Storia di Duque, argentino con la valigia piena di sogni

04.06.2023
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ODERZO – Giovedì della scorsa settimana. C’è il Giro d’Italia che parte verso Val di Zoldo, per una delle tappe che ne scriverà la storia con la vittoria di Filippo Zana. Il piazzale dei pullman è assiepato dai tifosi e in un angolo Michele Biz ha portato con sé Mateo Duque, il giovane argentino in forza alla sua Gottardo Giochi-Caneva, che ha da poco conquistato due medaglie d’oro ai Giochi Panamericani juniores su pista. Nell’omnium prima e nella madison poi.

Ci accorgemmo di lui alla presentazione delle squadre juniores alla Vuelta a San Juan, quando su quel palco e accanto al Governatore Sergio Unac passò la maglia gialla e nera della squadra friulana. Fu così che con un whatsapp transoceanico, Biz ci spiegò che si trattava di un ragazzo classe 2005 di Buenos Aires, che da marzo avrebbe corso con loro in Italia: cosa che puntualmente è accaduta. Il ragazzino ha vinto i Panamericani e già ottenuto due quarti posti su strada.

Duque parla un ottimo italiano. Vicino a lui c’è suo padre, la baraonda dei tifosi intorno suggerisce di spostarsi un po’ per conoscerne la sua storia.

Quella maglia del Caneva, alla presentazione della Vuelta a San Juan. Con la camicia, il Governatore Unac
Quella maglia del Caneva, alla presentazione della Vuelta a San Juan. Con la camicia, il Governatore Unac

Famiglia di sportivi

Il papà, colombiano, si chiama Alvaro ed è stato un calciatore di prima serie. La madre Veronica, oggi marketing manager, è stata una tennista. Il fratello Thiago, 15 anni, è una promessa del calcio e sta facendo dei provini anche da noi.

«La passione per il ciclismo – racconta Duque – è venuta perché mio papà ha sempre ha seguito i grandi Giri e io li guardavo con lui. La mia fame di ciclismo è iniziata da lì. Andare in bicicletta a Buenos Aires è difficile, da piccoli ci allenavamo sempre nel Circuito KDT, anche se non siamo mai stati in tanti: due o tre al massimo. Il mio primo titolo nazionale lo vinsi in pista nella corsa a punti a San Luis, avevo 13-14 anni. Avevo iniziato allenarmi in pista, anche se l’ho sempre abbinata con la strada. Da noi la pista è una cosa importante, abbiamo i fratelli Curuchet e la loro storia è stata una grande motivazione per crederci di più. E come tecnico c’è anche Cristiano Valoppi, che conosco bene…».

Quadro di famiglia durante la vacanza europea: Da sinistra Thiago, mamma Veronica, papà Alvaro e Mateo Duque
Quadro di famiglia durante la vacanza europea: Da sinistra Thiago, mamma Veronica, papà Alvaro e Mateo Duque

Doppio oro

I diciotto anni parlano di freschezza e anche di un’apparente convinzione nei suoi mezzi. Suo padre di tanto in tanto si volta per osservarlo, Biz appare compiaciuto.

«Rivincere il titolo panamericano da junior – racconta Mateo – è stato più importante che da allievo, perché la conferma non è mai facile. La Colombia era forte, gli Stati Uniti erano forti. Forse però noi argentini in pista siamo più furbi delle altre nazioni e giochiamo un po’ più con la testa, non solo con le gambe. Credo di aver vinto per questo.

«Delle due medaglie, forse mi ha dato più soddisfazione l’omnium. Non vincevo da ottobre dell’anno scorso e quella vittoria ha mandato via la tensione. Il successo nella madison col mio compagno Augustin Ferrari è stato come la ciliegina sulla torta. Non mi allenavo con lui da parecchi mesi, ma in due giorni siamo riusciti a ritrovare l’affiatamento che in passato ci ha permesso di raggiungere importanti traguardi nelle categorie giovanili. Condividere con lui l’emozione dell’oro è stato bellissimo».

Passaggio in Italia

Lo scorso anno avvenne il contatto con la Gottardo Caneva e da allora Duque non se ne è più andato. La nazionale argentina era qua in preparazione ai mondiali e la mamma di Mateo era con loro come accompagnatrice. Fu per un fatto di vicinanza, che si rivolse a Michele Biz. Lui prima rispose con cortesia, poi si accorse delle prestazioni di uno di quei ragazzini anche su strada e decise di vederci più chiaro.

«A luglio l’anno scorso – prosegue Duque – sono venuto in Italia. Ho fatto 45 giorni di preparazione con la nazionale prima del mondiale in pista e ho capito che il ciclismo è qua in Europa. In Argentina il livello è più basso, non si fanno tante gare come qua. Da voi, tutte le domeniche ci sono gare di 120-130 chilometri, con 200 ragazzi che vogliono vincere. A marzo e aprile, sono venuto con mia madre. Poi sono arrivati mio papà e mio fratello per una vacanza e sono ancora qui. Rimarranno in tutto per un mese, mentre io resterò fino a ottobre, sino alla fine della stagione».

Da marzo, Duque corre nella Gottardo Giochi-Caneva di Michele Biz, figlio dell’indimenticato Gianni
Da marzo, Duque corre nella Gottardo Giochi-Caneva di Michele Biz, figlio dell’indimenticato Gianni

Strada e pista

Quel che ha trovato è totalmente diverso dall’Argentina e dal ciclismo di laggiù. In Friuli, Duque si allena, corre e studia. Frequenta la scuola di italiano e fa anche quella argentina a distanza.

«Adesso è un po’ difficile – sorride – perché ci sono mio papà e mio fratello in vacanza, ma la scuola è importante, come pure la vita del ciclista. Faccio strada e pista, sono entrambe belle e non so decidere quale mi piace di più. Per la pista vado a Pordenone, nel Velodromo Bottecchia, con l’aiuto di Valentina Alessio. Invece su strada esco spesso da solo, qualche volta quando c’è Andrea Montoli mi alleno con lui. La salita mi piace, credo che un corridore completo deve fare tutto. Salita, volata, discesa, andare in pianura…

«Di giorno i ragazzi vanno a scuola e se aspetto il pomeriggio per allenarmi, non faccio abbastanza. Seguendo la scuola online, posso seguire dopo l’allenamento. Ora che loro finiranno le lezioni, andremo più spesso insieme. Allenarsi in gruppo è meglio».

Duque alterna in modo regolare la pista e la strada
Duque alterna in modo regolare la pista e la strada

Sogni da grande

L’Argentina manca, ma la determinazione nel portare avanti questo progetto di vita suona superiore, con la benedizione e la buona pace degli amici argentini che da un giorno all’altro se lo sono visto sparire di sotto il naso.

«Mi mancano le amicizie e i compagni di scuola – dice – quando sono partito, erano un po’ sorpresi anche loro. Però sapevano qual è il mio sogno e capiscono che la situazione qua in Europa è migliore per me. Sono argentino, le cose che mi danno felicità sono la bicicletta e la mia famiglia. Il mio sogno è fare il professionista, entrare nel gruppo più grande. Mi piacciono le corse con un po’ di su e giù, percorsi un po’ duretti che fanno selezione. Se arrivo in volata con un gruppo di 25-30 corridori, posso giocarmela in volata. Quand’è così, mi piace…».