ALTEA (Spagna) – «Voglio darmi una scadenza – dice De Marchi – non arrivare a ottobre l’anno prossimo e annunciare che smetterò di correre. Se, come immagino, sarò al Giro d’Italia, che è l’obiettivo della primavera, voglio sapere che potrebbe essere l’ultimo. Se deciderò di smettere, lo dirò prima della partenza. Credo che sarebbe il modo migliore per viverlo davvero a fondo».
Si parla al futuro e anche un po’ al condizionale. De Marchi ha la faccia di chi aveva un gran bisogno di tornare al lavoro. Sembra in forma, ma sull’argomento oppone le mani, come per dire: lascia stare! Qua nessuno ti regala niente e non puoi lasciare niente indietro. C’è il peso da mettere a posto, anche se il blu della tuta sfina, perché aver finito la stagione al gancio non ha aiutato a tenerlo a bada. Il mare riempie l’orizzonte dietro le chiome dei pini, per uno scenario che conosciamo alla perfezione. Certe volte ti sembra quasi di essere a casa, perché sono gli stessi posti che frequenti ogni anno e da anni.
«Ci stiamo pensando – prosegue – anche perché c’è una serie di cosette messe vicino che mi hanno costretto a riflettere. Non ho voluto prendere una decisione adesso, nel mezzo dell’inverno e lontano dalle corse e dalla squadra, per cui magari avrei avuto solo una visione. Però è una domanda che mi sto facendo e piano piano sto cercando di arrivare a una risposta. Se dovessi ascoltare il cuore o la mente, andrei avanti per sempre. Ma ci sono i segnali che il fisico ti manda e la mente può arrivare fino a un certo punto, ma non può portare indietro il tempo. I vent’anni non torneranno».
La vittoria in primavera
Il 2024 del Rosso di Buja è stato un anno strano. In primavera è tornato alla vittoria (una tappa al Tour of the Alps), come non gli capitava dal 2021. Il Giro d’Italia lo ha visto a un ottimo livello e infatti ne è uscito con un buon sapore in bocca. E’ stato quando ha insistito per fare la Vuelta che la stagione ha preso la piega che non si aspettava e che lo ha turbato.
«Visto il trend positivo della primavera – dice – credevo di fare quello che mi è sempre venuto meglio, cioè i Grandi Giri. Solo che mi sono preparato un po’ di corsa e nella prima settimana sono stato condizionato da un virus. L’ho superato a fatica anche a causa di quel caldo pazzesco e non riuscire a essere quello che sono sempre stato, quindi uno che prende la fuga e sempre nel vivo della corsa, mi ha acceso la lampadina. Forse il mio cruccio è non essere pronto o capace di cambiare ruolo. Una volta che ammetti questo, puoi anche decidere di non arrivare allo sfinimento. Questa è un’altra cosa che mi preme molto. Non vorrei continuare solo perché ho trovato un contratto e smettere dopo un anno di troppo. Per fortuna qui ho un interlocutore con cui si può parlare. Si tratta di tirare le somme e prendere una decisione».
Uno spiraglio di sole
Tutto un altro parlare rispetto a quando la Israel Premier Tech aveva deciso di non confermarlo, lasciandolo nel mezzo di una velata disperazione. E’ più accettabile smettere quando si decide di averne avuto abbastanza, piuttosto che essere costretto a farlo. L’arrivo alla Jayco-AlUla ha aperto una nuova pagina della sua storia.
«Lo step che sono riuscito a fare già nel 2023 ritornando del vivo della corsa – dice – mi rende orgoglioso. Solo che devi fare i conti con questo tipo di ciclismo, diverso da quello di dieci anni fa in cui un uomo come Tosatto è stato di grande supporto fino ai 40 anni. Adesso è difficile da immaginare, quindi vediamo. Sto cercando di non focalizzarmi solo sul ricordo della Vuelta e delle ultime gare in Italia, quando ero davvero cotto. Meglio pensare alla vittoria, che ha significato un sacco perché è stato come dare un senso al nuovo corso iniziato con il nuovo contratto in questa squadra. A Brent Copeland sono sempre stato molto molto riconoscente perché ha portato uno spiraglio di sole nel disastro totale. La vittoria è stata la conseguenza di aver trovato un ambiente sano, in cui anche io che venivo da un certo tipo di esperienza e con la mia storia sulle spalle, mi sono sentito valorizzato. E’ stata una bellissima chiusura del cerchio, anche se la Vuelta a quel modo mi ha tolto il buon sapore dalla bocca».
Il bello del ciclismo
E’ il guaio di chi è abituato a pensare e sa farlo nella giusta direzione. Se in più senti il passare del tempo e sei di te stesso il giudice più severo, allora è impossibile ignorare i segnali. Il ciclismo ha mille pretese, ma forse inferiori rispetto agli standard che un professionista come De Marchi vorrebbe per sé.
«Mi hanno detto che quest’anno – dice – solo pochi hanno vinto e io ci sono riuscito. Devo trovare l’equilibrio. Io ho sempre avuto voglia di migliorare, ma probabilmente il ciclismo adesso ha una marcia in più. E’ ancora bello e mi piace perché nell’essenza è rimasto lo stesso. Devi essere preciso, puntare a tirare fuori il massimo, ma è come se si fossero aggiunte nuove sfide alle solite sfide. Vado orgoglioso della Vuelta che ho fatto, perché non era da tutti risollevarsi. Aver accettato che non potevo stare in prima fila, mi ha permesso di aiutare i ragazzi che invece avevano le gambe. E’ stato particolare perché ho usato tantissimo la radio. Li ho aiutati a dosare le forze e a non sparare tutto per entrare nella fuga o all’interno della fuga stessa. E’ stato Piva a suggerirmelo e sono stato i suoi occhi in corsa. Perché dalla macchina non vedi niente, invece avere uno nel gruppo che riesce a intervenire in tempo reale può fare una grande differenza».
Un’idea per il futuro
Come un direttore sportivo, ma in corsa. Scherzando gli diciamo che proprio per questo non lo lasceranno smettere, ma nell’osservarlo sembra quasi che l’idea gli vada a genio e abbia individuato il modo per farne parte, sia pure con abiti diversi.
«Dare certi suggerimenti dall’ammiraglia – dice – sarebbe più difficile perché sei completamente cieco. Il modo per essere incisivi è il lavoro dietro le quinte. Una fase molto importante è far funzionare il debrief. Sta diventando uno dei momenti più importanti per fare il riassunto della giornata, avere bene chiaro quali sono stati gli errori e quali sono state le cose fatte bene. Perché ormai in macchina non si sa niente e con la gara sempre più veloce, la difficoltà aumenta. Anche per questo credo che Piva alla Vuelta abbia spinto molto su di me. Avevano me che parlavo e avevano radio corsa, quindi più cose messe insieme. Però ammetto che diventare direttore sportivo è una cosa che mi piacerebbe e su cui sto riflettendo. Non so quando sarà, ma non aspetterò troppo per prendere una decisione».