I corridori sono come i diamanti: restano per sempre. Ecco perché uno come Matteo Carrara (pro’ dal 2001 al 2012) lo senti oggi a 42 e ti sembra che stia partendo per una grande corsa. Perché ha quella mentalità competitiva che non ha mai mollato, anche oggi che con la moglie Benedetta ha una società di interior design a Londra. La sua energia la incanala nel business, ma quando parla di ciclismo, al bergamasco di Alzano Lombardo si illumina la voce.
Matteo, di cosa ti occupi adesso?
Da fine 2015 con mia moglie gestiamo l’azienda The Interior’s Housee. Ci occupiamo di immobili, dalla ristrutturazione all’arredo, chiavi in mano. Lavoriamo in tutto il mondo con uno staff che ha un obiettivo primario: lavorare veloci. Siamo l’azienda che consegna più velocemente. Ci divertiamo. Abbiamo fatto una delle suite più costose al mondo, a Cala di Volpe (in Sardegna), ci siamo occupati dei primi appartamenti del Four Seasons di Londra e abbiamo uno show-room a Shanghai.
Come hai vissuto il ritiro dalle corse?
Non è stato facile. Quando sei corridore tutto gira attorno alla performance. Ora è diverso, bisogna correre comunque, ma quando hai fatto quella fatica, tutto il resto è molto più tranquillo.
Ti manca qualcosa della vita precedente?
Sì, l’adrenalina che si prova nel preparare una volata o nel dover stare tra i primi dieci all’attacco di una salita, non esiste da nessuna altra parte.
Consiglieresti ai tuoi figli di seguire le tue orme sui pedali?
Assolutamente sì, spero che qualcuno prenda quella strada perché il ciclismo ti forgia il carattere.
E tu, riesci ancora a fare qualche uscita?
Ho due bici molto belle sia a Bergamo che a Londra, ma ho poco tempo. Mi piacerebbe e mi manca, ma in questa fase do priorità alla famiglia (ho 5 figli) e al lavoro.
E il ciclismo lo segui?
Le corse importanti sì, mi diverto. Van der Poel è uno spettacolo, poi Pogacar, Roglic, Van Aert: finalmente i giovani vincono, a testimonianza del fatto che è un ciclismo più reale.
Giro del Lussemburgo 2010, batte Schleck per un solo secondo e Armstrong di 30 Nella seconda tappa, Carrara secondo allo sprint dietro Frank Schleck
Cosa intendi per reale?
Che non esiste il doping. Chi è più forte, vince. Ai miei tempi non era così, era un periodo complicato, di transizione verso un ciclismo pulito. Basti pensare che appena passato pro’, facevo a testate con Voeckler per riuscire a finire il Giro: ultimi, eppure ero il giovane italiano più promettente.
Molti criticano il fatto che il ciclismo di oggi sia tutto watt…
Non concordo. Con i programmi studiati a tavolino, gli atleti possono allenarsi senza logorare il proprio corpo. Penso a come mi allenavo io in salita. Non ero scalatore puro, ma volevo arrivare in cima sempre per primo, massacrandomi. Non erano metodi giusti.
La corsa a cui tieni di più?
Sicuramente il Giro di Lussemburgo 2010. Vinsi su Armstrong e Frank Schleck. Si correva nel periodo in cui solitamente andavo più forte.
Recentemente abbiamo parlato con Thomas De Gendt di quando, alla Vacansoleil, rischiaste di vincere il Giro…
Ho rivisto recentemente quella tappa: pazzesco cosa abbiamo fatto, alla tv non si riesce ad apprezzare. Tirai Thomas sul Mortirolo nell’ultimo chilometro, poi scollinammo. Lui diceva: «Sei matto, fermati, non me la sento!», ma lo convinsi. In discesa, che non conoscevo, avevamo davanti una moto che guidava divinamente. La tenevo a 150 metri e pennellavamo le curve. Poi sputai l’anima lungo tutto il fondovalle, fino all’attacco dello Stelvio. Rischiammo di far saltare il banco. Era il mio modo di correre ed è sempre stato il mio modo di vivere: imprevedibile, all’attacco, divertendomi.