In ogni cosa che facciamo c’è sempre una piccola parte che non si può controllare. Filippo Fiorelli era partito per il Giro d’Italia con le migliori intenzioni, lo aveva detto a Giada Gambino. La sua avventura sulle strade della Corsa Rosa, però, è durata ben al di sotto delle sue speranze. Cinque giorni, anzi quattro, perché Fiorelli in fondo alla quinta tappa del Giro, non ci è mai arrivato.
«Io e la squadra – racconta dal Giro di Slovenia – non pensavamo mai e poi mai che sarei potuto andare via alla quinta tappa. Anzi, per come ci arrivavo l’idea era che avremmo portato a casa qualcosa di buono».
Il giorno nero
«Mi sono svegliato la mattina – riprende Filippo – che avevo già una sensazione di nausea, a colazione non riuscivo nemmeno a mangiare. Lì mi sono accorto che la cosa sarebbe stata seria, a colazione io di solito ho una fame da lupi, mangerei anche i miei compagni (racconta con una risata amara, ndr). Una volta salito in bici questa sensazione ha continuato ad accompagnarmi per tutta la tappa. Non riuscivo a digerire, ho provato anche a liberarmi ma nulla».
«Al chilometro zero le cose continuavano a rimanere invariate, una volta imboccato Portella Mandrazzi (la salita di giornata, ndr) mi sono staccato. Non ho fatto neanche il gruppetto talmente ero attardato, ho fatto tutta la salita accanto alla macchina. Ero spossato, non riuscivo a spingere sui pedali, mi si sono affiancati anche Zana e Rastelli, ma nulla…».
Il ritiro? L’unica soluzione
Quando il corpo si rifiuta di andare avanti, è anche inutile cercare di spingere, bisogna mettersi l’anima in pace ed alzare bandiera bianca. Non è semplice ma è la cosa giusta per non peggiorare la situazione.
«Ho deciso di finire la salita – dice il corridore siciliano – con l’idea di provare a rientrare se il gruppetto dei velocisti avesse rallentato. Purtroppo quel giorno i velocisti sono rimasti nel mezzo e hanno fatto tutto il giorno a testa bassa. Una volta capito che davanti non si sarebbero fermati, ho deciso di ritirarmi, anche perché avevo 18 minuti dai primi ed il tempo massimo era stimato tra i 22 ed i 23 minuti. Sono dell’idea che questo malessere mi sia capitato nel giorno sbagliato, se mi fosse arrivato il giorno dopo, quando si è fatto i 37 di media mi sarei anche salvato. Purtroppo non decidiamo noi quando avere le giornate no. Parlando con il dottore della squadra si è pensato ad un’intossicazione alimentare. La sera prima è stato male pure Tonelli, si è pensato sia stato un alimento avariato che abbiamo mangiato entrambi».
Proprio in Sicilia…
Per un corridore siciliano ritirarsi davanti ai suoi tifosi, sulle strade dove ad attenderlo c’è tanta gente fa male. Quel che doveva essere un giorno di festa si trasforma in un qualcosa di brutto e di difficile assimilazione.
«Quel giorno – dice Filippo – a Messina c’erano tutti i miei amici e mia mamma. Appena ha messo piede in città le è arrivata la chiamata di Alberati che le diceva del mio ritiro. L’aria, il clima e l’emozioni di Messina mi avevano dato fiducia, si poteva fare bene. Mi sono arrivate tante manifestazioni di affetto: messaggi, chiamate, parole di conforto. Questo mi ha un po’ aiutato a stare meglio, ma la delusione era davvero enorme. La beffa è stata che la mia valigia era già nell’hotel vicino alla partenza della tappa successiva, in Calabria. Mi sono dovuto fare tutto il trasferimento e dormire lì, mi sono calato in un sonno profondissimo: 12 ore. Il giorno dopo stavo meglio ed una volta a casa era tutto passato, tant’è che mi sono anche allenato».
La gamba c’era e c’è ancora
Ritirarsi dopo 5 giorni di Giro d’Italia non fa piacere a nessuno, soprattutto se l’avvicinamento è stato positivo come quello vissuto da Filippo. La condizione c’era e c’è, l’atleta della Bardiani CSF Faizanè ne è convinto. Infatti, dopo il Giro, tempo due settimane ed è andato in Norvegia a correre ancora.
«Nei giorni a casa mi sono allenato ed ho visto che la gamba c’era – conferma – ho parlato con i direttori sportivi e quando si è presentata l’occasione di sostituire un mio compagno in Norvegia sono andato subito. Arrivavo con il dente avvelenato e volevo raccogliere tutto. Forse ho corso con un pizzico di lucidità in meno nelle prime tappe. Non è stata una corsa facile, c’erano vento e salite, in più i velocisti presenti non erano di secondo livello (Kristoff, Pedersen, Teunissen, ndr). All’Adriatica Ionica Race ho sofferto il cambio di clima rispetto alla Norvegia, passare dai 15-16 gradi ai 35 non è stato facile, anzi».
«In accordo con la squadra – conclude Fiorelli – abbiamo voluto sfruttare la condizione arrivando fino ai campionati italiani. Bisogna imparare a correre con la testa, anche in Slovenia ho fatto le due tappe più dure, la terza e la quarta al risparmio. Così da giocarmi le mie carte domenica (chiusa al 7° posto, ndr). Non vivo questo periodo con stress, certe volte la vittoria ti arriva dal cielo quando meno te lo aspetti. In alcuni momenti hai la gamba, ma non riesci a far quadrare tutto, in altri ti capita lo sprint non favorevole ma tutto si allinea e vinci comunque. Nella seconda tappa al Giro di Slovenia ho fatto quarto, un bel piazzamento. I velocisti che c’erano andavano forte: Groenewegen ed Ackermann su tutti, vedo che ne ho, non mi faccio abbattere ed attendo».