopo-gara, finisce il nostro lavoro di giornata. Talvolta è capitato di arrivare tardi al traguardo perché trovi traffico oppure un incidente o perché non ci sono molte strade alternative per arrivare. Ricordo una tappa del Tour Femmes di tre anni fa ed una di montagna al Giro d’Italia dell’anno scorso. Comunque ce l’abbiamo sempre fatta per arrivare in tempo prima dell’arrivo.

Può incidere questo sul rendimento del tuo lavoro?

Quando siamo in trasferimento, non sempre abbiamo un segnale forte sul cellulare o altri dispositivi per vedere la tappa in streaming, pertanto questo aspetto può limitarci. Vedere com’è andata la gara ti aiuta nelle interviste o considerazioni. Tuttavia talvolta capita che debba fare domande al buio proprio per quello che vi dicevo all’inizio. Essendo posizionati lontani dal traguardo e dal maxischermo, e non avendo sempre la possibilità di vedere il finale sul cellulare un po’ per la concitazione, un po’ per la differita, dobbiamo affidarci alle parole dei corridori. Per non sbagliare in quelle circostanze, specie dopo uno sprint, chiedo “com’è stato il finale?” e l’atleta ti racconta tutto.

Il lavoro di Berton inizia già al mattino poi trasferimento verso il traguardo (foto Julian Verlay)
Il lavoro di Berton inizia già al mattino poi trasferimento verso il traguardo (foto Julian Verlay)
Quanto è importante conoscere il ciclismo soprattutto nelle interviste post-arrivo?

Certamente molto. Credo che sia nostro dovere arrivare preparati e sapere tutto dei corridori, comprese le curiosità oltre ai risultati. Bisogna stare sul pezzo, essere aggiornati. Fa parte del nostro mestiere. Ma non tutti considerano che questo lavoro non lo puoi fare da solo.

A cosa ti riferisci?

E’ vero che faccio io le interviste, però se non hai un collega cameraman che ti segue e capisce in anticipo le tue mosse, allora non fai granché. Infatti a tal proposito ci tengo a ringraziare Phil Bryden con cui lavoro da tanto tempo (in apertura foto Julian Verlay). Lui è un grandissimo intenditore di ciclismo, anche più di me, e fra noi basta davvero un’occhiata per intenderci.

A proposito di preparazione, Andrea Berton possiede ancora quella chiavetta contenente tutte le info dei corridori?

Sì, certo (risponde sorridendo, ndr). Quando facevo le telecronache non esistevano i siti di adesso dove trovi tutti i risultati, così mi ero creato un database su chiavetta dove indicavo piazzamenti e curiosità. La attaccavo al computer e la consultavo in tempo reale quando serviva. Ora ho trasferito tutto su un cloud e lo vedo anche dal cellulare. Molte cose ormai le sappiamo già e ce le ricordiamo, specie se le hai viste dal vivo. Però nel nostro lavoro per essere preparati non bisogna mai smettere di studiare e avere sempre passione per ciò che fai.