Nel parlare con Edmund Telser, è innegabile che si provi un pizzico di curiosità per quello che poteva essere e non è stato. Sarebbe stato curioso vedere all’opera il tecnico altoatesino in Italia se avesse avuto una chance, invece a giovarsi della sua competenza è la federazione svizzera, che dal 2014 ha visto svilupparsi un progetto invidiato ormai in tutto il mondo.
Facciamo le dovute presentazioni: Edmund Telser è un tecnico bolzanino di 47 anni che in Italia aveva portato la sua regione ai vertici nazionali nel fuoristrada, al punto che agli albori del secolo, soprattutto nel settore femminile, tutti i talenti maggiori venivano da lì. Intuendo le sue qualità e valutando il lavoro svolto soprattutto a livello giovanile, venne ingaggiato nel 2014 dalla Federazione svizzera per rilanciare il settore rosa, che a differenza di quello maschile già ai vertici intorno a Nino Schurter, era ai margini delle gerarchie. “Edi”, com’è chiamato nell’ambiente, ha messo su un progetto lavorandoci anno dopo anno, fino all’apoteosi del 2021, con il podio olimpico della Mtb femminile completamente rossocrociato.
Nel frattempo Telser ha allargato le sue competenze e ormai guida la Svizzera femminile in ogni disciplina ciclistica: «Curo tutte le discipline endurance, quindi anche la strada. L’obiettivo è tradurre anche qui quanto è stato fatto nella Mtb, ma ci vuole tempo. Quando iniziai nel fuoristrada, mi diedi 4 anni per ottenere risultati, qui abbiamo la fortuna di avere già una campionessa come la Reusser, ma c’è molto da lavorare per affiancarle una squadra vera».
Guardando la composizione elvetica anche a Leuven, si nota come ci sia un mix di nomi e di continui passaggi dalla Mtb alla strada, la stessa Frei medagliata olimpica è stata protagonista nella gara di sabato vinta dalla Balsamo…
L’obiettivo è poter avere un numero importante di atlete di vertice fra le quali scegliere, ma anche, anzi soprattutto, di cicliste in grado di emergere in più specialità, è un’idea base del progetto considerando anche che il bacino dal quale attingere è molto limitato.
Eppure dai risultati delle biker elvetiche e soprattutto il loro ricambio ai vertici non si direbbe…
Non c’è paragone con l’Italia. Solo la Lombardia a livello giovanile ha un numero di praticanti superiore a tutta la Svizzera. Bisogna lavorare in maniera diversa, mirata, su quel che si ha. La differenza principale con l’Italia è a livello culturale: qui una ragazza di 18 anni o studia o lavora, ma significa che in un caso o nell’altro 8-10 ore della giornata sono occupate da quella che è e resta l’occupazione principale. La bici è relegata nel tempo rimasto, magari si alzano alle 6 del mattino per allenarsi. Se però arrivano risultati, possono arrivare anche contratti e allora il ciclismo diventa una professione, per qualche anno, che porta belle cifre.
E’ un sistema che funzionerebbe dappertutto?
Difficile dirlo, ma non credo. Noi abbiamo dovuto pescare anche in altri sport: Elise Chabbey, ad esempio, campionessa nazionale nel 2020, nel 2012 aveva partecipato ai Giochi Olimpici nella canoa, poi è passata al ciclismo che abbina alla sua professione di medico. La stessa Reusser ha praticato molte discipline sportive prima di emergere sulle due ruote. Come detto, chi fa ciclismo studia o lavora e anche solo per partecipare a un ritiro con la nazionale, devono ottenere permessi non sempre facili.
Proprio considerando un materiale di base così ristretto, come fai a avere simili risultati? Le ragazze che emergono da giovanissime continuano a progredire, in Italia spesso si perdono per strada…
E’ un problema culturale: in Italia quando una ragazzina ottiene risultati tutti sono convinti di avere trovato la nuova Paola Pezzo. Questo ha portato a perdere molti talenti, che non ottenendo da grandi gli stessi risultati e la stessa attenzione, perdono interesse fino a lasciare e dedicarsi ad altro, trovando altre strade nella propria vita. Un esempio è Greta Weithaler, che da junior vinceva tutto ma poi non ha trovato dentro di sé la spinta per insistere. Lo sport conta, ma non è tutto e questo concetto è fondamentale.
Tu come fai?
Cerco di dare alle ragazze, man mano che crescono, sempre qualcosa di nuovo, cambiando continuamente la preparazione sulla base di due principi: il volume di lavoro e l’intensità, che devono cambiare di anno in anno. Questo permette loro da un lato di essere sempre interessate, dall’altro di maturare piano piano continuando in una parabola di miglioramento. Io lavoro ora con due gruppi, Mtb e strada, intercambiabili ma ben distinti, anche se quello su strada è ancora piccolo.
In Italia non hai avuto occasione per poter testare il tuo sistema…
No, credo che in Italia bisognerebbe mettere in pratica un progetto completamente diverso. Innanzitutto collaborerei con Salvoldi che sta facendo cose davvero egregie, poi servirebbe qualcosa di nuovo. Ma siamo nel campo delle ipotesi, proposte vere non ne ho mai ricevute, posso dire di aver collaborato al tempo con Morelli (cittì a cavallo del passaggio del secolo, ndr) trovandomi bene, ma non ci fu altro.
In Italia ci sarà mai una campionessa multidisciplinare come Jolanda Neff?
Una Neff è un talento che nasce se va bene ogni trent’anni… Una che faccia bene in tre discipline è fattibile, bisogna però saperla gestire. Quand’ero in Colnago, Eva Lechner arrivò anche nella nazionale su strada mentre nell’offroad ha vinto tanto.